Negli ultimi anni, gli atleti hanno assunto ruoli sempre più attivi nel dibattito politico. Le dichiarazioni pubbliche di star come Colin Kaepernick, Megan Rapinoe e LeBron James hanno dimostrato che lo sport può essere uno strumento potente per amplificare messaggi sociali e politici. Eppure la Trump dance sembra appartenere a una dimensione diversa: quella dell’ambiguità. È una celebrazione? Una presa in giro? O, come sostengono alcuni, solo un modo per attirare l’attenzione in un’epoca dominata dai social media?
Christian Pulisic, il talento statunitense che gioca tra le fila del Milan, è uno dei protagonisti involontari di questa discussione. Dopo aver portato in vantaggio gli Usa nella gara di ritorno dei quarti di Concacaf Nations League contro la Giamaica, ha festeggiato mimando il celebre balletto del presidente appena rieletto. “Era solo per divertimento“, ha dichiarato. Ma il gesto ha attirato critiche, tra cui quelle dell’ex portiere della nazionale Tim Howard, il quale non ha voluto giustificare l’atto di Pulisic perché ritiene che una simile celebrazione sia una dimostrazione di sostegno per qualcuno che ritiene “razzista”: “È stupido fare una danza imitando Donald Trump“, ha detto Howard, secondo quanto riportato da The Athletic. “Perché? Perché, che si tratti del Presidente degli Stati Uniti o del mio vicino di casa in fondo alla strada, non mostrerei mai sostegno a qualcuno che ritengo razzista. Non lo esalterei. Non lo farei per nessun motivo, in nessun contesto“.
Non è un ballo politico. Era solo per divertimento. Ho visto molte persone che lo facevano e ho pensato che fosse divertente, quindi mi sono divertito. O almeno spero che sia piaciuto ad altre persone.
Christian Pulisic
Il punto centrale, tuttavia, non riguarda solo Pulisic, ma un cambiamento culturale più profondo: Trump, che per molti versi è una figura polarizzante, sembra essersi trasformato in un meme, un simbolo che può essere utilizzato indipendentemente dal contesto politico.
Per una generazione di giovani atleti, Trump non è un’anomalia politica, ma una costante. Da quando ha annunciato la sua candidatura nel 2015, il suo nome è stato un elemento fisso del panorama politico e culturale. Per molti di loro, non si tratta di chiedersi se Trump diventerà la norma: Trump è la norma. E la leggerezza con cui la Trump dance viene utilizzata, spesso senza considerare le sue implicazioni, ne è un esempio lampante.
Nick Bosa, stella della NFL, non ha mai nascosto il suo sostegno al neo presidente; altri atleti, come Jon Jones, gli hanno addirittura dedicato trofei o gesti simbolici. Ma, l’adozione del suo ballo da parte giocatori di squadre di calcio di terza divisione inglese o di altri che affermano di ispirarsi al film Caddyshack indica un fenomeno più ampio: la trasformazione di Trump in un simbolo culturalmente ambiguo.
Un meme che supera la politica
La Trump dance non è solo un ballo. È un meme. E, come tutti i meme, la sua forza risiede nella capacità di trascendere il contesto originale. Un meme può essere usato per celebrare o prendere in giro, ma la sua ambiguità permette a chiunque di appropriarsene senza doverne spiegare il significato. Questa ambivalenza lo rende potente, ma anche pericoloso, perché in un’epoca in cui la politica è spesso ridotta a slogan e immagini virali, il confine tra sostegno e satira si dissolve, lasciando spazio a interpretazioni multiple.
Trump stesso ha abbracciato questa ambiguità. Spesso durante la campagna elettorale, ha eseguito la sua danza davanti a folle entusiaste, usandola come parte del suo arsenale simbolico: un modo per connettersi con il pubblico senza dover articolare messaggi complessi.
Sport, politica e la cultura dei meme
La connessione tra sport e politica non è nuova. Già durante la Prima Guerra mondiale, atleti e competizioni sportive furono utilizzati come strumenti di propaganda. Ma la cultura dei meme ha introdotto una nuova dimensione, trasformando gesti e simboli in veicoli per messaggi spesso frammentari. Per i sostenitori di Trump, il ballo rappresenta una celebrazione del loro leader. Per i detrattori, è una caricatura. E per molti altri, è semplicemente un modo per partecipare a una conversazione senza doversi schierare apertamente.
Nel mondo dei meme, tutto è una performance, e la verità è solo un’interpretazione tra le tante. Un gesto come la Trump dance può passare da un evento sportivo a un video virale, diventando parte di un discorso globale in poche ore. Ma in questo processo, il significato originale spesso si perde, sostituito dalla necessità di attirare l’attenzione. Non sorprende dunque che il suo impatto si estenda agli sport e alla cultura popolare.
A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: se il significato politico può essere ridotto a una danza o a un meme, cosa resta del dibattito pubblico?