Le valli aride della California meridionale, culla dell’aviazione americana, furono anche il luogo in cui Amelia Earhart iniziò il suo straordinario viaggio nei cieli. Edwin, suo padre, la portò per la prima volta a un raduno aereo a sud di Los Angeles. Fu lì che, al termine di un “salto di prova” su un biplano, Amelia si innamorò del volo, un sentimento che lei stessa descrisse come un’attrazione irresistibile: “Era come se avessi trovato il mio posto nel mondo, un luogo in cui avrei potuto volare libera e senza limiti.”
Determinata a diventare aviatrice, Amelia si immerse completamente nel mondo dell’aviazione, frequentando lezioni e dedicando ogni momento libero al volo. La passione la portò presto a desiderare un aereo tutto suo, e con il sostegno della madre Amy, che le diede i duemila dollari necessari, acquistò un Kinner Airster, un modello sperimentale. “Era una cosa folle da fare, ma non potevo resistere,” raccontò più tardi. Nonostante i vari lavori che cambiava freneticamente – impiegata presso la compagnia telefonica, fotografa amatoriale e persino trasportatrice di ghiaia – il suo cuore era sempre in volo.
Nel 1923, ormai diventata un’abile pilota, Amelia si esibì in acrobazie aeree in un rodeo, attirando l’attenzione di Sam Chapman, un ingegnere del Massachusetts. Sam, affascinato dalla spavalderia e dall’intelligenza di Amelia, condivideva con lei non solo partite di tennis e discussioni filosofiche, ma anche la convinzione nell’uguaglianza tra i sessi. La loro relazione si intensificò al punto che, prima di lasciare la California nel 1924, Sam le chiese di sposarlo. Amelia accettò, ma con una riserva:
Non prometto nulla, Sam. La mia vita è nei cieli, e non so se potrò mai appartenere veramente a qualcuno sulla terra.
Il 1924 fu un anno di sconvolgimenti per la famiglia Earhart. Il matrimonio dei suoi genitori naufragò, i problemi di salute di Amelia si aggravarono e lei vendette il suo amato aereo, ma invece di usare i soldi per curarsi, comprò una roadster che chiamò Yellow Peril. “Avevo bisogno di sentire il vento in faccia, di nuovo libera sulla strada, se non potevo esserlo nel cielo,” spiegò. Tornata a New York, si iscrisse nuovamente alla Columbia University, ma abbandonò gli studi poco dopo, per trasferirsi con la madre e la sorella Muriel a Boston.
Qui, frequentò un corso estivo di matematica ad Harvard e tentò senza successo di ottenere una borsa di studio al MIT. La sua vita sembrava mancare di direzione, eppure era sempre guidata da un forte desiderio di esplorare. Lavorò come insegnante di inglese e assistente in un ospedale psichiatrico, ma abbandonò presto anche questi impieghi. “Sentivo che qualcosa mi chiamava, ma non sapevo ancora cosa,” disse, riflettendo su quel periodo di smarrimento.
La svolta arrivò nel 1928, quando George Putnam e Hilton Railey cercavano “la ragazza giusta” per una nuova impresa aerea. Railey sentì parlare di una “giovane assistente sociale che vola” e contattò Amelia. All’epoca, Earhart lavorava alla Denison House di Boston, dove insegnava inglese e organizzava attività per le ragazze. Marion Perkins, direttrice della Denison, ricordava Amelia come “una persona straordinaria, con uno sguardo franco e diretto e un silenzioso senso dell’umorismo“. Putnam, rampollo della casa editrice G. P. Putnam’s Sons, era un maestro nella creazione di miti, specializzato nel trasformare le storie di avventure in best-seller. Dopo aver ingaggiato Charles Lindbergh per raccontare il suo storico volo per Parigi, trasformando gli articoli in un libro che vendette circa seicentomila copie, Putnam vide in Amelia la possibilità di replicare quel successo.
Se non fosse stato per quella chiamata, è difficile dire se Amelia sarebbe rimasta nel sociale o avrebbe trovato un’altra strada per il cielo. “Potevo immaginarmi in volo, ma non dietro una scrivania“, confessò. Ma, la fama non cambiò la sua natura.
Putnam iniziò a gestire l’immagine di Amelia in modo aggressivo. Quando il Friendship decollò per il volo transatlantico che avrebbe reso Amelia la prima donna a sorvolare l’Atlantico come passeggera, Putnam aveva già organizzato un contratto da diecimila dollari per il suo racconto di prima mano, e una serie di foto pubblicitarie che esaltavano la somiglianza di Amelia con Lindbergh. “Sono entrambi magri, biondi del Midwest, con sorrisi accattivanti“, scrivevano i giornali dell’epoca. La leggenda di Amelia, in gran parte, fu una creazione di Putnam, che curava ogni aspetto della sua immagine pubblica, dai tour di conferenze ai contratti editoriali, fino alle sponsorizzazioni di prodotti. Un rivale di Amelia la descrisse come “una marionetta di Putnam“, ma chi la conosceva meglio sapeva che Amelia era tutt’altro che manipolabile. “Lei era la vera ammaliatrice“, affermò in seguito uno degli amici più stretti di Putnam. Questa dinamica tra Amelia e Putnam è stata immortalata in un album splendidamente progettato, Amelia Earhart: Image and Icon, che raccoglie ritratti, ritagli di giornale, pubblicità e illustrazioni del loro lavoro di squadra. Quando ruppe il fidanzamento con Chapman, avvertì Putnam, che sarebbe diventato suo marito, della sua incapacità di promettere fedeltà eterna:
Non appartengo a nessuno, George, nemmeno a me stessa. Appartengo al cielo.
Tra il 1930 e il 1935, Amelia infranse una serie di record che consolidarono la sua reputazione come una delle più grandi aviatrici del mondo. Fu la prima donna a volare in solitaria attraverso gli Stati Uniti senza scalo e la prima a volare in solitaria da Honolulu alla California. Ogni nuovo record attirava su di lei sempre più attenzione, trasformandola in una figura iconica riconoscibile da quasi tutti gli americani. Amelia diventò il volto dell’emancipazione femminile, una donna che sfidava i limiti imposti dal suo tempo e che dimostrava che nulla era impossibile, purché si avesse il coraggio di provarci.
Ma la sfida più grande di Amelia, quella che la rese una leggenda, fu il suo tentativo di circumnavigare il globo. Dopo aver stabilito vari record di volo, tra cui il primo volo transatlantico femminile in solitaria, Amelia puntò a qualcosa di ancora più ambizioso: diventare la prima donna a compiere il giro del mondo in aereo. Con il suo fidato Lockheed Electra 10E, preparato meticolosamente per l’impresa, partì nel marzo del 1937 con Fred Noonan, navigatore esperto, al suo fianco.
Il volo, pianificato in 29 tappe e 47.000 chilometri, non fu privo di difficoltà. Un primo tentativo fallì a causa di un incidente durante il decollo, ma Amelia non si lasciò scoraggiare. “Un volo è come una sfida, e ogni sfida è un’opportunità,” disse dopo l’incidente. Ritornata negli Stati Uniti per riparare l’aereo, riprese il volo a giugno, questa volta da ovest verso est, partendo da Miami.
La spedizione procedette senza intoppi fino al 2 luglio 1937, quando l’Electra scomparve misteriosamente mentre cercava di raggiungere l’Isola Howland, una piccola striscia di terra nel Pacifico. “Stiamo volando a 1.000 piedi,” furono alcune delle ultime parole registrate di Amelia, trasmesse via radio. “Non riusciamo a vedere l’isola. Stiamo finendo il carburante“.
Nonostante le ricerche intensive, che coinvolsero la Marina degli Stati Uniti e proseguirono per settimane, di Amelia Earhart e del suo aereo non fu trovata traccia. La sua scomparsa divenne uno dei più grandi misteri dell’aviazione, alimentando speculazioni e teorie di ogni genere. Alcuni ipotizzarono che l’aereo fosse precipitato in mare, altri che fosse atterrato su un’isola deserta, mentre altre teorie suggerirono addirittura che Amelia fosse stata catturata dai giapponesi.
La più affascinante di queste ipotesi venne esplorata nel romanzo I Was Amelia Earhart di Jane Mendelsohn, pubblicato nel 1996. L’autrice immagina che Amelia e Noonan siano sopravvissuti all’incidente, trovando rifugio su un’isola deserta, dove, liberi dalle convenzioni del mondo civilizzato, avrebbero vissuto una vita primitiva e selvaggia. “Sapevo che non esistevano idilli, soprattutto tra uomini e donne“, Amelia potrebbe aver detto, secondo la narrazione di Mendelsohn, ma il romanzo afferma che in quell’isola, avrebbero trovato una nuova forma di libertà.
La realtà è che il destino di Amelia Earhart rimane avvolto nel mistero. Ma ciò che è certo è che la sua scomparsa contribuì a cementare il suo mito, trasformandola in un’icona di coraggio e determinazione. “Il cielo è aperto a chiunque abbia il coraggio di volare“, diceva, e lei ha dimostrato al mondo che questo coraggio può portarti ovunque, anche oltre l’orizzonte, in un volo senza ritorno che ha lasciato il mondo con una domanda senza risposta e una leggenda immortale.