Ci sono oggetti che entrano nella quotidianità e la forgiano, diventando appendici indispensabili di ciò che siamo e di ciò che vorremmo essere. Prima dell’avvento della tecnologia tascabile, questi oggetti erano meccanici, funzionavano con molle e pistoni o circuiti elettrici, a volte con piccoli ingranaggi. Tutti nascondevano le nostre emozioni, le nostre velleità. Grammofoni, carillon, auto: tutti oggetti passati dalla quotidianità alla beatificazioni come prolungamenti del nostro spirito. A tutti questi oggetti sono stati dedicate pagine di letteratura e di spiritualità – si veda il caso de Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta – ed oggi andiamo a scoprire con piacere che un altro oggetto che ha accompagnato e accompagna le nostre vite riceve uno splendido encomio.
A scrivere questa riflessione omaggio al calciobalilla è Andrea Viola, classe 1977, storico ed esperto di archeologia, che con passione e meticolosità ricostruisce la storia affascinante di questo gioco da tavolo con cui tutti ci siamo confrontati con alterni successi. La filosofia del calciobalilla, particolare non da poco, viene edito da Il Melangolo, casa editrice genovese fondata da Carlo Angelino e Elio Gioanola nel 1976 e da sempre attenta ai temi della filosofia, della critica sociale, della bellezza teoretica.
Tante volte abbiamo narrato di partite o eventi sportivi che hanno cambiato la Storia, ma questa volta parliamo di una simulazione da tavolo dello sport che ha cambiato la vita di molti. La filosofia del calciobalilla ci porta dentro questa storia micro e macro insieme. Il pregio del saggio di Andrea Viola e di ricostruire una storia affasciante ed avventurosa, partendo da una passione, da un desiderio appagato tra i piccoli bar genovesi, dove al pomeriggio si consumano sfide improvvisate fra perdigiorno e romantici da bancone.
Proprio nell’ultima parte del libro, quella in cui Viola spiega la nascita della sua passione per il calciobalilla, troviamo uno scorcio di quotidianità genovese, cosi decadente e così affascinante da farci salire immediatamente su un treno per scoprire quella città in cui “ogni volta ci chiediamo/ se quel posto dove andiamo/ Non c’inghiotte, e non torniamo più”. E allora ci ritroviamo tra “freschi” e regnanti, cioè fra chi vince e resta giocare e chi perde e lascia il posto, accomodati a bere vino nella sala adiacente. Qui, in questo spazio della memoria e della fantasia si compiono ogni giorno sfide infinite, interminabili fra persone che manovrano undici omini di moplen. Ma perché il calcio balilla è diventato un simbolo cosi forte di amicizia, incontro, scambio?
‘E poi ci sono ragazzi e ragazze, uomini e donne’ racconta Viola con ironia, ‘che si avvicendano alle stecche. E poi ci sono loro undici omini. Rossi e blu. Si sfidano da sempre, alternativamente vincono e perdono. Fanno goal e parate incredibili, giocate funamboliche. Ma sono il simbolo dell’amicizia. Perché? Non si sono mai guardati male’.
Eppure quegli undici omini hanno storia e una nascita tutt’altro che tranquilla, anzi travagliata si direbbe, che però affonda le sue radici in una storia più grossa, più importante. Troviamo infatti nelle prime pagine del libro l’affascinante nascita del gioco del calcio da tavolo, una storia inimmaginabile. Bisogna risalire alla guerra civile spagnola tra il 1936 e il 1939, periodo tremendo della storia contemporanea che vedrà dilaniarsi un paese afflitto per primo in Europa dalla violenza ideologica del fascismo e dallo smarrimento dell’ideologia comunista e anarchica. In questo clima di violenza e odio generalizzato, un uomo è alla ricerca della propria fuga, prima fantastica poi reale. Alexandre Campos Ramírez, meglio noto Alejandro Finisterre, immagina un gioco del calcio da tavola, forse un gioco che si possa praticare anche a casa mentre fuori il clima di violenza divampa. Finisterre intuisce il valore di questa scoperta, preparando anche le carte per il brevetto del gioco. Carte ahimè che non arriveranno mai negli appositi uffici e il cui smarrimento si perde nella leggenda.
Ma è da questo uomo leggendario e inquieto che nasce la storia fantastica del gioco che tutti conosciamo. Storia, però, che si arricchirà proprio nel porto di Genova, dove quel gioco sbarcherà per essere poi assemblato ad Alessandria e da lì partire per una produzione industriale e quindi per conquistare il mondo. Viola nel ricostruire la storia del calciobalilla non dimentica come il gioco sia entrato anche nella letteratura e nel cinema per guadagnarsi un posto d’eccellenza nella vita della società italiana anche grazie a libri, fumetti e film. Non mancano in questo delizioso saggio una descrizione accurata di come il calciobalilla si costruisce e delle sue regole, senza cadere nel tecnicismo, ma dando però un interessante quadro di rifermento per comprendere meglio questo gioco.
Interessanti sono anche le ultime pagine dedicate alla posizione di rilievo che il gioco da tavolo si è ritagliato fra gli sport ben più acclamati a livello mondiale, arrivando addirittura ad essere utilizzato dal 2011 come Sport Therapy nei principali ospedali italiani e segnalandosi come pratica sportiva proficua per le persone con disabilità. Andrea Viola ci regala un piccolo gioiello di poesia quotidiana, dove ancora una volta lo sport si incrocia con la Storia e con la passione per la libertà. Sarà l’aver evocato una figura temeraria come quella di Finisterre, sarà la capacita di collegare un gesto semplice come il rullare all’amore per l’amicizia, sta di fatto che La filosofia del calciobalilla regala una piccola emozione semplice che viene subito voglia di condividere. Magari proprio in uno di quei bar sul finire di Genova che nel saggio vengono raccontati così bene