Esiste un’aura mistica intorno alla figura di Giovanni Caboto: quasi sconosciuto, a volte confuso con il figlio Sebastiano, eppure figura fondamentale in quella che è conosciuta come l’Età delle Scoperte. Di Giovanni si ignora quasi tutto, persino le sue origini. Alcuni storici parlano di Savona, dove è attestata una famiglia di nome Caboto dal XII secolo, altri di Genova, soprattutto in riferimento ad una lettera di un ambasciatore spagnolo, Pedro de Ayala, che lo definisce “otro genoves como Colon“, altri ancora Chioggia e Gaeta. Il primo documento che parla di Giovanni Caboto è un atto del Senato di Venezia del 28 marzo 1476 con cui gli viene conferita la cittadinanza veneziana. Si sa poi che nel 1470 faceva parte della Scuola grande di san Giovanni Evangelista, una confraternita di aristocratici, mercanti e maestri di varie arti. Giovanni infatti era un mercante, più precisamente un pelizer, commerciava pelli. Ed è proprio questa sua professione che lo spinse ad interessarsi ai Paesi lontani da cui provenivano le spezie e altre materie di pregio. Secondo Raimondo da Soncino, il quale gli fu amico durante il periodo inglese, Caboto sarebbe addirittura riuscito a visitare la città proibita di La Mecca. Ed è probabile che già in questo periodo abbia maturato progetti per una rotta verso l’Asia.
Nel 1488 Caboto dovette lasciare in fretta e furia Venezia insieme alla moglie e ai figli perché la Repubblica aveva emesso un decreto che riconosceva lui e il fratello Pietro come debitori insolventi e passibili di arresto. Iniziò così una lunga fuga che lo portò prima in Spagna, poi in Portogallo e infine a Bristol. A Valencia si fece chiamare Montecalunya, per sottrarsi alla longa manus della giustizia di Venezia, allora potenza europea con spie, mercanti e funzionari presenti in tutto il Mediterraneo. Nella città spagnola, il nostro lanciò una proposta che attirò finanche l’attenzione del re: dotare la città di un porto, costruito per una parte sulla terraferma e poi da banchine protese sul mare. Il progetto non vide mai la luce per ragioni di opportunità economica, ma è emblematico a disegnare il carattere tipicamente umanistico di Caboto.
Egli non aveva nessuna esperienza come progettista né una solida educazione nel campo marittimo, eppure grazie alla sua intraprendenza si era rapidamente inserito negli ambienti altolocati. E nonostante avesse la nomea di bancarottiere, almeno nei circuiti commerciali, era riuscito ad avere un’udienza con il re Ferdinando d’Aragona. Ed è proprio in Spagna che Caboto potrebbe aver incontrato Colombo, di ritorno dal suo primo viaggio nel Nuovo Mondo. La gloria ricevuta dal genovese avrebbe rafforzato in Giovanni l’idea di un suo nuovo itinerario per raggiungere le ricchezze del Catai, raccontato da Marco Polo. Una teoria semplice, ma rivoluzionaria: data la sfericità del Globo, le medesime longitudini asiatiche sarebbero state raggiungibili con un tragitto più breve su un itinerario settentrionale. Ed è forse questa la più grande differenza tra Colombo e Caboto: se il primo si era spinto oltre oceano per speculazioni scientifiche e velleità religiose, il secondo per mere opportunità commerciali.
Un’ipotesi affascinante, non supportata da alcuna prova ma da solo labilissimi indizi, è quella che vede Giovanni diretto ai Caraibi nel secondo viaggio colombiano del 1493. Un’ipotesi che colma un vuoto sulla vita di Caboto che va dall’aprile del 1493 al giugno del 1494. In quell’anno infatti era a Siviglia dove era coinvolto in un progetto per la costruzione di un ponte sul Guadalquivir. L’idea di Giovanni di costruire il ponte in pietra aveva ricevuto l’apprezzamento delle autorità cittadine, apprezzamento subito ritirato dato che nella riunione cittadina del 24 dicembre non solo venne stabilito di sospendergli tutti i pagamenti, giacché i lavori non erano neppure iniziati, ma gli si ordinava pure di lasciare la città. Così il nostro, cacciato dalla città andalusa, si trasferì a Lisbona. La città lusitana era la capitale più all’avanguardia in fatto di navigazione in alto mare e qui Caboto trovò quell’humus di interesse e competenze che gli permisero di predisporre tutto il necessario per il suo progetto. Fondamentale potrebbe esser stato l’incontro con il cosmografo tedesco Behaim, noto per aver realizzato nel 1492 un globo terrestre tridimensionale, l’Erdapfel (Mela terrestre). Caboto incontrando Behaim avrebbe ottenuto da lui elementi importanti in tema di cartografia fino a poter realizzare una propria rappresentazione tridimensionale del mondo. Un prototipo che gli sarebbe stato fondamentale in Inghilterra, per presentare la sua idea al monarca Enrico VII, accreditandosi come provetto cartografo, geografo e navigatore. Sia in Spagna che a Lisbona Caboto ebbe l’opportunità non solo di raffinare le sue conoscenze cartografiche, ma anche di entrare in contatto con navigatori inglesi, conoscitori degli itinerari al largo dell’Islanda e di quelli ancora più ad ovest. Conoscenze fondamentali anche per allacciare rapporti utili per il suo immediato futuro inglese.
Nel 1495 Caboto era in Inghilterra. Non esiste nessun documento, ma lo si può desumere da quanto avvenne all’inizio dell’anno successivo, per la precisione il 5 marzo 1496, quando il re Enrico VII conferì a Giovanni e ai suoi tre figli le patenti per navigare in qualsiasi regione sotto insegne inglesi. Non sappiamo neppure se inizialmente sia passato per Londra o se abbia subito fatto direzione per Bristol, città febbrile dal punto di vista mercantile, soprattutto quello che riguarda la pesca.
Bristol era la base ideale per l’esplorazione transatlantica sia per la sua posizione che per i suoi trascorsi. Quando Caboto arrivò, la città stava cercando vie alternative per sfidare il monopolio della Lega Anseatica sui traffici del Nord, in particolare verso l’Islanda, da cui importava merluzzo seccato. Per i mercanti era diventato necessario trovare nuovi banchi di pesca, al punto da spingersi verso ovest alla ricerca delle mitiche isole di Brazil e delle Sette Città. Si trattava, secondo le letterature tardoantica e medievale, di isole piene di ricchezze. Ed è innegabile che già prima di Caboto i mercanti di Bristol, alla ricerca di queste fortune, si siano avventurati fino alle attuali coste di Terranova. Ma si trattava di scoperte avvenute in sordina, figlie di estemporanee iniziative; scoperte figlie del caso, al punto che i pur esperti pescatori di Bristol non riuscirono più a trovarne l’esatta ubicazione nei tentativi successivi.
In questo contesto entrò Caboto, e non deve sorprendere se il giorno stesso della supplica al re ottenne la concessione per le patenti di navigazione. L’Inghilterra non poteva rimanere in disparte nella scoperta di nuove terre, soprattutto dell’Asia, dopo la caduta di Costantinopoli per mano ottomana. Più che altro, sconcerta come Caboto senza nessun precedente di navigatore né di cartografo – avendo la fama solo di bancarottiere – sia riuscito prima in Spagna e poi in Inghilterra ad avere udienze con i re, e da Enrico VII persino la concessione di navigare sotto le sue insegne. Oltretutto le patenti regie conferivano a Caboto e figli innumerevoli potenziali vantaggi, come la concessione dei privilegi a tutta la discendenza, il diritto di conquista e di governare, a nome del re, città e terre scoperte da loro, e una franchigia dei dazi doganali sulle merci provenienti dalle terre scoperte.
A Caboto dunque era stato concesso il diritto di organizzare una spedizione a patto che fosse egli a cercare finanziatori per questa spedizione, tant’è che buona parte dei finanziamenti ricevuti dall’italiano proveniva da banche italiane con filiali a Londra, e in particolare dal principale sostenitore dell’impresa cabotiana, il frate Giovanni Antonio de Carbonariis, ovvero colui che aveva il compito di raccogliere le tasse in nome del Papa sul territorio inglese. Importante notare come se nelle patenti regie la motivazione dell’impresa era generica, quella presente nelle carte dei finanziatori privati, come i Bardi di Firenze, era “per andare a trovare il nuovo Paese“.
Ed effettivamente l’obiettivo della spedizione cabotiana era simile al progetto di Colombo di raggiungere il Catai, ma con tragitto più breve. Esisteva però un problema di natura geopolitca. Seconda la bolla papale Inter caetera del 1493, ratificata poi con il trattato di Tordesillas dell’anno successivo, tutte le terre a ovest della raya, il meridiano posto a 100 leghe a ovest delle Azzorre e delle isole di Capo Verde, appartenevano alla Castiglia. Ciò significava che qualsiasi tentativo di esplorazione inglese verso ovest avrebbe violato il trattato ai danni della Spagna. Situazione estremamente delicata alla luce anche dell’imminente matrimonio tra il primogenito di Enrico VII e la figlia dei reali spagnoli. Di certo, però, se il progetto di Caboto fosse andato a buon fine avrebbe reso l’Inghilterra un punto di riferimento importante nei commerci con l’Oriente, in un periodo in cui la monarchia Tudor non si era ancora consolidata pienamente.
Così nel maggio del 1497 Caboto salpò da Bristol in direzione nuovo mondo. Tralasciando le patenti regie del 1496, tutto quello che sappiamo sul suo primo e più noto viaggio deriva da fonti narrative più o meno coeve: una lettera di Lorenzo Pasqualigo, un mercante veneziano, indirizzata ai suoi fratelli a Venezia, datata 23 agosto 1947; una lettera indirizzata al duca di Milano, scritta presumibilmente da Raimondo da Soncino; una lettera scritta tra la fine del 1497 e la primavera del 1498 da un mercante inglese in Andalusia, tale John Day, ed indirizzata ad un Almirante Mayor, nel quale si ritiene poter identificare Cristoforo Colombo; e un dispaccio anonimo datato 24 agosto 1497, sempre indirizzato al duca di Milano. Un breve accenno del suo primo viaggio è contenuto anche in una cronaca di Bristol del 1565 di Maurice Toby, in cui scopriamo il nome della nave, Matthew, probabilmente in onore della moglie Mattea, la data della partenza (2 maggio 1497), quella della scoperta della prima terra (il giorno di San Giovanni, 24 giugno), e quella di ritorno (6 agosto). Fondamentale è anche il celebre planisfero redatto nel 1500 dallo spagnolo Juan de la Cosa, l’uomo dei sette viaggi oltreoceano, in cui abbiamo una visione un po’ più chiara delle terre scoperte da Caboto. Il nostro dunque partì da Bristol con un equipaggio di circa 18-20 uomini (tra cui probabilmente c’era anche il figlio Sebastiano), diretto ufficialmente per trovare nuove isole, ma ufficiosamente per raggiungere il tanto agognato continente asiatico. A rendere possibile la navigazione transatlantica fu la scelta della stagione in cui salpare. In estate i venti spingono da ovest verso est, mentre in inverno da nord-ovest verso est. L’unica finestra cronologica che non necessita di navigare controvento è da maggio a giugno. Per quanto ne sappiamo Caboto non aveva nessuna esperienza di navigazione, specie in acque nordatlantiche, al contrario dei mercanti inglesi, cui molto probabilmente va il merito della scelta della data di partenza.
Di questo primo viaggio sappiamo che Giovanni sbarcò solo una volta, non avendo uomini sufficienti per mettere piede in un territorio sconosciuto, pieno di pericoli, e anche per mancanza di tempo e viveri.
Tutte le fonti concordano sul 24 giugno come la data della prima tierra vista. Esistono diverse ipotesi su quale possa essere questa prima terra. Se Giovanni avesse avvistato e poi sarebbe sbarcato a Terranova si sarebbe limitato a raggiungere un’isola, come Colombo nel 1492 nelle odierne Bahamas, ma se, al contrario, fosse sbarcato a capo Bretone o in Nuova Scozia sarebbe stato il primo europeo a mettere piede sul suolo nordamericano, anticipando di un anno Colombo.
All’approdo, Caboto fece un atto di appropriazione simbolica ponendo le insegne inglesi, il gonfalone di San Marco, a sottolineare il suo essere un veneziano, e un crocefisso, secondo Pasqualigo; le insegne del re inglese e del papa, e un crocefisso, per Day.
Eseguita questa prima perlustrazione e convinto di aver trovato la rotta per l’Asia, Caboto fece ritorno a Bristol, non prima che un’incomprensione con l’equipaggio lo fece approdare erroneamente in Bretagna. Una volta tornato in Inghilterra l’entusiasmo era alle stelle, al punto che Enrico VII gli avrebbe promesso che, alla prima stagione utile, avrebbe armato una flotta per istituire una colonia commerciale nelle terre appena scoperte, oltre a conferirgli una ricompensa di dieci sterline. Il successo fu tale che, finanche Pasqualigo, il più scettico e caustico delle fonti (forse perché da veneziano conosceva bene i trascorsi del suo connazionale) nella sua lettera scrive: “questi inglesi che gli vanno dietro come pazzi“. Giovanni assaporò gli onori e l’euforia, atteggiando comportamenti singolari. Aveva vestiti in seta, si faceva chiamare Gran armirante, lo stesso titolo di Colombo, donava isole non ancora conquistate ad amici, e prometteva vescovati ad ecclesiastici; aveva persino promesso un arcivescovato al Soncino. Ma una grave crisi urtò con i sogni di una più grande spedizione. Circa un mese dopo il suo ritorno, Perkin Warbeck, sedicente York, sbarcò in Cornovaglia con un esercito per rovesciare la dinastia Tudor e rivendicare il trono. Data la gravità della situazione, i festeggiamenti e, soprattutto i piani per una nuova ed economicamente più importante impresa oltre l’Atlantico cessarono di essere una priorità.
Dopo la repressione della rivolta e l’arresto di Warbeck, il 3 febbraio 1498 Enrico VII rilasciò nuove lettere patenti per la seconda navigazione di Giovanni Caboto. La concessione, però, era limitata a non più di sei navi, segnale inequivocabile della volontà della corona inglese di non esporsi più di tanto, sia per le enormi spese causate dalla rivolta di Warbeck sia per l’incertezza di una missione che solo potenzialmente poteva offrire dei grandi profitti. Così un anno dopo il primo viaggio, Giovanni Caboto salpò da Bristol a capo di una flotta di quattro o cinque navi cariche di mercanzia, di cui solo una risulta armata ed equipaggiata dalla corona. Dopo quella data di Giovanni Caboto non si seppe più nulla.
Esistono due versioni principali sulla sorte dell’esploratore. La prima ipotesi è stata formulata da Polidoro Virgilio di Urbino, prelato incaricato da Enrico VII di scrivere una storia ufficiale dell’Inghilterra. Secondo lo studioso, Caboto fu inghiottito dall’oceano insieme con la sua nave. La seconda teoria è ancora più inquietante. Il piano di Caboto, secondo questa ipotesi, sarebbe stato quello, una volta raggiunte le nuove terre, di navigare verso sud-ovest, ovvero verso latitudini tropicali, in cerca del Cipango e delle presunte ricchezze del continente asiatico. Così facendo, il veneziano sarebbe entrato in acque territoriali di pertinenza spagnola, incontrando la spedizione castigliana al comando di Alonso de Ojeda nella baia di Conquibacoa nel 1499. Gli spagnoli, trovando degli inglesi in un territorio in cui, per il trattato di Torsedillas, non avrebbero dovuto esserci, li uccisero, non prima, però, di essersi fatti raccontare il loro itinerario ed essersi impadroniti delle loro carte. In questo modo, Juan de la Cosa, partecipe alla missione di Ojeda, avrebbe potuto redigere il suo planisfero.
Subito dopo questo ultimo viaggio il nome di Caboto scomparve per diversi secoli, ma le operazioni transatlantiche da Bristol continuarono. Oggi si sa, ad esempio, che il mercante di Bristol, William Weston, guidò una spedizione verso le new founde land, sulle tracce di quelle cabotiane. Il lascito di Giovanni nei secoli successivi si confuse e si perse con quello del più noto figlio, Sebastiano, il quale si affermò nel XVI secolo come uno dei più richiesti e influenti cartografi ed esploratori. Solo nel XIX secolo la sua figura e il suo lascito vennero riconosciuti, tant’è che il 24 giugno del 1897 Giovanni Caboto venne commemorato ad Halifax per iniziativa della Royal Society of Canada, nella cui sede ora un’iscrizione in bronzo rammenta l’Italiano che “diede all’Inghilterra un diritto sul continente, che lo spirito colonizzatore dei suoi figli mise a profitto più tardi“.