Martedì, i Paesi arabi durante un vertice di emergenza tenutosi al Cairo, i leader arabi hanno approvato un piano alternativo alla proposta del presidente Trump (costringere i palestinesi a lasciare Gaza e trasferirsi in Egitto e Giordania, ndr), guidato dall’Egitto, che prevede un massiccio investimento di 53 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza. La proposta pone l’accento sul mantenimento della popolazione palestinese all’interno del territorio e sulla sua eventuale integrazione in un futuro Stato palestinese, escludendo però Hamas dal governo.
Il piano arabo, delineato dal segretario generale della Lega Araba Ahmed Aboul Gheit, rappresenta un tentativo di costruire una nuova architettura di sicurezza e governance per la Striscia di Gaza. L’obiettivo principale è garantire stabilità e prospettive di sviluppo economico, in un momento in cui il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas appare sempre più compromesso. Israele, forte del sostegno dell’amministrazione Trump, ha respinto rapidamente la proposta araba, definendola “obsoleta” e incapace di affrontare la minaccia rappresentata da Hamas, che dopo 15 mesi di guerra resta la forza più potente a Gaza. Dal canto suo, il movimento islamista ha accolto con favore il piano di ricostruzione, pur ribadendo la sua opposizione a qualsiasi tentativo di disarmarlo. L’assenza di una reazione immediata da parte di Washington suggerisce un approccio cauto, mentre la comunità internazionale osserva con attenzione l’evoluzione del dibattito.
L’Egitto, principale promotore del piano, ha sottolineato la necessità di un approccio pragmatico per stabilizzare Gaza senza ricorrere a soluzioni drastiche come il trasferimento forzato della popolazione. Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha elogiato il contributo di Trump nel favorire il cessate il fuoco, ma ha respinto fermamente qualsiasi ipotesi di espulsione dei palestinesi. Al vertice del Cairo hanno partecipato i rappresentanti di tutti i 22 Stati membri della Lega Araba, oltre al segretario generale delle Nazioni Unite e al presidente del Consiglio Europeo. Ma l’assenza di leader di spicco come il principe saudita Mohammed bin Salman e il presidente degli Emirati Arabi Uniti, che hanno inviato delegazioni di secondo livello, solleva dubbi sulla coesione del fronte arabo.
Il piano egiziano prevede l’istituzione di un comitato di tecnocrati indipendenti che assuma temporaneamente la gestione di Gaza, con l’obiettivo di facilitare un graduale ritorno dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Hamas ha segnalato la propria disponibilità a cedere il controllo amministrativo della Striscia, purché il futuro assetto politico venga determinato attraverso un “consenso nazionale” palestinese. Dal punto di vista della sicurezza, il piano contempla il dispiegamento di una forza internazionale di mantenimento della pace sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma non è stato specificato quali Paesi fornirebbero le truppe, lasciando aperti interrogativi sulla fattibilità di tale iniziativa. Il nodo più spinoso resta il disarmo di Hamas: mentre alcuni Stati arabi spingono per la smilitarizzazione dell’organizzazione, la dichiarazione ufficiale del vertice ha evitato di formulare richieste esplicite in tal senso, limitandosi a invocare una gestione della sicurezza da parte di “istituzioni palestinesi legittime”.
L’iniziativa araba si inserisce in un contesto geopolitico complesso. Israele continua a opporsi a qualsiasi piano che possa portare alla sovranità palestinese, mentre gli Stati Uniti oscillano tra il sostegno a Israele e la necessità di mantenere rapporti solidi con gli alleati arabi. La proposta di Trump di trasferire i palestinesi in Egitto e Giordania è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale, con molti osservatori che la considerano una forma di pulizia etnica. Nel frattempo, l’incertezza sul cessate il fuoco a Gaza persiste. Israele ha recentemente bloccato l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia, nel tentativo di esercitare pressione su Hamas per il rilascio di prigionieri. Contestualmente, le autorità israeliane hanno intensificato le operazioni di sgombero dei palestinesi dalla Cisgiordania, alimentando i timori di una possibile annessione del territorio.
I rappresentanti arabi sottolineano la necessità di un’integrazione politica e territoriale tra Gaza e la Cisgiordania, ritenendo che ogni soluzione per la Striscia debba essere strettamente legata alla creazione di uno Stato palestinese unificato. Ma, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, ha mostrato una certa reticenza nell’accettare un accordo che non garantisca all’ANP un controllo totale su Gaza. Durante il summit, Abbas ha dichiarato che la sua amministrazione è pronta a riprendere la gestione della Striscia e ha proposto la possibilità di nuove elezioni palestinesi, rimandate per lungo tempo. Inoltre, ha annunciato un’amnistia per gli esponenti del suo partito precedentemente estromessi, nel tentativo di dimostrare ai leader arabi la sua capacità di ricompattare il frammentato scenario politico palestinese. Nonostante questi segnali di apertura, la leadership di Abbas continua a essere percepita in patria come inefficace nella lotta per l’autodeterminazione palestinese e repressiva nei confronti del dissenso interno. La sua popolarità a Gaza rimane estremamente limitata.
Un elemento chiave del piano arabo è la strategia di ricostruzione di Gaza. Il progetto prevede tre fasi principali: nella prima, che durerà sei mesi e costerà 3 miliardi di dollari, verranno rimosse macerie e ordigni inesplosi, mentre 1,2 milioni di persone saranno trasferite in unità abitative prefabbricate; nella seconda fase, prevista fino al 2027 con un investimento di 20 miliardi di dollari, saranno ricostruite infrastrutture, abitazioni e servizi pubblici, con un piano di espansione territoriale verso il mare; nella terza e ultima fase, fino al 2030 con un budget di 30 miliardi di dollari, verranno costruiti un porto commerciale, un aeroporto e zone industriali per favorire la crescita economica. Le nazioni del Golfo, grazie alle loro risorse finanziarie, potrebbero finanziare gran parte della ricostruzione, sebbene anche l’Unione Europea potrebbe contribuire economicamente. A tal fine, il vertice ha concordato di convocare una conferenza internazionale dei donatori al Cairo “il prima possibile”.