Escludendo le patenti rilasciate da Enrico VII nel 1496 a lui, a suo padre Giovanni e ai suoi due fratelli, di Sebastiano Caboto non si hanno notizie fino al 1505, quando lo stesso re inglese gli concesse una pensione di dieci sterline annue, a carico delle entrate doganali del porto di Bristol. Il primo a menzionarlo è Pietro Martire d’Anghiera, che nella terza Decade, dedicata a papa Leone X nel 1515, racconta di una spedizione guidata da Sebastiano. Questa spedizione, composta da due navi armate a spese dello stesso Caboto e con trecento uomini a bordo, avrebbe seguito una rotta verso nord e poi verso ovest, sulla stessa longitudine di Gibilterra. Tale rotta gli avrebbe permesso di scoprire la regione di Bacallaos, così chiamata dal veneziano per l’abbondanza di pesci. Sebbene Pietro Martire abbia attinto direttamente da Caboto, il suo resoconto è pieno di lacune e incongruenze. Una delle più rilevanti riguarda l’anno 1508, quando la monarchia Tudor aveva tutto l’interesse a trovare una rotta a nord-ovest verso l’Asia, come dimostrano i due viaggi di Giovanni Caboto, ma nessun interesse a infrangere il trattato di Tordesillas, spingendosi verso sud-ovest nei territori che sarebbero appartenuti alla Spagna. Tuttavia, l’incongruenza più grave è quella che attribuisce la paternità del progetto di Giovanni a suo figlio, accostandolo al progetto di Colombo per la scoperta dell’Asia.
Richard Willes, nel suo The History of Travayle in the West and East Indies, pubblicato a Londra nel 1577, ebbe la possibilità di consultare i documenti di Sebastiano e afferma che il navigatore si sarebbe spinto a sud fino al “Mar de Zur”, in quella che la critica moderna riconosce come la baia di Hudson. È impossibile stabilire se e fino a che punto Sebastiano abbia effettivamente esplorato la baia. Sappiamo da Pietro Martire che furono i ghiacci a impedirgli di proseguire, ma Ramusio – nel terzo volume (1556) delle Navigazioni – e Humphrey Gilbert, corsaro britannico e uno dei principali protagonisti della colonizzazione inglese dell’America del Nord in epoca elisabettiana, parlano di un ammutinamento dei marinai.
Francisco López de Gómara, nella Historia General de las Indias pubblicata nel 1552, conferma la scoperta dei Baccalaos da parte di Caboto e riprende grosso modo il racconto di Pietro Martire, ma con una sostanziale differenza: mentre lo storico italiano pubblicò il suo resoconto quando Sebastiano era al servizio della Spagna, l’opera di Gómara esce quando Caboto è di nuovo in Inghilterra, senza più obblighi di riservatezza nei confronti della corona castigliana. Lo stesso planisfero di Parigi del 1544 (quando Caboto era ancora in Spagna), unica carta direttamente attribuibile a Sebastiano, omette il passaggio a nord-ovest. Questo perché, secondo il Tarducci, all’epoca ai piloti spagnoli e portoghesi era assolutamente vietato, pena la morte, tracciare sulle carte qualsiasi indizio che potesse indirizzare altri Stati verso il passaggio verso l’Asia.
Nel 1552, Gómara poté ammettere un interesse di Enrico VII per il commercio delle spezie, tanto da finanziare una spedizione in tal senso. In questo contesto, gli scopi della spedizione guidata da Sebastiano sarebbero stati molteplici: esplorativi, con la ricerca di una rotta per il Catai; commerciali, con l’intenzione di creare uno scambio di merci per importare le ambite spezie su un itinerario economicamente vantaggioso; e di colonizzazione, data la presenza di trecento uomini a bordo. Questa triplice finalità renderebbe il viaggio un unicum nella storia delle esplorazioni rinascimentali.
Dopo il ritorno dal viaggio settentrionale, nel 1509, Enrico VII morì e fu succeduto dal figlio, Enrico VIII. Se il primo, di indole mercantile, aveva facilitato gli investimenti e le spedizioni transoceaniche, il secondo preferì impiegare le risorse della corona in azioni militari contro la Francia. Dal suo ritorno non si hanno notizie di Sebastiano fino al 1º maggio 1512, quando Enrico VIII gli assegnò un compenso per una carta della Guascogna e della Guienna, destinata probabilmente allo sbarco sulle coste francesi, in alleanza con Ferdinando d’Aragona. In quell’anno, Spagna e Inghilterra erano alleate nella Lega Santa contro la Francia, e Sebastiano venne arruolato come esperto cartografo al servizio di Lord Willoughby. È certo che nell’autunno Sebastiano si trovava in Spagna con le truppe inglesi comandate dal marchese di Dorset, e a Burgos ebbe contatti con il vescovo di Palencia e con un altro consigliere della Corona. Con il consenso del suo superiore diretto, Lord Willoughby, passò al servizio del re cattolico, che il 20 ottobre lo nominò suo capitano “para las cosas de la mar“, fissando la sua residenza a Siviglia. In Spagna, Sebastiano non catturò molte simpatie; Pietro Martire, che si vantava di essere suo amico e di averlo come ospite, riferisce che alcuni castigliani negavano che fosse lui lo scopritore dei Baccalaos. Tuttavia, dopo la morte di Juan Díaz de Solís nel 1518, Carlo V lo nominò piloto mayor, una carica di grande prestigio che prevedeva, tra le altre funzioni, l’organizzazione e il coordinamento delle spedizioni oltremare, l’aggiornamento delle carte ufficiali, il controllo degli strumenti nautici e l’esame dei piloti destinati alla rotta delle Indie. Sebastiano mantenne questa carica per circa trent’anni, suscitando rancori e invidie tra i castigliani.
Nonostante il prestigio della carica, Sebastiano non perse i contatti con l’Inghilterra. Verso la fine del 1522 confidò a Gasparo Contarini, ambasciatore veneziano in Spagna, che tre anni prima, durante un soggiorno in Inghilterra, il cardinale Wolsey gli aveva fatto offerte molto lusinghiere per convincerlo a imbarcarsi con una sua armada per scoprire nuovi Paesi. Il progetto non decollò a causa dell’opposizione delle dodici grandi corporazioni mercantili di Londra, che preferirono capitani e marinai nazionali, esperti di quella rotta, sostenendo che Sebastiano fosse privo di pratica nella zona. Egli non dimenticò neppure la sua terra natia, Venezia, alla quale propose un progetto di viaggio per una via settentrionale verso l’Asia, accennando alla possibilità di portare alla Serenissima “spezie, oro e altre cose” per una via nuova da lui ritrovata. Anche in questo caso, le trattative non ebbero seguito; le ragioni del fallimento restano sconosciute.
Nel 1524, Sebastiano venne autorizzato dal governo spagnolo a guidare una spedizione commerciale nelle Molucche, “sub spe magni lucri“. Alla spedizione parteciparono tre navi – la Santa Maria de la Concepción, la Santa Maria del Espinar, la Trinidad – e un brigantino, il San Gabriel, armato da Miguel de Rifos. Si sperava che il convoglio avrebbe completato il viaggio in un tempo inferiore a quello della Victoria di Magellano. Purtroppo, già prima della partenza, nacquero dissidi tra Sebastiano e i rappresentanti della compagnia di mercanti e armatori che avevano finanziato l’impresa. Sebastiano avrebbe preferito come luogotenente Miguel de Rifos (su suggerimento della moglie, come insinuò poi qualcuno), ma i sivigliani riuscirono a imporre, con un rescritto regio del 13 gennaio 1526, Martín Méndez, che godeva della loro fiducia perché del luogo ed esperto della rotta, avendo partecipato alla spedizione di Magellano. Inoltre, comandante della Trinidad era Francisco Rojas, che durante la disputa per la designazione del luogotenente stava per sostituire Sebastiano nel comando generale. Pietro Martire informa che la spedizione avrebbe dovuto dirigersi direttamente verso lo stretto di Magellano e poi proseguire per le Molucche.
La traversata atlantica, lungo la rotta tradizionale delle isole di Capo Verde, fu rallentata da tempeste e bonacce, al punto che fu necessario ridurre al minimo le razioni d’acqua. Diego García, che nello stesso anno guidò un’altra spedizione in Sud America, accusò Sebastiano di non aver saputo sfruttare le correnti provenienti dal golfo di Guinea, sostenendo che non fosse un vero uomo di mare. Anche Gregorio Caro, comandante di una delle navi, lo criticò per aver deliberatamente seguito una rotta troppo occidentale, ignorando il parere dei piloti, una rotta che non poteva condurre altro che in Brasile, in una stagione poco favorevole alla navigazione. Raggiunsero Capo Sant’Agostino il 3 giugno, e quando due giorni dopo ripresero il mare per non prolungare la sosta in una terra sotto il controllo portoghese, le correnti contrarie e le tempeste dell’inverno australe resero vani i tentativi di proseguire. Non restò quindi che svernare nella baia di Pernambuco, appoggiandosi a una piccola fattoria portoghese. Durante la sosta, protrattasi per quasi tre mesi, la forzata inattività fece esplodere le tensioni tra il capitano generale e gli ufficiali, che fino ad allora non erano mai sfociate in incidenti gravi. Sebastiano fece arrestare senza un regolare processo Méndez e Francisco Rojas con l’accusa di ammutinamento, ma è probabile che agì d’impulso, tanto che li reintegrò pochi giorni dopo. Non a caso Gonzalo Fernández de Oviedo y Valdés, “primo cronista del Nuovo Mondo“, scrisse di lui che era un eccellente cosmografo, capace di costruire sia mappe piane che sferiche, ma che governare uomini è cosa ben diversa dal maneggiare un astrolabio o un quadrante.
Appena la stagione lo permise, la spedizione riprese il suo viaggio e giunse alla baia de los Patos, dove la nave ammiraglia, incagliatasi su un bassofondo, si rovesciò e naufragò, perdendo il preziosissimo carico che comprendeva non meno della metà delle provviste della spedizione. Questo evento fu un duro colpo per il morale degli uomini e alimentò ulteriormente l’opposizione, guidata da Francisco Rojas. Nella baia, la spedizione intercettò alcuni naufraghi spagnoli, i quali raccontarono di una lontana e misteriosa regione dell’interno, dove si diceva ci fosse una montagna d’argento e un leggendario “re bianco”. Questi racconti instillarono in Sebastiano il miraggio di caricare le sue navi con metalli preziosi se avesse risalito il Rio de Solís e i grandi fiumi che conducevano al Perù. Di conseguenza, Sebastiano decise di cambiare la destinazione della spedizione, abbandonando l’obiettivo delle Molucche in favore di una meta che appariva altrettanto promettente dal punto di vista economico e più adatta alle ormai limitate risorse della spedizione.
La perdita della nave ammiraglia influì notevolmente sulla scelta di abbandonare le Molucche e risalire il Rio de la Plata in cerca di nuove ricchezze. Tuttavia, il capitano generale volle prima discutere la decisione con i suoi ufficiali. Ad eccezione di Rojas e Méndez, tutti si dichiararono favorevoli a fermarsi nella regione già nota ai portoghesi come Rio de la Plata, ma ancora chiamata Rio de Solís dagli spagnoli. Così, il 15 febbraio 1527, Sebastiano e i suoi uomini ripartirono, non prima di aver abbandonato a terra Rojas, Méndez, Miguel de Rodas (pilota della nave ammiraglia) e alcuni altri loro sostenitori. Sebbene meritassero la pena capitale per ammutinamento, furono invece sbarcati con una buona scorta di viveri e il favore delle tribù indigene. Sebastiano intendeva semplicemente allontanarli dalla spedizione, temendo che il loro spirito di rivolta potesse contagiare gli altri membri del gruppo, con l’idea di recuperarli al ritorno.
Il viaggio di Sebastiano nella regione platense, allora praticamente sconosciuta, durò più di tre anni. Se avesse avuto ancora dubbi sull’opportunità di intraprenderlo, l’arrivo a San Lazzaro di Francisco del Puerto, un altro superstite della spedizione di Solís, bastò a convincerlo. Del Puerto confermò le notizie sulle inestimabili ricchezze del Paese e si offrì come guida. Durante il cammino verso il Perù, gli indiani mostrarono i loro ornamenti d’oro e d’argento, ottenuti in cambio da altre tribù più lontane, alimentando ulteriormente il sogno dei tesori.
L’impresa, però, si concluse in modo deludente, non ripagando le perdite, le fatiche e i patimenti. “Sine honra e sin provecho” (senza onore e senza profitto). Sebastiano, con le due navi minori, risalì il fiume Paraná fino alla confluenza con il Carcarañá, dove arrivò il 27 maggio. Qui costruì un fortino, chiamato San Spirito, dove rimase fermo per circa sette mesi, poiché molti dei suoi uomini si erano ammalati. Riprese poi il viaggio sul Paraná fino a un’isola scoperta il 1º gennaio 1528, a cui diede il nome di Año Nuevo, guidato dalle popolazioni locali, tra cui i Quirandí. Le scorte di viveri si esaurirono rapidamente, costringendo i membri della spedizione a cibarsi di “animali più immondi e piante più selvatiche“, e a mangiare qualsiasi filo d’erba, senza badare se fosse commestibile o meno.
Esasperato dalle privazioni, un gruppo numeroso tramò una fuga, ma Sebastiano, avvertito in tempo, fece impiccare il capo della rivolta e condannò i complici principali a pene varie. Infine, soccorsi da una ventina di canoe di indigeni, trovarono ospitalità e ristoro presso la tribù guidata da Yaguaron, sulle rive del Paraná. Gli uomini di Yaguaron portavano orecchini e lamine d’oro e d’argento, che dicevano di aver ottenuto dalla tribù dei Chanduli, situata a una settantina di leghe, come confermò Francisco del Puerto. Le mitiche montagne non sembrarono mai così vicine e tutti ripresero coraggio, sentendo che presto le loro fatiche sarebbero state largamente ricompensate.
La spedizione proseguì fino al territorio dei Chanduli, ma dopo un’accoglienza apparentemente amichevole, forse temendo che gli europei fossero venuti per una rappresaglia per l’uccisione di alcuni superstiti della spedizione di Solís, gli indigeni li attirarono in un agguato e uccisero diciassette uomini, tra cui il Rifos; molti altri furono feriti e messi in fuga. Questo fu il punto più settentrionale raggiunto dalla spedizione, e Sebastiano decise di abbandonare l’impresa. La sua decisione fu motivata dallo stato in cui si trovava il gruppo dopo il tragico episodio e, secondo Ramirez, soprattutto dalla conferma dell’arrivo di altre navi europee, notizia che gli era già giunta a Sant’Anna. Si trattava delle navi di Diego García, partito da La Coruña il 15 agosto 1526, con un privilegio sovrano che gli assicurava per otto anni i diritti sui territori ancora inesplorati, con particolare riguardo alla regione platense.
È certo che Sebastiano, al momento di partire dalla Spagna, era all’oscuro dei preparativi di questa spedizione, alla quale non avrebbe mai invaso il campo. García, dal canto suo, ignorava la deviazione compiuta dalla flotta diretta alle Molucche e, a metà gennaio 1528, aveva raggiunto la base cabotiana del Grajeda, sull’Uruguay. Informato dell’itinerario seguito da Sebastiano, tornò indietro per risalire il Paraná con due brigantini, sperando di trovarlo. L’incontro tra i due avvenne nel maggio del 1528, sulle rive di un’isola del Paraná. Non si sa in quali termini si svolse il colloquio tra i due contendenti, entrambi convinti del proprio buon diritto, ma la minaccia incombente degli indigeni facilitò un compromesso: riunite le due spedizioni, avrebbero costruito sei brigantini a San Spirito, con i quali avrebbero risalito il fiume fino alle montagne dell’oro e dell’argento. I profitti sarebbero stati suddivisi in modo che la quota maggiore spettasse a Sebastiano, e solo un quarto (o forse un terzo) a García, naturalmente condivisi anche con i loro uomini.
Nella seconda metà di novembre, la flottiglia riprese il viaggio sul Paraná, ma in un punto imprecisato del fiume, probabilmente in Paraguay secondo l’ipotesi di Errera, le imbarcazioni tornarono indietro in soccorso del forte di San Spirito, minacciato da un attacco degli indigeni. L’ostilità delle popolazioni locali li convinse a ritirarsi nuovamente a San Salvador, in attesa dei rinforzi richiesti dalla madrepatria. Come deciso in una riunione del 6 ottobre, attesero fino agli ultimi giorni di dicembre. Tuttavia, le condizioni disperate degli uomini, l’esaurimento delle munizioni e i continui assalti degli indigeni convinsero tutti a rinunciare a ulteriori tentativi e a tornare in Spagna. Prima di partire, Sebastiano cercò di recuperare gli ammutinati, ma trovò solo Francisco Rojas, il quale inizialmente rifiutò di imbarcarsi sulla nave di Sebastiano, nonostante il salvacondotto offerto per rientrare in Spagna. Dopo varie discussioni, Rojas finì per salire a bordo della nave di García.
Sebastiano arrivò a Siviglia il 22 luglio 1530 con una sola nave, senza l’oro e l’argento. Aveva arbitrariamente cambiato la meta della spedizione rispetto a quella originariamente prevista, e nel territorio da lui scoperto – che i superstiti continuavano a decantare come ricchissimo di tali metalli – non era stato lasciato nessuno, lasciandolo così alla mercé di chiunque volesse impadronirsene.
Per quanto si sentisse scevro da colpe – annota Tarducci nella sua appassionata difesa – egli era un generale che tornava vinto dalla battaglia, con l’esercito ridotto a nulla.
Subito dopo il suo arrivo, iniziarono le accuse dei suoi finanziatori sivigliani. Diego García e Rojas lo accusarono di aver tentato di far uccidere Rojas a tradimento, poiché quest’ultimo si opponeva a un progetto che Sebastiano avrebbe iniziato a sviluppare sotto l’istigazione dei portoghesi di Pernambuco: abbandonare la spedizione alle Molucche per dirigersi invece verso il Rio de la Plata, attratto dall’oro che si diceva vi si trovasse in abbondanza. Un processo fu presto avviato dalla Casa de Contratación e già il 29 luglio Sebastiano venne arrestato; nel maggio 1531 era in libertà provvisoria, sotto cauzione. Egli doveva essere convinto della propria innocenza e confidare in una sentenza favorevole, se prima che questa venisse pronunciata aveva chiesto a Carlo V un contributo di 4.000 ducati per una nuova spedizione in Asia orientale, attraverso lo stretto di Magellano o per altra rotta, che aveva in progetto per l’autunno del 1532. Il processo si concluse nel febbraio 1532 con la condanna di Sebastiano a due anni di confino a Orano per abuso d’autorità nei confronti di Rojas e Mendez, e al pagamento di un’indennità di 40.000 maravedis alla famiglia di quest’ultimo. Fu assolto da tutte le altre imputazioni, compresa quella di aver contravvenuto alle istruzioni ricevute sulla meta del viaggio.
Il clima in cui si svolse il processo fu certamente poco favorevole all’imputato. Uno dei punti su cui i testimoni furono chiamati a deporre era infatti: “se è noto che Rojas è di nobile famiglia e di riconosciuto valore, mentre Caboto è straniero, persona ignota, inabile tanto al governo di un’armata quanto ad altri uffici“. Sebastiano dovette difendersi da accuse come quella di aver tentato, in concorso con la moglie, di assassinare Mendez e di essere responsabile della perdita del carico della nave ammiraglia per averla abbandonata vigliaccamente mentre stava affondando. L’esilio gli fu presto condonato, ma alle amarezze procurategli dall’impresa del Paraná si aggiunse il dolore per la morte della figlia. Conservò l’importante ufficio di piloto mayor fino alla metà del 1548, dove si occupò particolarmente dell’aggiornamento del Padrón Real, la carta ufficiale delle navigazioni. Sebastiano riteneva infatti che fosse possibile risolvere l’ancora insoluto problema della determinazione della longitudine in mare coordinando sistematicamente sulle carte le osservazioni sulla declinazione e sulle variazioni dell’ago magnetico. Sebastiano ha legato il suo nome anche a un secondo metodo per determinare la longitudine, altrettanto inefficace, basato sull’osservazione della declinazione del sole. Forse frustrato dal continuo ostracismo dei piloti castigliani, dal 1538 cercò contatti per rientrare in Inghilterra, ma riuscì nel suo intento solo dopo l’ascesa al trono di Edoardo VI, nel 1548. Sebastiano approfittò di un congedo concessogli dall’imperatore, che lo mantenne almeno formalmente in carica senza sostituirlo definitivamente fino alla metà del 1552, dopo aver più volte sollecitato il suo ritorno. Tuttavia, nel 1550, Sebastiano dichiarò esplicitamente di trovarsi in Inghilterra di sua volontà, non forzato da nessuno, e che non aveva alcuna intenzione di tornare in Spagna; così, non ebbe alcun esito neppure la richiesta che Carlo V rivolse privatamente alla regina Maria nel 1553 per autorizzare Sebastiano a recarsi temporaneamente da lui per alcuni affari riguardanti la sicurezza della navigazione nei domini spagnoli: egli rispose al suo vecchio protettore che non poteva partire per la Spagna perché malato e gli inviò una carta con tutte le informazioni richieste. In Inghilterra esercitò la funzione di supervisore e consulente della Corona in questioni marittime, ricevendo il titolo di esquire.
Tuttavia, sembra che non fosse contento della sua situazione, poiché lo vediamo nuovamente in trattative con Venezia per offrire i suoi servizi. In un dispaccio del 17 agosto 1551, infatti, l’ambasciatore a Londra Giacomo Soranzo comunicava al Consiglio dei Dieci che Sebastiano gli aveva accennato a un progetto di navigazione e, insieme, lo aveva interessato alla questione del recupero di crediti e beni che gli appartenevano a Venezia. Si è sempre pensato che la questione del recupero dei beni fosse anche questa volta un espediente per consentire a Sebastiano di tornare nella sua città natale senza destare sospetti, ma dopo le ricerche di Rodolfo Gallo sui beni fondiari della famiglia Caboto a Venezia è lecito chiedersi se la preoccupazione principale di Sebastiano non fosse proprio quella di tornare in possesso dei suoi averi, mentre l’offerta di un chimerico progetto di navigazione era semplicemente un mezzo per guadagnarsi il favore delle autorità veneziane. Il progetto offerto a Venezia poteva essere quello che Sebastiano riuscì a realizzare in Inghilterra nella primavera del 1551, cioè la ricerca di un collegamento con i Paesi dell’Estremo Oriente navigando lungo le coste settentrionali dell’Asia. Sebastiano seppe cogliere il momento favorevole della rottura del monopolio commerciale degli Easterlings per promuovere con banchieri e mercanti inglesi la costituzione della compagnia Merchants adventurers for the discoverie of Regions, Dominions, Islands and places unknown, della quale divenne governatore. Sono opera sua le ordinanze che regolarono il primo viaggio, capitanato da Hugh Willoughby e di cui era pilota generale Richard Chancellor. Munita di credenziali per tutti i re e signori del mondo, la spedizione partì da Ratcliffe nel maggio del 1551, ma i risultati, seppur notevoli, furono più modesti di quelli sperati, poiché una tempesta separò le tre navi. Willoughby, dopo essersi avventurato nei pressi della Novaja Zemlja, cercò di svernare nella penisola di Kola, ma perse la vita con i suoi uomini; Chancellor, che giunse alla foce della Dvina, riuscì invece a tornare in patria. Conseguenza di questo viaggio fu la costituzione, il 26 febbraio 1555, della Compagnia di Moscovia, alla quale fu attribuito il monopolio del commercio con la Russia. Sebastiano morì alla fine del 1557, presumibilmente prima di novembre. Il luogo della sua sepoltura rimane sconosciuto.
Straniero al servizio d’Inghilterra e di Spagna, Sebastiano non ebbe una vita facile, ché dovette difendersi da accuse e da gelosie. Eppure fu il primo uomo a tentare di raggiungere l’ambita Asia in tre direzioni diverse: nord-ovest, sulle orme del padre, sud-ovest e nord-est.