Il punto centrale del paradosso della suspense si articola in tre affermazioni apparentemente contraddittorie:
- La suspense dipende dall’incertezza sugli esiti;
- Conoscere il finale elimina l’incertezza;
- Si può provare suspense anche conoscendo l’esito.
Queste tre affermazioni, prese singolarmente, non pongono problemi. Ma, se messe insieme, creano una tensione logica. Se la suspense dipende dall’incertezza, come possiamo provare la stessa emozione quando sappiamo già come andrà a finire? Questo paradosso ha spinto filosofi e studiosi a proporre diverse soluzioni, ognuna delle quali cerca di spiegare perché la suspense possa persistere anche dopo che il mistero è stato risolto.
Soluzione 1: la teoria del pensiero immaginativo
Una delle teorie più influenti è quella proposta da Noël Carroll, denominata Teoria del pensiero. Secondo Carroll, non è necessaria una reale incertezza per provare suspense. Anche quando conosciamo il finale di un film o di un libro, possiamo ancora provare una certa tensione grazie alla nostra capacità di immaginare diversi esiti possibili. Ad esempio, chi ha visto il celebre Psycho di Alfred Hitchcock, nonostante sappia cosa accadrà nella famosa scena della doccia, può comunque immaginare scenari alternativi, permettendo alla suspense di persistere.
Carroll sostiene che la nostra mente, nel rivivere una narrazione, intrattiene pensieri che non corrispondono alla realtà, ma che sono comunque in grado di suscitare emozioni. Il punto debole di questa teoria è che non risponde a una domanda fondamentale: perché la suspense diminuisce con le ripetute visioni o letture? E, ancor di più, come si spiega il fatto che alcuni film o libri sembrano persino più intensi e pieni di suspense alla seconda o terza visione?
Soluzione 2: la teoria del desiderio-frustrazione
Un altro approccio interessante è quello proposto da Aaron Smuts con la Teoria del desiderio-frustrazione. Secondo Smuts, la suspense non dipende dall’incertezza, ma dalla frustrazione del nostro desiderio di influenzare gli eventi che vediamo o leggiamo. Quando guardiamo un film come Seven di David Fincher, per esempio, ci immedesimiamo nei detective che cercano di catturare il serial killer. Anche se sappiamo già come andrà a finire, proviamo una forte tensione emotiva derivante dal fatto che, come spettatori, siamo impotenti: non possiamo fare nulla per cambiare il corso degli eventi. È proprio questa impotenza, secondo Smuts, che genera suspense.
La teoria del desiderio-frustrazione spiega perché possiamo continuare a provare suspense anche quando conosciamo il finale, ma solleva ulteriori questioni. Perché, ad esempio, alcuni film sembrano perdere di intensità con il tempo? E perché la nostra frustrazione non diminuisce dopo la prima visione?
Soluzione 3: la teoria dell’oblio momentaneo
Richard Gerrig propone una soluzione radicalmente diversa. Sostiene che la suspense dipende dall’incapacità della nostra mente di ricordare costantemente il finale di una storia mentre ne viviamo le fasi intermedie. Secondo questa teoria, anche se conosciamo l’esito di un film o di un libro, possiamo momentaneamente dimenticarlo e provare comunque suspense mentre la trama si dipana davanti ai nostri occhi.
Gerrig spiega che il nostro cervello non è progettato per tenere a mente ogni dettaglio di un’esperienza passata, soprattutto quando veniamo coinvolti emotivamente. Questo approccio, però, non riesce a spiegare del tutto perché alcuni film o libri sembrano mantenere la loro suspense anche dopo numerose visioni, mentre altri perdono rapidamente il loro fascino.
Soluzione 4: La teoria dell’errata identificazione emotiva
Infine, Robert Yanal offre una prospettiva completamente diversa. Secondo lui, non è corretto parlare di suspense nelle ripetute visioni o letture di un’opera: ciò che proviamo è piuttosto un’emozione simile, ma diversa, che confondiamo con la suspense. Questa emozione, sostiene Yanal, è l’anticipazione. Conoscendo il finale, non possiamo più provare la vera suspense, ma possiamo sperimentare una forma di tensione derivante dall’attesa di eventi che sappiamo già come si concluderanno.
Noi stiamo parlando, c’è forse una bomba sotto questo tavolo e la nostra conversazione è molto normale, non accade niente di speciale e tutt’a un tratto: boom, l’esplosione. Il pubblico è sorpreso, ma prima che lo diventi gli è stata mostrata una scena assolutamente normale, priva di interesse. Ora veniamo alla suspense. La bomba è sotto il tavolo e il pubblico lo sa, probabilmente perché ha visto l’anarchico che la stava posando. Il pubblico sa che la bomba esploderà all’una e sa che è l’una meno un quarto – c’è un orologio in stanza -; la stessa conversazione diventa tutt’a una tratto molto interessante perché il pubblico partecipa alla scena. Gli verrebbe da dire ai personaggi sullo schermo: ‘Non dovreste parlare di cose così banali, c’è una bomba sotto il tavolo che sta per esplodere da un momento all’altro’.
Il cinema secondo Hitchcock- Francois Truffaut
Questo approccio solleva degli interrogativi interessanti: siamo davvero in grado di distinguere tra suspense e anticipazione? E se la nostra percezione emotiva è così facilmente influenzabile, quanto possiamo fidarci delle nostre stesse sensazioni?
Le quattro teorie proposte per risolvere ci offrono prospettive affascinanti, ma nessuna di esse riesce a fornire una soluzione definitiva. La suspense sembra essere un’emozione complessa, che coinvolge non solo l’incertezza sugli eventi futuri, ma anche una serie di fattori psicologici e cognitivi che variano da individuo a individuo.
Forse la vera magia della suspense risiede proprio in questa complessità: nel sottile equilibrio tra ciò che sappiamo e ciò che ci immaginiamo, tra il nostro desiderio di controllo e la nostra incapacità di influenzare gli eventi. Che si tratti di un film di Hitchcock, di un thriller di Fincher o di un classico romanzo di Agatha Christie, la suspense continua a catturare la nostra attenzione, anche quando pensiamo di sapere già tutto. Forse, alla fine, la suspense non è tanto una questione di incertezza sugli esiti, quanto un’esperienza profondamente umana, radicata nel nostro modo di vivere e interpretare le storie.
Non è solo la narrazione a creare suspense, ma anche il nostro modo di rapportarci ad essa, di lasciarci coinvolgere e di immaginare infiniti esiti possibili.