Ha fatto il giro del mondo l’immagine di Leon Goretzka che festeggia la qualificazione della squadra tedesca agli ottavi mimando un cuore, gesto riferito ovviamente alla lotta per i diritti LGBT. Leon Goretzka non è certo nuovo a gesti forti che chiariscano la sua posizione su diritti civili e questioni sociali. Il ragazzotto nato nella Rurh da genitori emigrati polacchi si era fatto immortale qualche mese fa con una bandiera riportante un messaggio inequivocabile “Niente calcio per i fascisti“. Ancora, proprio lui si era fatto portatore di una raccolta fondi a favore delle famiglie più disagiate colpite dalla pandemia. Insomma Goretzka è un attivista convinto e pervicace dei diritti civili e della società aperta, in pieno accordo spirituale con il zeitgeist della politica tedesca, che sogna ed immagina una società libera ed aperta.
Così mercoledì scorso mentre l’Ungheria pregustava un immeritato passaggio agli ottavi grazie ad una vittoria sui tedeschi (altrettanto immeritata a dir il vero) ecco spuntare da fuori aria questi occhioni coi riccioli che ricordano Andrea di De André, l’uomo inviato dal destino a compiere il gesto più simbolico: tiro, goal, Germania dentro gli ottavi e l’Ungheria di Orbán a casa.
Scherzo del destino? Sì, e dei peggiori. Perché la battaglia in campo si è naturalmente configurata come una drammatizzazione di quello che sta accadendo da anni tra il governo tedesco e quello ungherese. Battaglia però che non ha coinvolto solo la Germania, motore economico trainante dell’Europa, ma ha visto schierati tutti i Paesi della UE in una posizione di forte dissenso verso il leader solitario Orbán. Gli scontri fra la società aperta tedesca e l’oscurantismo ungherese del resto partono da lontano, almeno dalla famosa questione dei profughi siriani disgustosamente trattati con fastidio da Orbán e invece platealmente accolti dalla cancelleria Merkel. Prima frattura dovuta a due immagini del mondo completamente differenti, che inevitabilmente arrivano allo scontro. Invece che rimarginarsi, la polemica è cresciuta, si é allargata a molti altri temi, ultimo fra i quali quelli delle discriminazioni sessuali.
La battaglia in campo si è naturalmente configurata come una drammatizzazione di quello che sta accadendo da anni tra il governo tedesco e quello ungherese.
Venerdì scorso 17 Paesi dell’Unione Europea hanno recapitato una lettera dai toni decisi Viktor Orbán, in cui sostanzialmente si chiede al governo ungherese di aderire ai “valori fondamentali, in particolare al principio di non-discriminazione a causa dell’oriente entro sessuale”, minacciando velatamente di bloccare soldi e vantaggi legati alla permanenza nella UE, ma su questo non c’è unanimità fra i membri. Le posizioni vanno dall’ecumenismo di Macron per cui non é Orbán il problema ma una visione anti liberale che serpeggia in Europa, a chi si spinge più in là come l’olandese Rutte che chiede ad Orbán di uscire dall’Europa se non ne condivide i valori fondamentali. Interessante notare come le posizioni fra i diversi Paesi europei siano diverse su molte questioni, ma sul tema dei diritti si è naturalmente costituito un fronte comune che travalica gli schieramenti. Probabilmente perché i Paesi dell’Unione Europea percepiscono con chiarezza il problema di dare un’anima all’Unione che non sia solo economica.
Così in un Europeo che si prospettava sonnacchioso e sottotono, apparentemente privo di charme anche a causa del dislocamento territoriale, lentamente si fa strada l’immagine di un campionato estremamente denso di significato extra calcistico.
Il tema dei diritti civili è scoppiato in mano alla UEFA che si trova ora nella posizione scomoda di dover uscire in qualche modo dall’impasse. La questione ha iniziato a delinearsi ormai da qualche anno ma solo da un paio, da quando si è iniziato a dibattere del mondiale in Qatar, si è capito che il tema non è un pourparler, ma ne va della vita stessa della UEFA. Autorità morale, capacità di acquisire fondi per sostentare gli eventi, chiarezza e tracciabilità dei fondi, sono tutti temi che vanno nella direzione di farci interrogare sulla sopravvivenza stessa degli eventi sportivi come li abbiamo conosciuti finora. Il sistema UEFA, sostanzialmente rettosi fino ad oggi sul principio del “Volete il calcio? Noi lo organizziamo? Beh, allora beccatevi quello che arriva e non fate tanto gli schizzinosi su chi mette i soldi e a chi lo facciamo gestire” sembra essere arrivato ad un punto di collasso; tanti episodi ci stanno mostrando il cambio di tempi. Il cerchiobottismo della UEFA è stato smascherato due volte in due settimane proprio dalla compagine tedesca. Il primo caso scoppiato è stato quello di Manuel Neuer, portiere fuoriclasse, che dopo l’amichevole con la Lettonia ha preteso di indossare la fascia arcobaleno nelle partite di Euro 2020.
Autorità morale, capacità di acquisire fondi per sostentare gli eventi, chiarezza e tracciabilità dei fondi, sono tutti temi che vanno nella direzione di farci interrogare sulla sopravvivenza stessa degli eventi sportivi come li abbiamo conosciuti finora.
Gesto inizialmente stigmatizzato dalla Uefa che poi però ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco dopo il secco comunicato della Federazione Tedesca che recitava: “La fascia è stata valutata come un simbolo della squadra per la diversità e quindi per una buona causa“. Primo segnale di rottura fra la UEFA e la squadra tedesca, ma non certo l’ultimo, perché i teutonici preparavano l’imboscata con il sindaco di Monaco Dieter Reiter, che infatti qualche giorno prima della partita Germania-Ungheria chiederà di illuminare lo stadio dei colori simbolo della comunità LGBT. Il no secco e immediato della UEFA non è stato solo un passo falso – e anche un po’ stupido – ma è stata la caduta perfetta nel tranello tesogli dalla Federazione tedesca che non vedeva l’ora di mettere in cattiva luce gli organizzatori di Euro 2020.
Dietro a questa sfida ovviamente se ne nascondeva un’altra ben più profonda: quella già citata tra la Germania di Angela Merkel e l’Ungheria di Viktor Orbán. Se da un lato la squadra tedesca abbraccia in pieno, anzi se ne fa promotrice, della campagna di apertura ai diritti del governo tedesco su tutti i fronti, dall’altro il leader ungherese ha forgiato un’immagine della propria nazione e dei propri tifosi (sui calciatori e sopratutto sulla popolazione la faccenda è più complessa) di assoluta intolleranza verso ogni differenza sessuale e razziale, vedere i fischi a Mbappé e Benzema di una settimana fa per esempio.
Lo scontro a suon di comunicati ha trascinato la sfida calcistica dentro l’agorà politica, facendo assumere alla partita del girone di qualificazione tra Germania e Ungheria un tono da Fuga per la vittoria al contrario, dove i tedeschi sono i buoni questa volta. L’imbarazzo della UEFA a questo punto è uscito allo scoperto in tutta la sua enormità: come tenere insieme istanze progressiste e tendere contemporaneamente la mano ad un leader antistorico come Orbán? Sostanzialmente impossibile, da qui l’imbarazzo e mille mosse sbagliate una dietro l’altra. Un organizzatore di eventi sportivi può nel 2021 prescindere completamente da quello che accade fuori dal campo in virtù dell’idea che ci si occupa solo di pallone? La risposta è ovviamente no, anche perché non occuparsi dell’attualità vuol dire solo una cosa: fare finta che il problema non esista e dare credito a immagini del mondo oscurantiste. Sostanzialmente non schierarsi vuol dire schierarsi.
Un organizzatore di eventi sportivi può nel 2021 prescindere completamente da quello che accade fuori dal campo in virtù dell’idea che ci si occupa solo di pallone?
La battaglia LGBT, non a caso combattuta dalla squadra tedesca in faccia a quella ungherese, non fa che lanciare una domanda sul futuro: che cosa succederà quando si giocheranno le partire in Qatar, famoso per le proprie proibizioni nel campo dei diritti sessuali e di libertà di espressione? La risposta probabilmente inizia ad inquietare l’Uefa che sa di essere seduta su una polveriera.
Al di là, però, della conclusione della faccenda, rimane molto a cui pensare agli organizzatori della UEFA. È ancora possibile pensare ad un calcio avulso dal mondo che cambia in fretta? Sì può dare un’immagine così retrograda di un grande divertimento popolare? Non è la prima volta che dei giocatori dissentono per ragioni politiche o culturali ad un evento sportivo, ma ormai è evidente che sta cambiando la maniera di partecipare agli eventi sportivi, forse quindi è anche il caso di cambiare il modo di organizzare questi eventi.
Si riparta dal basso, dal chiedersi chi oggi segue il calcio e chi lo vive, forse da lì arriveranno spunti di riflessione interessanti per costruire il futuro dello sport più bello del mondo.