Dalkurd, i guerriglieri del gol

Accendo la tv e mi ritrovo a guardare un servizio sull’ISIS, l’ennesimo di quest’anno. Si susseguono immagini di paesaggi desertici, case distrutte e ragazzi troppo giovani che imbracciano un’arma. In sottofondo, la voce della giornalista: “L’avanzata delle truppe dello stato islamico si è arrestata sugli altipiani dell’Iraq grazie ad una controffensiva ad opera dai guerriglieri curdi…” I curdi, penso, i curdi. Un popolo che da sempre, nella mia testa, è legato a immagini di deportazione e sofferenza. Milioni di persone che si battono per uno stato, il Kurdistan, nemmeno riconosciuto politicamente. Una delle più grandi minoranze etniche del mondo che, da generazioni, si addestra alla guerra per difendere la propria cultura e i propri diritti dalle continue repressioni perpetrate dall’Iran, dalla Turchia, dalla Siria e dall’Iraq. Un popolo che dalla storia ha imparato che ci sono due strade nella vita: restare e combattere, o scappare via e non fare mai più ritorno. I curdi, questa storia parla di loro. Ma non è una storia di dolore o di guerra, anzi. È una storia di pace, di orgoglio, d’integrazione e di rivalsa. Ed è soprattutto una storia di calcio. Questa è la storia del Dalkurd Fotbollsförening.

Il Dalkurd FF viene fondato nel 2004 da un gruppo di curdi immigrati in Svezia, precisamente a Borlange, un paesino di quaratamila anime a 3 ore di auto da Stoccolma.

La squadra nasce come progetto sociale per aiutare i ragazzi curdi ad ambientarsi e integrarsi in questo paese così diverso dalla loro terra d’origine e per rafforzare un senso d’identità di chi, come loro, è dovuto fuggire a migliaia di chilometri per sfuggire alle repressioni. Proprio per questo come nome della squadra viene scelto Dalkurd e nella divisa e nel simbolo vengono ripresi i colori verde, bianco e rosso della bandiera dello stato del Kurdistan.

Ma all’inizio il Dalkurd non ha nemmeno un campo dove giocare. A Borlange ci sono più stazioni sciistiche che campi da calcio. Così arriva in loro aiuto la squadra locale dell’IK Brage, militante nella B svedese, che gli concede l’utilizzo dello stadio Domnarvsvallen (6000 posti, di cui 2000 solo a sedere) per allenamenti e partite di campionato. I ragazzini del Dalkurd (il primo anno la rosa aveva un’età media di 15 anni) dimostrano di saperci fare con il pallone. La squadra inizia a macinare vittorie su vittore e, tra il 2005 e il 2009, arriva prima in tutti i rispettivi campionati passando dalla Division 6, pari a una nostra Prima Categoria, alla Division 1, la serie C svedese. Nel frattempo i ragazzini crescono, si ambientano e pian piano arrivano a giocare nel Dalkurd anche tanti calciatori svedesi. I biondissimi Petterson e Ekblad iniziano a scendere in campo insieme ai “locali” Ahmend Awad e Peshraw Azizi, curdo e capitano storico del Dalkurd. Tra il 2009 e il 2015 il Dalkurd continua a farsi notare. Nel 2013 sfuma solo ai playoff l’opportunità di salire in Superettan, la B svedese. Festa rinviata solo di 2 anni, alla stagione 2015, quando il Dalkurd conquista la promozione in B con tanto di primo posto in classifica e vittoria per 4-1 nel derby contro i cugini e “padroni di casa” dell’IK Brage. La squadra, grazie alle sue prestazioni, miete proseliti tra la comunità locale curda e non e sugli spalti, ogni settimana, si vede sempre più gente. Il calore e l’affetto del pubblico pervadono anche i calciatori che, a prescindere dall’etnia o dalla nazionalità, alla fine di ogni match si ritrovano a festeggiare insieme ai tifosi a suon di canti e musiche in pieno stile “kurdish”. La storia del Dalkurd si sarebbe potuta interrompere tragicamente qui e solo per un caso del destino non stiamo raccontando una tragedia simile a quella della “Chape”. Infatti il 24 marzo 2014 la squadra, terminato uno stage in Catalogna, avrebbe dovuto imbarcarsi sul volo Germanwings 9525 tragicamente precipitato sulle Alpi francesi il giorno stesso. L’attesa da sostenere allo scalo di Düsseldorf fu giudicata eccessiva, così giocatori e staff preferirono cambiare la prenotazione evitando inconsapevolmente di rimanere coinvolti nel disastro. Destino? Fortuna? Caso?

Sta di fatto che, dopo lo scampato pericolo, il Dalkurd, nella sua prima stagione da neopromossa in Superettan, sfiora il miracolo di salire nella massima divisione svedese, arrendendosi all’ultima giornata a solo 1 punto dalla terza posizione che gli avrebbe garantito i playoff. Ma poco importa il risultato sportivo. Il Dalkurd la sua partita l’ha vinta già. Dando la possibilità a dei ragazzi, scampati alla guerra e alle violenze, di poter scendere su un campo da calcio e avere una vita normale. Dimostrando che grazie al calcio, anche se lontani migliaia di chilometri da casa, si possono risollevare l’orgoglio e il senso d’identità di un’intera comunità.
Ricordando a tutti che il popolo curdo, da molti dimenticato, esiste, è vivo e continua la sua lotta.

Spengo la tv, basta immagini di guerra. Le uniche battaglie a cui voglio pensare e che per me vale la pena combattere sono quelle che avvengono su un campo da calcio.

About

Zeta è il nostro modo di stare al mondo. Un magazine di sport e cultura; storie e approfondimenti per scoprire cosa si cela dietro le quinte del nostro tempo,