Anche se la vittoria di Joe Biden sembra essere confermata, le insinuazioni dell’ormai ex Presidente americano continuano a gettare una luce buia nella democrazia a stelle e strisce. La battaglia durissima che si è combattuta nei mesi precedenti non ha risparmiato colpi bassi, imponendosi per durezza, ma non certo per eleganza, come nel caso della battaglia mozzafiato fra Barak Obama e John McCain.
Dalle prime analisi emergono dati che fanno tremare i polsi ai sondaggisti, i grandi sconfitti di queste elezioni: molte comunità minoritarie (ma sul concetto di minoranza dovremmo aprire una discussione approfondita), come quella dei latinos, si sarebbero schierate in modo abbastanza sorprendente per il presidente del muro al confine del Messico. In Florida esuli cubani – storicamente repubblicani – e afro americani avrebbero scelto il Presidente “dei bianchi”, probabilmente sentendosi più rappresentati dalla sua dialettica di forza che dalla patinata immagine di Joe Biden. Rimane chiaro, però, che le lezioni appena passate siano state tra le più polarizzate degli ultimi anni; neanche l’elezione di Obama contro McCain aveva suscitato uno schieramento così forte nella società americana.
Interessante a posteriori è andare a vedere come le stelle dello sport si sono schierate, come gli idoli dei campi e delle piste hanno scelto di esprimere il proprio endorsement, scoprendo che la battaglia fra Donald Trump e Joe Biden è stata davvero una delle più difficili da decifrare in termini sociologici e statistici.
Gli sportivi storicamente si sono divisi tra chi finge di non occuparsi di politica, chi ne rimane vittima in ogni caso e chi, invece, prende una posizione netta: vada come vada. Certo, siamo lontani dal “Oggi ha vinto un americano, se avessi perso avrebbe perso un negro” di Thomas Smith, ma la sensazione che i vincitori siano tutti buoni a portare voti quando sono vincitori al di là della propria essenza rimane forte in un periodo come questo in cui è difficile rintracciare i percorsi personali dentro agli scenari politici.
Quello che è certo fino ad ora è che Biden ha goduto di due tipi di sostenitori fra gli sportivi: chi sosteneva lui e chi detestava la politica di Trump. Sottigliezza non indifferente se andassimo a confrontare i due tipi di supporto, che sicuramente in termini statistici registrano dei margini di voto interessanti. Fra chi si è schierato contro Trump bisogna annoverare tutti gli sportivi che sono stati maggiormente influenzati dai movimenti Black Lives Matter. Il capitano della nazionale di calcio americana, lesbica, antirazzista, antirepubblicana, è stata in questi mesi un’icona della campagna contro Trump, ma più a livello mediatico che politico. Megan Rapinoe, infatti, non ha mai nascosto il proprio dissenso per il Presidente Trump (dissenso per chi ricorda le sue affermazioni sulla Casa Bianca è un eufemismo), ma il suo non è mai stato un messaggio politico, è stato un urlo di diversità che probabilmente molti americani degli stati centrali hanno archiviato come delirio di una matta più che come una di dimostranza politica. Attenzione a pensare che la Nike rappresenti gli elettori americani non è cosi, e Megan Rapinoe che per molti è un mito nel jet set, in America è vissuta spesso come una iattura.
Biden nonostante abbia apprezzato il sostegno della Rapinoe, anche in una seguitissima diretta Istagram, non è mai riuscito a rendere organici le voci così diverse di un’America lontana da quella prosaica che si incontra fuori dalle Highway. E pensare che Obama aveva sfidato il pudore del russo Putin, affidando durante i Giochi di Sochi la bandiera americana a due atlete dichiaratamente lesbiche come Billy Jean King e Caitlin Cahow. Alcune prese di posizione devono dare l’idea di essere credibili per essere spendibili.
Diverso il discorso per LeBron James, campione ascoltato e temuto mediaticamente. La sua vicinanza al movimento Black Lives Matter è stata totale ed è sfociata nelle accuse contro l’amministrazione Trump. Ricorderete la presa di posizione dei giocatori di basket nata proprio durante il ritiro di Orlando l’estate scorsa; era ovvio che per un attento e moderato osservatore come LeBron non potesse che sfociare in una completa adesione all’elezione di Biden, un presidente che avrebbe maggiore attenzione per le condizioni sociali del Paese.
Ma gli schieramenti sono tanti da tutte e le due parti: il campione di football americano Brette Favre che si è schierato per Trump per garantire la libertà di espressione e il contenimento delle tasse; Jack Nicklau, golphista e amico-sostenitore di Trump; o ancora, più originale, Mariano Rivera, giocatore di baseball panamense che ha dichiarato ottimo il lavoro Trump per la sua grande nuova patria.
Hanno creato, invece, un po’ di scalpore due endorsement inaspettati, o almeno più difficili da ricollegare ad un discorso generale: Michael Jordan e Mike Tyson. Se il primo era diventato famoso con la frase “anche i repubblicani comprano le mie scarpe“, sottolineando un’indole di dedizione al lavoro, il secondo, che non ha mai brillato per lucidità, questa volta ha spiazzato tutti.
Jordan si è schierato apertamente con Joe Biden probabilmente influenzato dal grande movimento che i giocatori dell’NBA più giovani di lui sono stati in grado di mettere in piedi. Ormai fuori da ogni discussione, Michael Jordan deve essersi sentito libero di poter appoggiare un presidente che avrebbe cambiato direzione rispetto al razzismo latente dell’amministrazione Trump.
Per quanto riguarda Tyson, i ragionamenti stanno a zero. Per chi ha letto la sua biografia non risulterà difficile capire come anche Freud avrebbe alzato le mani al cielo, pregando per un’intervento divino, ma in questo caso non bisogna correre subito ad un giudizio frettoloso. Tyson ha dichiarato che Trump è un suo amico ormai da trent’anni e in un’intervista ha affermato che: “Quando lo incontro Trump mi stringe la mano e mostra rispetto per la mia famiglia. Nessuno degli altri -Barack o un altro- lo fa“. Tyson è di certo un’ottima rappresentazione del pensiero trumpiano: nero (quindi privo di razzismo), anti-sistema (credo di essere stato messo alle corde), un uomo forte che si è fatto da solo, ma a cui le regole stanno strette, forse perché si è sempre sentito superiore alle regole. Come Donald Trump, che piaccia o non piaccia, ha sempre incarnato l’uomo forte contro le regole e i palazzi, e le sue ultime uscite sui brogli elettorali lo confermano.