L’esistenza stessa delle isole tropicali appare quasi improbabile, come un’illusione sopra l’immensa distesa oceanica. Decenni fa, quando il mondo iniziò a prestare attenzione al riscaldamento globale, queste isole, formatesi su barriere coralline, furono rapidamente identificate come alcuni dei primi luoghi che il cambiamento climatico avrebbe devastato completamente. Si pensava che, con lo scioglimento delle calotte polari e l’innalzamento dei mari, queste isole sarebbero state sommerse e avrebbero fatto ritorno nell’oblio acquatico, probabilmente entro questo secolo.
Tuttavia, non molto tempo fa, i ricercatori hanno iniziato a esaminare immagini aeree e hanno scoperto qualcosa di sorprendente. Partendo con un paio di dozzine di isole, passando poi a diverse centinaia e ora quasi a 1.000, hanno scoperto che negli ultimi decenni i bordi delle isole si sono spostati. In generale, la loro superficie non è diminuita; in alcuni casi, è successo il contrario: sono cresciute. I mari si sono alzati e le isole si sono espanse con essi.
Recentemente un team si è riunito alle Maldive per studiare come la continua collisione tra le onde e la sabbia possa compiere cose sorprendenti e apparentemente magiche alle coste, distruggendole e al contempo estendendole. Ma, questo fenomeno non vale per tutti gli atolli, il cui futuro non è ancora al sicuro: mentre alcuni potranno essere abitati, altri rischiano di non poter essere salvati. Nei primi, sarà necessario pianificare la fornitura a lungo termine di acqua dolce, la creazione di posti di lavoro, la costruzione di scuole, infrastrutture e l’assistenza sanitaria. Dovranno inventare il miglior futuro possibile con le risorse limitate a loro disposizione.
Un tempo i vulcani occupavano il posto degli atolli. Raffreddandosi e sprofondando, permisero ai coralli di crescere e formare le barriere che racchiudono le lagune, creando gli atolli, che variano in aspetto a seconda della loro fase evolutiva. In Polinesia Francese, alcuni sono piccoli anelli di terra, altri lunghe collane sinuose. Nelle Maldive, sono enormi, frastagliati e deformi. In Micronesia, resti vulcanici si ergono ancora sopra alcune isole. All’interno di alcuni atolli, ci sono mini-atolli e micro-atolli: anelli dentro anelli dentro anelli.
“Queste formazioni si collocano sicuramente tra gli oggetti meravigliosi di questo mondo“, scrisse Charles Darwin nel 1836, dopo aver visitato un atollo dell’Oceano Indiano durante il suo viaggio sul Beagle. Darwin teorizzò che gli atolli fossero siti di sepoltura per vulcani morti. Solo più tardi gli scienziati scoprirono un pezzo chiave della loro storia recente: oscillazioni nel livello del mare avevano sommerso ed esposto le isole diverse volte nel corso dei secoli.
Per capire cosa è successo agli atolli dall’inizio di questo accelerato innalzamento del mare, due ricercatori, Arthur Webb e Paul Kench, hanno deciso di osservarli dall’alto. Hanno raccolto foto aeree di 27 isole del Pacifico dalla metà del XX secolo e le hanno confrontate con immagini satellitari recenti.
Le loro scoperte hanno causato scalpore.
Nonostante il mare si sia alzato di circa tre centimetri per decennio, le onde hanno continuato ad accumulare abbastanza sedimenti sulle coste delle isole da far sì che la maggior parte di esse non sia cambiata molto in dimensioni, anche se la loro posizione e la loro forma sì. Lo studio del Dr. Webb e del Dr. Kench, pubblicato nel 2010, ha ispirato altri scienziati a cercare vecchie foto e condurre ulteriori analisi. I modelli scoperti negli ultimi anni sono sorprendentemente coerenti tra le circa 1.000 isole studiate: alcune si sono ridotte, altre sono cresciute. Molte, tuttavia, sono rimaste stabili. Questi studi hanno anche rivelato un altro modello intrigante: le isole nelle regioni oceaniche dove l’innalzamento del livello del mare è più rapido non si sono erose più delle altre. Nell’atollo di Huvadhoo, composto da 241 isole nelle Maldive meridionali, i ricercatori hanno studiato immagini aeree e satellitari di 184 isole per vedere come sono cambiate negli ultimi decenni. Quasi il 42% ha ridotto le proprie dimensioni a causa dell’erosione, il 39% è rimasto relativamente stabile, pur cambiando di forma, e il 20% è cresciuto, anche grazie all’intervento umano.
Eppure, per comprendere veramente le forze in gioco e anticipare cosa potrebbe succedere in futuro, gli scienziati devono studiare da vicino gli atolli. In particolare, oggetto delle loro ricerche è la composizione della sabbia, un universo in miniatura: frammenti di corallo, alghe calcaree di varie forme e texture, gusci schiacciati di bivalvi, crostacei e foraminiferi unicellulari, e particelle di sabbia bianca prodotte dai pesci pappagallo. Scoprire perché alcune isole si riducono e altre crescono è un po’, per usare le parole del dr. Kench, “la ricerca del Sacro Graal“.
Per me, questa è la sfida: come coesistere con il cambiamento che sta arrivando?
dr. Kench
Il cambiamento è stato costante su un’isola che il dr. Kench ha studiato da vicino: Kandahalagalaa, che appare in una foto aerea del 1969 dell’atollo di Huvadhoo. Lui e i suoi colleghi hanno misurato il bordo della vegetazione nella foto, poi hanno confrontato i loro risultati con le immagini satellitari recenti. Nel 2005, il bordo si era spostato a sud. Il lato settentrionale dell’isola si era eroso e il lato meridionale era cresciuto. Nei successivi cinque anni, la punta orientale dell’isola si è erosa leggermente. Poi, la curva occidentale dell’isola si è espansa. In seguito, si è formata una nuova punta di terra e si è allargata. L’isola non si è rimpicciolita nell’ultimo mezzo secolo, ma si è trasformata.
Per Curt Storlazzi, un ricercatore della United States Geological Survey, la grande domanda è quanto tempo abbiano effettivamente gli atolli per adattarsi, soprattutto con il riscaldamento globale che mette così tanta pressione sulle barriere coralline. Da solo, lo sbiancamento del corallo non è necessariamente negativo per le isole. Quando i coralli diventano bianchi e fragili, possono essere infestati ancora di più dai cianobatteri che i pesci pappagallo amano tanto mangiare. Più pesci pappagallo significa più sabbia. In questo modo, il corallo “rinasce”. Ma gli scienziati non sono sicuri di cosa accada alle riserve di sabbia quando gli episodi di sbiancamento di massa sono così frequenti e gravi come lo sono ora.
Tra gli scienziati che studiano isole e coste, il consiglio più comune per affrontare l’innalzamento del livello del mare può sembrare molto simile al non fare nulla. La convivenza, per usare le parole di Kench, significa accettare che il potente oceano farà ciò che vuole e imparare a conviverci. Eppure, per chi popola quelle isole, accettare il proprio destino non è la scelta più sensata. “Se c’è erosione costiera, allora dobbiamo fare qualcosa al riguardo“, ha detto in un’intervista il ministro dell’ambiente delle Maldive, Thoriq Ibrahim.
Decenni fa, la capitale, Malé, che ha un’area di circa tre chilometri quadrati, divenne sempre più affollata. Così il governo iniziò a versare sabbia su una barriera corallina vicina per creare una nuova isola più grande e, cosa importante, più alta: Hulhumalé. Ora anche Hulhumalé si sta affollando, e il governo ha iniziato la costruzione di un’altra nuova isola, Ras Malé. Questa sarà la più grande e la più alta dell’area, collegata a Malé tramite un tunnel sottomarino.
Più del 40% della popolazione del Paese, che conta mezzo milione di abitanti, vive nella regione della capitale. E, man mano che più persone si trasferiscono lì dalle isole lontane — per lavori migliori, buoni ospedali e buone scuole — sarà necessario creare nuove isole artificiali in un circolo vizioso senza fine. Questo, però, non deve indurre a pensare che le Maldive stiano abbandonando le centinaia di altre sue isole. Il Paese ha investito in nuovi aeroporti, porti e strade per promuovere lo sviluppo economico oltre la capitale. Sono queste isole meno popolate quelle in cui, come suggerito dagli scienziati, la gente può ancora imparare a convivere con le coste che si espandono e si contraggono, ad adattarsi al dare e al ricevere dalla natura. La questione è se le persone possano aspettare o, se le loro esigenze di servizi moderni, di vite migliori, di muri di protezione, frangiflutti e bonifiche, le porteranno ad abbandonare questi luoghi.
Quando Adam Shakir voleva aprire un hotel sull’isola di Himandhoo, pensava che la spiaggia sulla costa sud-ovest, una delle preferite dai locali, sarebbe stata il posto perfetto. Ha iniziato la costruzione nel 2021. È allora che vari materiali hanno cominciato a emergere dalla sabbia. Si è scoperto che il luogo era stato il sito di una moschea e di un cimitero a lungo dimenticati. Improvvisamente, la spiaggia stava scomparendo, e Adam sapeva perché: l’isola aveva appena costruito un nuovo porto nelle vicinanze. Gran parte della sabbia che le correnti portavano alla spiaggia veniva intrappolata dai frangiflutti. Farhath Ibrahim, che supervisiona i progetti infrastrutturali per il consiglio dell’isola di Himandhoo, ha riconosciuto che il porto aveva peggiorato l’erosione. Ma rendendo più facile il carico e lo scarico di attrezzature e materiali pesanti, ha anche dato inizio a un boom edilizio. Il consiglio ha installato sistemi di acqua e fognature. È in corso di realizzazione un centro giovanile con una palestra. Adam ha iniziato ad accogliere ospiti nel suo hotel, Manta Sea View, a gennaio. Tre piani, ristorante sul tetto e vedute ineguagliabili al tramonto. Adam sta facendo il possibile per impedire all’acqua di avvicinarsi ancora di più. Ha costruito barriere rudimentali con tronchi, sacchi di sabbia e macerie di cemento.
L’isola di Rakeedhoo, in un atollo vicino, non ha visto lo stesso impulso economico con il nuovo porto. Nel 2000, più di 230 persone vivevano qui; oggi la popolazione è inferiore a 80. Rakeedhoo ha iniziato a perdere residenti quando la sua insegnante si è trasferita e nessuno l’ha sostituita. Una ad una, la comunità ha perso le sue giovani famiglie. È diventata un’isola con un parco giochi ma senza bambini.
Se il futuro prossimo degli atolli è scritto nel loro passato recente, allora possiamo predirlo: sempre più isole saranno abbandonate e il loro destino sarà, come sentenziato da Kench, in balia dell’oceano. Il resto della popolazione si affollerà su isole artificiali sovrappopolate in cui la lotta per la sopravvivenza sarà dettata dalla volontà dell’uomo di evitare l’erosione, cercando soluzioni innovative e sostenibili per proteggere questi territori e garantire un futuro prospero alle comunità insulari.