Come scriveva Ennio Flaiano, “gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso dei vincitori“. Non fa eccezione Jannik Sinner, il cui arrivo alle ATP Finals di Torino, con fotografi che sparavano flash e cacciatori di autografi urlanti tenuti a distanza da corpulenti uomini della sicurezza, ha dimostrato che siamo davanti a qualcosa di più di un semplice fenomeno sportivo. Stiamo vivendo la Sinnermania: per questi ATP Finals, tutti i 183.000 biglietti messi in vendita, 30.000 in più rispetto al 2023, sono stati venduti pochi giorni prima dell’inizio dell’evento; l’ingresso alle partite della fase a gironi ha toccato i 600 euro, e per la finale, dove tutti sperano di vedere il loro eroe dai capelli rossi, il costo si aggira sui 1.500 euro. Il suo arrivo al J-Medical, dove si è sottoposto ad alcuni test fisici prima del torneo, ha ricordato a molti quanto accaduto sei anni fa nella stessa clinica con Cristiano Ronaldo: isteria di massa ed entusiasmo sconfinato.
Non si tratta solo del successo straordinario di Sinner, giovane talento capace di scalare le vette del tennis mondiale, ma di una celebrazione quasi esclusiva e totalizzante del vincente. Questo atteggiamento riflette un tratto distintivo della nostra cultura: alterniamo momenti di critica spietata verso gli atleti in difficoltà a una devozione quasi religiosa per i vincenti. In un contesto sociale ed economico spesso segnato da crisi e divisioni, il successo di un atleta diventa una metafora di ciò che l’Italia potrebbe essere: un Paese capace di eccellere, di competere ai massimi livelli e di vincere. Con Sinner, questo culto ha raggiunto nuove vette, alimentando una narrativa che mescola patriottismo, passione sportiva e, talvolta, una difesa incondizionata anche davanti alle controversie.
Si tratta di una dimensione completamente nuova. Partecipo ai tornei del Grande Slam dal 1974 e ho assistito a qualcosa di simile per un tennista solo una volta: nel 1976, quando Adriano Panatta vinse l’Open di Francia dopo aver battuto Bjorn Borg nei quarti di finale.
Ubaldo Scanagatta
La “mania” attorno a Sinner non nasce dal nulla. L’Italia ha una lunga tradizione di innamoramento collettivo verso i suoi campioni. Da Valentino Rossi a Federica Pellegrini, passando per Roberto Baggio e Marco Pantani, gli italiani hanno sempre avuto bisogno di figure sportive che potessero rappresentare un riscatto nazionale, un simbolo di eccellenza in un contesto spesso percepito come caotico o deficitario.
Jannik Sinner, con il suo viso pulito, la dedizione al lavoro e un atteggiamento mai sopra le righe, si inserisce perfettamente in questa narrativa. La sua ascesa è stata accolta come un segnale di rinascita per il tennis italiano, uno sport che da troppi anni non vedeva un uomo dominare le classifiche mondiali. Questa celebrazione all’italiana, però, porta spesso a una visione acritica, dove qualsiasi difficoltà viene minimizzata e ogni polemica interpretata come un attacco ingiusto.
Il caso del clostebol è emblematico. Lungi dal sollevare dubbi o interrogativi sull’effettiva responsabilità dell’atleta o del suo team, la vicenda è stata trattata da molti media italiani come un complotto o un’ingiustizia ai danni di Sinner. La narrativa dominante si è concentrata più sull’idea di una “trappola” o di un “errore involontario”, che su un’analisi dettagliata dei fatti. Un atteggiamento tipico nostrano: tendiamo a trasformare i nostri campioni in martiri quando sono sotto attacco. L’opinione pubblica sembra dire: “Sinner non può aver sbagliato, e se qualcosa è andato storto, è stato sicuramente per colpa di qualcun altro“. Lo stesso è accaduto, ad esempio, anche con Marco Pantani, idolatrato durante le controversie sul doping. In fondo ci piace che la figura del campione non sia solo un vincente, ma anche un eroe romantico, che combatte contro le ingiustizie del mondo.
Di certo, uno dei fattori che ha contribuito a questa devozione è la sua personalità. A differenza di altri atleti che si distinguono per l’arroganza o l’autocelebrazione, Sinner rappresenta un modello di umiltà e dedizione. Nonostante il successo, il tennista altoatesino mantiene un profilo basso, lontano dai riflettori e concentrato esclusivamente sul campo. Un atteggiamento che lo rende particolarmente caro a un pubblico italiano che vede in lui un esempio di valori “tradizionali”: il duro lavoro, la determinazione e la riservatezza.
Ma al di là delle polemiche e delle celebrazioni, è innegabile che Sinner stia cambiando il panorama del tennis italiano. Il suo successo ha ispirato una nuova generazione di giovani, che ora vedono nel tennis una possibilità concreta di affermazione. E la sua ascesa nel gotha mondiale sta contribuendo a elevare il profilo del tennis italiano a livello internazionale, attirando nuovi sponsor, attenzione mediatica e appassionati. Se la Sinnermania sarà sostenibile nel lungo periodo dipenderà non solo dai successi futuri del giovane atleta, ma anche dalla capacità del pubblico di accompagnarlo senza trasformarlo in un feticcio da adorare o da abbattere alla prima difficoltà.