Il caos regnava intorno alla stazione centrale di Città del Capo: facchini spingevano carrelli portabagagli tra le auto, i pendolari si riversavano dai terminal degli autobus seduti su valigie e borsoni, mentre i minibus sfrecciavano tra la folla, ignorando i pedoni.
Un’auto privata si è fatta strada oltre una recinzione di filo spinato fino a un cancello scorrevole, dove una guardia di sicurezza, al sentire le parole “Blue Train“, ha permesso l’accesso. Dall’altra parte, un tappeto blu accoglieva i viaggiatori davanti alla stazione. Due maggiordomi in gilet blu e guanti bianchi hanno accolto cordialmente i passeggeri, chiamandoli per nome, e si sono occupati dei bagagli. Ad attenderli, una lounge elegante e rilassante, un mondo distante dalla confusione urbana. Lì, i futuri viaggiatori del Blue Train si godevano divani morbidi, musica di pianoforte, frutta fresca, pasticcini, panini e calici di spumante.
Uno dei passeggeri, un giornalista del New York Times di base a Johannesburg, si è trovato a Città del Capo lo scorso dicembre per un’esperienza all’insegna del lusso e della riflessione: un viaggio di due notti sul leggendario Blue Train, che collega Città del Capo a Pretoria, lungo 54 ore, trasformando quello che sarebbe potuto essere un tragitto aereo di due ore in un’esperienza memorabile.

Il Blue Train, in servizio da quasi un secolo, è stato fin dall’inizio pensato come simbolo di esclusività, e già l’ingresso nella lounge riservata ai passeggeri riflette chiaramente questa intenzione. Il contrasto tra il lusso degli interni – eleganti, silenziosi e impeccabili – e ciò che lo circonda fuori dalla stazione di Città del Capo è stridente: baracche di lamiera, tende improvvisate ai margini delle strade, mendicanti agli incroci. Una scena che riflette una verità difficile da ignorare: il Sudafrica resta, secondo la Banca Mondiale, il Paese più diseguale del mondo. Una disuguaglianza profondamente radicata, eredità diretta del sistema dell’apartheid.
Durante gli anni della segregazione razziale, oltre quarant’anni fa, il giornalista Joseph Lelyveld – allora corrispondente del New York Times e in seguito direttore esecutivo – raccontò lo stesso viaggio. All’epoca, il Blue Train era l’unico convoglio ufficialmente desegregato del Paese, ma il costo proibitivo ne limitava l’accesso ai passeggeri neri. Lelyveld osservava che il treno offriva “una finestra su una società compartimentata dentro e fuori dai binari“.
Oggi, la segregazione non è più sancita dalla legge, ma il divario tra razze e classi sociali resta palpabile. Le tariffe del Blue Train continuano a escludere la maggior parte della popolazione: il prezzo per due persone parte da circa 4.000 dollari in bassa stagione e può superare i 6.000 in alta stagione per le suite più lussuose. Alcuni pacchetti scontati sono offerti ai residenti, ma il treno resta un’esperienza d’élite. In quell’occasione, tra le decine di passeggeri a bordo, solo quattro erano neri, mentre il personale – cortese, efficiente e numeroso – era quasi interamente composto da sudafricani di colore.
La partenza è stata ritardata da un guasto a un finestrino, causato da lanci di pietre durante l’arrivo del convoglio in stazione. Per molti sudafricani, simili episodi non sono semplicemente vandalismo: l’ostentazione del lusso può apparire come un affronto, una provocazione per chi vive in condizioni precarie e ai margini della prosperità.
Il Blue Train fu originariamente concepito per soddisfare le esigenze delle élite internazionali che arrivavano in Sudafrica per cercare fortuna nell’industria mineraria, offrendo un collegamento esclusivo tra il porto di Cape Town e le miniere dell’area di Johannesburg. Nel tempo, il treno si è trasformato in un’esperienza di viaggio di altissimo livello. Oggi, le carrozze ospitano vere e proprie suite su rotaia, complete di letti retrattili, vasche da bagno con docce dorate, televisori con Netflix, connessione Wi-Fi e comandi elettronici per luci, tende e tapparelle.
Gli interni, ispirati a un’eleganza d’altri tempi, richiamano l’atmosfera della Belle Époque: pannelli in legno pregiato, lampade in ottone, piastrelle in marmo italiano, salotti rivestiti di velluto, un bar curvo con piano in granito e una carrozza ristorante dove l’abbigliamento elegante è d’obbligo. Un microcosmo dorato, sospeso nel tempo, che continua a raccontare un pezzo della storia – e delle contraddizioni – del Sudafrica.

Il viaggio ha preso avvio nel primo pomeriggio, senza un pranzo formale ma con un ricco buffet allestito nella carrozza panoramica, dove i passeggeri hanno potuto gustare vari stuzzichini mentre il treno lasciava lentamente il centro di Città del Capo. Nei primi chilometri, il convoglio ha attraversato le township sorte durante il regime dell’apartheid, aree ancora segnate da povertà cronica e abbandono istituzionale. In alcuni tratti, le baracche di lamiera si stringevano così vicine ai binari da sembrare sfiorare le carrozze. Una scorta di sicurezza accompagnava il treno per proteggerlo da eventuali atti vandalici. Alcuni bambini salutavano con entusiasmo al passaggio del convoglio, mentre altri osservavano in silenzio, curiosi o forse indifferenti.
A bordo, una conversazione tra una passeggera svizzera e una donna sudafricana bianca ha offerto uno spaccato delle percezioni contrastanti sul presente del Paese. La sudafricana ha definito Johannesburg una “zona vietata“, lamentando il degrado urbano e la presenza di occupanti abusivi. Una visione critica, non rara tra alcune fasce della popolazione, ma che spesso trascura le radici profonde del problema: l’espropriazione sistemica, la disuguaglianza economica stratificata, la cattiva governance e le complesse eredità del passato coloniale e razziale.
Con il passare delle ore, tuttavia, il paesaggio ha cominciato a trasformarsi. Il treno si è immerso nei panorami spettacolari della provincia del Capo Occidentale: colline morbide dai toni verdi e dorati, fiumi sinuosi e vallate ampie hanno fatto da sfondo a una traversata visivamente incantevole. I campi illuminati dalla luce calda del tramonto e le montagne all’orizzonte sembravano, almeno per un istante, sospendere le contraddizioni sociali che si erano appena lasciate alle spalle.
A Worcester, durante una sosta per il rifornimento, è stata servita la cena: piatti raffinati, camerieri impeccabili. La sosta doveva durare mezz’ora, ma si è prolungata per oltre 90 minuti, senza spiegazioni. Ritardi come questi sono comuni: la compagnia ferroviaria statale, Transnet, è da anni vittima di corruzione e inefficienze.
Il giorno seguente, il paesaggio era cambiato: cespugli bruni al posto della vegetazione lussureggiante. A Hutchinson, un’ex stazione ferroviaria del Capo Settentrionale, gli edifici abbandonati testimoniavano il declino delle glorie ferroviarie del passato. Eppure, il passaggio davanti a un parco eolico e a un campo solare offriva uno sguardo sul possibile futuro del Paese.
Dopo una colazione abbondante, il treno ha attraversato il fiume Orange per poi fermarsi a Kimberley, unica tappa del viaggio. Qui si trova il Big Hole, la miniera di diamanti scavata a mano più grande del mondo, chiusa nel 1914. I passeggeri hanno visitato il museo locale, dove una targa ricorda i lavoratori della Royal Bafokeng Nation, vittime dello sfruttamento minerario.

La sera, tra salmone affumicato, cocktail e musica dal vivo, il vagone lounge si è trasformato in pista da ballo, incarnando il lato più gioioso e creativo del Sudafrica. Ma il mattino successivo, attraversando le aree industriali a sud di Johannesburg, il contrasto era evidente: fabbriche fatiscenti e degrado.
Osservando il paesaggio che scorreva oltre i finestrini del Blue Train, il giornalista ha riconosciuto una realtà sorprendentemente simile a quella raccontata da Joseph Lelyveld decenni prima: una natura straordinaria, una povertà ancora diffusa, e i segni persistenti dell’eredità della segregazione. Come una nave da crociera su rotaie, il Blue Train offre una visione affascinante ma inevitabilmente parziale del Paese. Un racconto selettivo, che lascia fuori ampie porzioni di realtà.
Eppure, anche questa prospettiva limitata ha un valore. Dopo anni trascorsi a vivere e lavorare in Sudafrica, il giornalista ha potuto constatare i segnali di cambiamento: imprenditori neri che costruiscono nuove opportunità nelle township, locali raffinati frequentati da una clientela eterogenea, momenti in cui il Paese sembra affrancarsi, seppur lentamente, dal suo passato.
Quando il treno è arrivato a Pretoria, il viaggio si è concluso. Ma chi ha avuto il privilegio di compierlo conserva la consapevolezza di aver intravisto, anche solo per un momento e attraverso un vetro dorato, un frammento vivido e complesso di un Sudafrica ancora in trasformazione.