Marsiglia non è una città per turisti. Non c’è niente da vedere. La sua bellezza non si fotografa. Si condivide. Qui, bisogna schierarsi. Appassionarsi. Essere per, essere contro. Essere violentemente. Solo allora, ciò che c’è da vedere si lascia vedere. E allora è troppo tardi, si è già in pieno dramma. Un dramma antico dove l’eroe è la morte. A Marsiglia, anche per perdere bisogna sapersi battere.
Jean-Claude Izzo
Marsiglia è il Casino Totale, una babele venuta dal mare, per sempre protetta dalla Bonne Mère la Madonna che veglia sui marinai e le genti del mondo che in questa città vivono e sopravvivono. La chiamano la Napoli di Francia, la porta dell’Africa del Nord, la capitale dell’Occitania, l’irrequieta e sregolata città del malaffare, la brutta, sporca, cattiva e violenta città dell’Esagono, il sud che affronta con sfrontatezza la grandeur parigina e lionese. Nel gioco delle paure e delle etichette, ciò che resta a margine è l’unicità di un luogo che dai tempi dei Fenici ai giorni nostri ha fatto da casa e da patria a popoli provenienti da tutti i continenti. Gitani, ellenici, comoriani, mahorais, creoli dalle isole Reunione e Maurizio, algerini, tunisini, marocchini, maliani, senegalesi, burkinabé, ciadiani e congolesi, polinesiani di Tahiti e Wallis et Futuna, portoghesi, napoletani, calabresi e siciliani, corsi, antillani, haitiani, cinesi, vietnamiti e cambogiani: nessun luogo come Marsiglia ha saputo caratterizzarsi e nutrirsi della diversità. Marsiglia è la capitale delle Isole Comore, basterebbe farsi una passeggiata intorno ai casermoni popolari di National o lungo la via Strasbourg per accorgersene.

È la città che riunisce un Magreb da sempre in conflitto e lo esalta tra i vicoli di Noailles, il mercato dei Cappuccini e la Casbah di Belsunce. Il tutto a pochi passi dalla Canébiere, l’arteria principale che porta fino al Vieux Port con le sue barche, il suo specchio in stile Tate Gallery, i banchetti del pesce fresco di prima mattina e i bar pronti ad offrire Pastis e spaccati di vita marsigliese a ogni ora del giorno e della notte. Marsiglia con i suoi forti, il suo Paniere, il dedalo di vie che porta dritti fino all’innovativo museo MUCEM e giù verso la Cattedrale della Major, un tempo porta d’ingresso per i piroscafi giunti dai territori d’oltremare. La città con le sue storie di ordinaria sopravvivenza di chi resta ai margini della vita, ai bordi delle strade e chiuso tra le mura delle banlieues e perso tra i conflitti e le mattanze criminali.
A ogni comunità il suo approdo, un quartiere, una cité (ghetto) oppure una via con le sue tipicità che cessano di essere forestiere per convertirsi in Chourmo (dal provenzale Ciurma), termine che meglio connota l’identità marsigliese. Tutti diversi, tutti persi negli abissi delle proprie vite ma sempre pronti a remare, come dentro un’antica galera, nella stessa direzione, mescolandosi con l’altro per uscire dalle fatiche del quotidiano e scrollarsi di dosso l’etichetta dell’immigrato, del diverso, del povero. Il luogo che meglio racconta lo spirito chourmo di Marsiglia è il Vélodrome, lo stadio dell’Olympique de Marseille, santuario e casa di tutti i Marsigliesi.
Prima ancora di essere un club di calcio, l’OM è una nazione e Marsiglia è la sua capitale, la sua dama da amare e venerare.

L’Olympique è il collante sociale, la religione che mette d’accordo tutte le altre fedi cittadine, la bandiera dietro cui è possibile azzerare ogni differenza. A Marsiglia si tifa OM e non bastano le due curve, sei gruppi ultras e il rinnovato stadio a contenere il fervore del popolo marsigliese. Quando gioca l’OM i bar e le brasserie si popolano di intere famiglie in divisa di ordinanza: la maglia o la tuta acquistata nei negozi dove per entrare bisogna pulirsi i piedi calpestando le maglie scolorite dell’odiato rivale Paris Saint Germain.
à Jamais les Premiers!
Per sempre i primi è lo slogan del popolo marsigliese, nato a Monaco di Baviera nella notte del 26 maggio del 1993, quando un colpo di testa di Boli spense il sogno del Milan e regalò la prima storica Coppa dei Campioni a Marsiglia e alla Francia. Il Club più odiato di Francia, la squadra multietnica, antirazzista e sfrontatamente contro i Le Pen e quel Fronte che terrorizzava i giovani marsigliesi nelle sue periferie più marginali, aveva dato una lezione di riscatto e identità all’intero Paese per poi, successivamente vivere una difficile epoca culminata con la retrocessione d’ufficio nella seconda serie, il post Tapie e la lenta risalita nel calcio che conta.
È proprio nel periodo più cupo e difficile della storia contemporanea del football marsigliese che entra in gioco una delle figure più iconiche e amate in casa OM: il compianto ex presidente Pape Diouf. Nato in Ciad da genitori senegalesi, Papa Mababa Diouf ha vissuto l’infanzia tra Senegal e Mauritania al seguito del padre militare dell’esercito coloniale francese. L’amore per Marsiglia arrivò per caso, a 17 anni, quando il padre lo mandò in Provenza per introdurlo alla carriera politico-militare nel genio di Avignone. Tuttavia, Il giovane Pape non voleva ripercorrere le orme del padre e per questa ragione si rifugiò nei quartieri di Marsiglia in cerca di un’identità e una strada da seguire.

Tra lavori saltuari e una breve esperienza alle poste, Pape riuscì a stringere delle amicizie con i giornalisti del celebre quotidiano locale La Marseillaise che rimasero colpiti dai suoi resoconti sportivi legati all’Olympique e al basket, facendolo entrare in redazione come giornalista freelance. Diouf fu destinato alla sezione dedicata all’OM e ciò gli permise, nei 12 anni di lavoro al giornale, di entrare in contatto e di essere benvoluto e rispettato da club, giocatori e tifosi. Dopo aver lasciato il giornale e archiviato una breve e poco proficua esperienza al Magazine Sport, Diouf decise di cambiare mestiere, accogliendo la richiesta mossa dai giocatori marsigliesi Basile Boli e a Joseph Bell di diventare il loro procuratore. Il calcio francese a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta si caratterizzava per i pochi procuratori di professione, tutti accumunati dal desiderio di ricavare enormi profitti dai giocatori africani, che costituivano il più grande mercato per il calcio d’oltralpe e non godevano delle stesse condizioni economiche degli altri colleghi francesi. Pape Diouf entrò in gioco come primo procuratore africano e marsigliese al servizio del reale interesse dei suoi assistiti, curando vari aspetti della vita degli atleti, come il ricongiungimento con le famiglie in arrivo dall’Africa e l’inserimento dei figli nel tessuto sociale cittadino, la gestione del denaro e l’investimento post carriera.

Fu l’inizio di una brillante seconda carriera che vedrà Diouf al centro delle più importanti trattive del calcio transalpino con calciatori del calibro di: Bernard Lama, Didier Drogba, Abedi Ayew Pelé, François Omam-Biyik, Rigobert Song, Marc-Vivien Foé, Marcel Desailly, Titi Camara, Habib Bèye, Frédéric Kanouté, Peguy Luyindula, William Gallas, Samir Nasri, Andre e Jordan Ayew e Robert Pires da lui assistiti. Tutti conoscevano il Papa di Marsiglia, l’uomo venuto dai quartieri per stravolgere il calcio francese e quello dell’Olympique, che si ricordava di lui al punto da chiedergli di assumere dapprima il ruolo di direttore generale del club nel 2004 e solo un anno dopo la presidenza, nominato da Robert Louis Dreyfus. Pape Diouf aveva così completato la sua incredibile scalata che dalla periferia di Marsiglia lo aveva portato alla guida del bene comune più caro e importante per tutti i marsigliesi; lui che, venuto da Dakar, si era convertito nel primo presidente africano nella storia di un top club europeo. Di tutti i record e riconoscimenti della sua vita, questo era per Pape il più doloroso poiché come disse più volte:
Essere il primo è la fotografia della società europea e, soprattutto, francese, che esclude le minoranze
La presidenza Diouf durata quattro anni, verrà ricordata come il periodo di ricostruzione di un club ereditato sull’orlo di un’ennesima crisi finanziaria e proiettato verso i successi dell’era Deschamps, con tre podi in campionato, due finali di coppa di Francia e quella ritrovata regolarità nel giocare nell’Europa che conta dopo annate buie e anonime. Sebbene l’OM non abbia vinto nulla sotto la gestione Diouf, quegli anni sono ancora oggi ricordati come il tempo del furore marsigliese. Il merito fu tutto di Pape Diouf e del suo schierarsi ad ogni costo al lato dei marsigliesi, come nel caso dello storico Classico del 5 marzo 2006 giocato al Parco dei Principi di Parigi, passato alla storia come il pareggio dei minots (ragazzi) dell’OM contro il PSG.
In aperto contrasto con i dirigenti della Ligue de Football Professionnel che avevano concesso al PSG di ridurre il quantitativo di biglietti assegnati ai marsigliesi e di permettere ai locali di occupare il settore soprastante gli ospiti, Diouf valutò l’ipotesi di non inviare la squadra per tutelare i diritti e la sicurezza dei propri tifosi. Dopo aver appreso che la mancata trasferta avrebbe pesantemente penalizzato la squadra in lotta per un piazzamento in Europa, Diouf convocò il direttore sportivo José Anigo e insieme decisero di giocarsi il derby con la squadra dei giovani dell’OM B impiegati nel campionato CFA2, l’equivalente della quinta divisione nazionale, lasciando Barthez, Ribéry, Beye e Niang a Marsiglia. Davanti a 44 mila spettatori e giocatori del calibro di Pauleta, Mendy e Kalou, i terribili ragazzini marsigliesi furono capaci di scrivere un pezzo di storia di calcio francese andando a pareggiare 0-0, risultato che esaltò il coraggio e la presa di posizione del presidente.
Lo stesso Diouf convocò tempo dopo Franck Ribéry reo di aver spinto verso una cessione unilaterale, apparendo senza consenso al TG della sera; lo obbligò ad avere rispetto per quel club e quel popolo che lo aveva consacrato nell’élite del calcio mondiale. Diouf fu chiarissimo: i contratti si onorano fino in fondo, pena la relegazione nella squadra dei giovani fino alla sua fine. Ribéry comprese il messaggio, chiese scusa e rimase un’altra stagione a Marsiglia per poi essere ceduto al Bayern Monaco.
Infine, fu sempre Diouf a mettere sotto contratto l’attaccante Djebril Cissé nonostante si fosse gravemente infortunato poco tempo prima giocando in nazionale; il presidente aveva dato la sua parola al giocatore e quella per lui era già un contratto firmato. Questi aneddoti fotografano la caratura di un uomo poco incline al compromesso, amatissimo da tutta Marsiglia ma che finì per essere in contrasto con alcuni membri della società, come il presidente del consiglio di sorveglianza Vincent Labrune che lo spinsero ad abbandonare il club. Lasciato il calcio, Pape Diouf dapprima aprì una scuola di giornalismo e successivamente tentò la scalata al comune di Marsiglia ottenendo un misero 5% alle elezioni del 2014; nel mezzo, nel 2012 fu conferito del prestigioso riconoscimento della Legion d’Onore alla sua carriera per mano dell’allora Presidente della Repubblica. Hollande.
Tornato a vivere a Dakar, Diouf ha contratto il Coronavirus ed è morto il 31 marzo del 2020 all’età di 68 anni. La notizia della morte del papa di Marsiglia ha scosso la città, che per giorni è scesa nelle strade per omaggiare e ricordare uno dei suoi figli più cari e devoti, il sempre primo Pape Diouf.