Le Olimpiadi non sono soltanto un palcoscenico per l’eccellenza atletica, ma anche un terreno fertile per intense rivalità che spesso rispecchiano le tensioni geopolitiche e culturali del tempo. Questi scontri hanno non solo acceso la competizione sportiva, ma hanno anche avuto profonde implicazioni storiche e sociali.
1904 – la Maratona di Saint Louis: una gara da incubo
La maratona dei Giochi Olimpici di Saint Louis del 1904 è ricordata come una delle gare più assurde e drammatiche nella storia delle Olimpiadi. Con temperature superiori ai 30 gradi, il percorso aperto al traffico e un solo punto di rifornimento idrico, solo 14 dei 32 corridori riuscirono a completare la gara. Il primo a tagliare il traguardo, Frederick Lorz, fu squalificato dopo che si scoprì che aveva percorso metà gara in auto. Il vero vincitore, Thomas Hicks, fu portato al traguardo dai suoi allenatori dopo aver ricevuto due dosi di stricnina per stimolarlo, rischiando seriamente la vita. Per gli ultimi chilometri, sull’orlo del collasso, i suoi allenatori lo portarono in braccio. All’arrivo, il medico che lo curò disse che una terza dose di stricnina sarebbe stata letale. Questo evento segnò uno dei primi casi documentati di doping nella storia dello sport.
1924 – Richard Norris Williams: dal Titanic alle Olimpiadi di Parigi
Una delle storie più incredibili legate alle Olimpiadi riguarda Richard Norris Williams, che vinse il torneo di doppio misto di tennis ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924. Williams è noto per essere sopravvissuto al disastro del Titanic. Salito a bordo del transatlantico con il padre Charles per tornare negli Stati Uniti, Richard sopravvisse nuotando nelle gelide acque dell’Atlantico dopo l’affondamento della nave. Nonostante il consiglio dei medici di amputare le sue gambe congelate, Williams rifiutò e riuscì a recuperare completamente. Questo spirito indomito lo portò a vincere numerosi titoli nel tennis, culminando con il trionfo olimpico.
1936 – Jesse Owens vs Luz Long, e sullo sfondo il Nazismo
Nelle prime Olimpiadi cinematografiche, l’immagine di Jesse Owens che vince quattro medaglie d’oro è diventata iconica, un potente simbolo di sfida contro la propaganda nazista. Tuttavia, dietro questo momento storico c’è una storia di sportività e rispetto tra Owens e il suo rivale tedesco, Luz Long. Owens si trovava sotto pressione non solo per competere al massimo livello, ma anche per rappresentare un contrappunto vivente alle teorie razziali naziste. Nelle fasi preliminari, stava faticando con i giudici che tentavano con vari espedienti di squalificarlo. Long, che stava gareggiando per la Germania, notò le difficoltà dell’avversario e gli offrì un consiglio amichevole, suggerendogli di iniziare il salto prima per evitare un altro fallo. Owens seguì il consiglio e riuscì a qualificarsi, andando poi a vincere la medaglia d’oro con Long che si classificò secondo. Questo gesto di sportività non solo aiutò Owens a trionfare, ma creò anche un legame tra i due atleti che sfidava le ideologie oppressive del tempo. Dopo la vittoria, i due si abbracciarono, un atto di umanità che rimane uno dei momenti più toccanti nella storia delle Olimpiadi.
1952 – Helsinki e la Guerra Fredda
Le Olimpiadi di Helsinki del 1952, che videro Calvino come cronista, furono il primo palcoscenico sportivo della Guerra Fredda. La partecipazione della Russia sovietica per la prima volta dal 1912 avvenne in un clima di sospetto e rivalità ideologica. Gli atleti sovietici, alloggiati in un’area recintata alla periferia di Helsinki, ricevettero un’accoglienza fredda dal pubblico. Tuttavia, uno dei momenti più inaspettati di distensione si verificò durante la competizione del salto con l’asta. Robert Richards, un pastore protestante statunitense, si congratulò sportivamente con il suo rivale sovietico Piotr Denisenko dopo che quest’ultimo si qualificò per il turno successivo. Questo gesto di sportività fu accolto con applausi dalla folla e da quel momento in poi l’atmosfera tra gli atleti si distese, come mostra questa fotografia di un saltatore dal trampolino statunitense che abbraccia due sovietici. Alla fine, fu Richards a vincere la medaglia d’oro, ma il vero trionfo fu il segnale di speranza dato dallo sport come terreno comune di rispetto reciproco, nonostante le profonde divisioni politiche.
1956 – Ervin Zádor e “Blood in the Water”
I Giochi Olimpici di Melbourne del 1956 furono segnati da uno degli episodi più drammatici e simbolici nella storia delle Olimpiadi: la partita di pallanuoto tra Ungheria e Unione Sovietica, nota come Blood in the Water. Questa gara si svolse poco dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria, che aveva scatenato una brutale repressione e portato alla morte di migliaia di ungheresi. L’atmosfera era già carica di tensione quando le due squadre si affrontarono in semifinale. L’Ungheria, che godeva del sostegno appassionato del pubblico australiano, si portò rapidamente in vantaggio per 4-0. La tensione raggiunse il culmine quando il giocatore sovietico Valentin Prokopov colpì con un pugno il fuoriclasse ungherese Ervin Zádor, che iniziò a sanguinare copiosamente. L’arbitro, temendo per la sicurezza dei giocatori, decise di sospendere la partita prima del termine. L’Ungheria fu dichiarata vincitrice e successivamente conquistò la medaglia d’oro. L’immagine di Zádor con il volto insanguinato divenne un potente simbolo della lotta ungherese contro l’oppressione sovietica. Metà dei giocatori ungheresi, incluso lo stesso Zádor, chiese asilo politico in Australia, trasformando questa partita di pallanuoto in un atto di resistenza politica e umana.
1976 – Montreal e le accuse di doping
Alle Olimpiadi di Montreal Shirley Babashoff si trovò a competere contro una squadra di nuotatrici della Germania Est che sembrava imbattibile. Nei 200, 400 e 800 metri stile libero, Babashoff dovette accontentarsi della medaglia d’argento, mentre l’oro andava sempre alle tedesche. L’immagine della partenza dei 200 metri, con Babashoff al centro e Kornelia Ender della Germania Est in alto, cattura perfettamente il clima di quelle competizioni. Già durante la competizione, Babashoff non esitò a sollevare dubbi sulle prestazioni delle sue avversarie, accusando la squadra tedesca, e in particolare la Ender, di aver fatto uso di sostanze dopanti per migliorare le prestazioni. Le sue accuse furono accolte con scetticismo e critiche dalla stampa, che la dipinse come una cattiva perdente. Ma le critiche non erano basate su semplici sospetti, ma su osservazioni concrete: le trasformazioni fisiche impressionanti delle atlete della Germania Est, il loro miglioramento improvviso e drammatico delle prestazioni, e la voce profonda e mascolina di alcune nuotatrici. Tuttavia, in assenza di prove concrete all’epoca, le sue denunce furono ignorate. Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, vennero declassificati documenti del regime comunista della Germania Est che confermavano i sospetti della Babashoff. Questi documenti rivelarono un programma di doping di Stato, noto come Piano 14.25, che coinvolgeva l’uso sistematico di steroidi anabolizzanti e altre sostanze dopanti sui loro atleti, inclusa Kornelia Ender. Nonostante ciò, il Comitato Olimpico Internazionale decise di mantenere intatto il medagliere.
1980 – La guerra delle bandiere
Le Olimpiadi di Mosca del 1980 furono profondamente segnate dalla Guerra Fredda, con numerosi Paesi che boicottarono i Giochi su invito degli Stati Uniti, in segno di protesta contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Questo boicottaggio alterò profondamente lo spirito olimpico, con alcune delegazioni, come quella britannica, che decisero di sfilare senza i propri atleti e sotto la bandiera olimpica piuttosto che quella nazionale. Alla cerimonia di chiusura il protocollo prevedeva l’innalzamento della bandiera della Grecia in quanto Paese di origine dei giochi olimpici, della bandiera del Paese ospitante (l’URSS) e della bandiera del prossimo Paese ospitante (gli USA), ma la Casa Bianca si oppose “a qualsiasi uso della bandiera e dell’inno nazionale durante l’intera durata dei giochi a Mosca“, per cui si dovette improvvisare la soluzione di esporre la bandiera della città di Los Angeles, futura sede dei Giochi del 1984.