Leor Zmigrod

Ideologie e cervello: quando la biologia guida le convinzioni

Nel suo nuovo libro, The Ideological Brain, la neuroscienziata Leor Zmigrod esplora le radici neurologiche e biologiche del pensiero rigido.

Le divisioni politiche sembrano oggi così profonde e insanabili da far pensare che le persone vivano in mondi paralleli. Secondo Leor Zmigrod, neuroscienziata e psicologa politica dell’Università di Cambridge, questa sensazione potrebbe essere più reale di quanto sembri. Nel suo nuovo libro, The Ideological Brain: The Radical Science of Flexible Thinking, Zmigrod porta alla luce una serie di ricerche che mostrano come la predisposizione all’ideologia non dipenda solo dall’ambiente o dall’educazione, ma anche da fattori biologici e neurologici.

L’ideologia, spiega Zmigrod, è molto più di un’opinione politica o di un orientamento culturale: è una struttura narrativa che racconta come funziona il mondo e come dovrebbe funzionare. Può riguardare tanto la società quanto la natura, e si distingue per una caratteristica fondamentale: impone regole rigide su come pensare, agire, relazionarsi con gli altri. Non tollera deviazioni e tende a condannare chi si discosta dai suoi dogmi.

Ma cosa rende alcune persone più inclini di altre ad abbracciare un pensiero ideologico rigido? Secondo Zmigrod, una delle risposte risiede nel bisogno umano di semplificare il mondo. Le ideologie offrono spiegazioni immediate, riducono l’incertezza e forniscono un senso di appartenenza. In un contesto in cui esplorare il mondo in modo libero e autonomo richiede risorse cognitive elevate, affidarsi a regole e schemi già pronti può sembrare una strategia più efficiente e rassicurante.

The Ideological Brain: The Radical Science of Flexible Thinking

Tuttavia, questo stesso meccanismo rischia di intorpidire la nostra esperienza del reale. L’adesione rigida a un’ideologia può ridurre la nostra capacità di comprendere nuove prove, distinguere tra fonti attendibili e non attendibili, e adattarsi ai cambiamenti. In altre parole, la rigidità ideologica può diventare una gabbia mentale che ostacola la flessibilità cognitiva.

Le radici di questo fenomeno si possono osservare fin dalla prima infanzia. Negli anni Quaranta, la psicologa Else Frenkel-Brunswik condusse un famoso studio su centinaia di bambini, valutando il loro livello di pregiudizio e autoritarismo. I risultati mostrarono che i bambini più inclini al conformismo tendevano a distorcere le storie che venivano loro raccontate, aggiungendo elementi negativi ai personaggi appartenenti a minoranze, o ripetendo rigidamente frasi e dettagli senza coglierne il significato. Al contrario, i bambini più aperti e immaginativi ricordavano le storie con maggiore fedeltà e nuance.

Questo stesso schema si riscontra negli adulti. I pensatori ideologici tendono a elaborare le informazioni in modo differente, spesso resistendo alle novità o ai cambiamenti. Negli esperimenti cognitivi, ad esempio, viene chiesto ai partecipanti di ordinare carte da gioco seguendo una certa regola. A un certo punto, la regola viene cambiata senza preavviso. Chi possiede una mente flessibile si adatta rapidamente; chi è più rigido, invece, insiste nel seguire la vecchia regola, anche quando non porta più risultati.

Le differenze non si fermano al comportamento: arrivano fino alla biologia del cervello. Gli studi della Zmigrod hanno individuato correlazioni tra la rigidità ideologica e specifiche caratteristiche neurobiologiche. Le persone più inclini al pensiero rigido, ad esempio, tendono ad avere livelli più bassi di dopamina nella corteccia prefrontale (la sede delle funzioni esecutive) e livelli più alti nel corpo striato, una regione profonda del cervello coinvolta nella regolazione delle ricompense e degli impulsi.

Queste differenze sembrano riflettersi anche nella struttura del cervello. Alcuni studi hanno rivelato che le persone con ideologie più conservatrici presentano un’amigdala — la regione cerebrale che gestisce emozioni come la paura, la rabbia e il disgusto — di dimensioni maggiori. L’interpretazione di questo dato rimane aperta: è possibile che una maggiore reattività emotiva predisponga all’adozione di ideologie che enfatizzano ordine e sicurezza, ma non si può escludere che l’esposizione prolungata a ideologie conservative possa influenzare la struttura stessa del cervello. È il classico dilemma dell’uovo e della gallina.

Questo non significa, però, che siamo condannati a restare fermi nelle nostre convinzioni. Per quanto la biologia possa predisporre al pensiero rigido, nulla è determinato in modo assoluto. La Zmigrod è convinta che la flessibilità mentale sia un’abilità che può essere allenata e sviluppata. Certo, per chi ha una vulnerabilità genetica sarà più difficile cambiare, ma non è impossibile. In fondo, possiamo scegliere quanto aderire a un’ideologia, quanto lasciarci coinvolgere, quanto mettere in discussione ciò in cui crediamo.

Il messaggio centrale di The Ideological Brain è chiaro: se vogliamo davvero comprendere come funziona il pensiero umano, dobbiamo guardare oltre le opinioni espresse e iniziare a esplorare le strutture profonde che le generano. L’ideologia, ci dice Zmigrod, non è solo ciò che pensiamo. È anche, e forse soprattutto, il modo in cui siamo fatti.

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