Göbekli Tepe

Göbekli Tepe, l’ombelico dell’umanità

Entrando nella città di Urfa, nell’Anatolia sud-orientale, si può leggere a chiare lettere un cartello con la scritta: BENVENUTI NELLA CITTÀ DEI PROFETI. Decine di migliaia di persone vengono qui ogni anno per visitare una grotta che, leggenda vuole, sia il luogo in cui nacque Abramo. Si narra infatti che che Abramo annientò le divinità pagane nell’antica Urfa, scatenando l’ira di Nimrod, il re assiro locale, il quale ordinò che Abramo venisse arso su una pira. Dio, però, trasformò il fuoco in acqua e i carboni ardenti in pesci. Abramo precipitò nel vuoto dalla collina su cui oggi sorge la fortezza della città, ma atterrò sano e salvo su un letto di rose. Secondo un’altra leggenda locale, Dio mandò uno sciame di zanzare a tormentare Nimrod, e una zanzara entrò nel suo naso e iniziò a masticargli il cervello. Il re allora ordinò ai suoi uomini di colpirgli la testa con mazze di legno, gridando: “Vur ah, vur ah! ” (“Colpiscimi, colpiscimi!”), ed è così che la sua città venne chiamata Urfa.

Göbekli Tepe

Urfa è, però, conosciuta anche per un complesso architettonico, molto più antico di Abramo e della sua leggenda: una vasta struttura di circoli megalitici in stile Stonehenge. Per migliaia di anni, questa struttura del Neolitico antico è rimasta sepolta sotto molteplici strati che le davano la forma di grande collina, tant’è che il suo nome turco è Göbekli Tepe, “collina panciuta”. Ci sono una serie di cose inquietanti su Göbekli Tepe. Si stima che abbia undicimila anni: seimila e mezzo più della Grande Piramide, cinquemila e mezzo più dei primi testi cuneiformi conosciuti e circa mille anni più delle mura di Gerico, un tempo ritenute la struttura monumentale più antica del mondo. Il sito comprende più di sessanta pilastri di pietra calcarea a forma di T, la maggior parte dei quali incisi con bassorilievi di animali pericolosi: non i docili bisonti e cervi commestibili presenti nelle pitture rupestri del Paleolitico, ma configurazioni minacciose di leoni, volpi, cinghiali, avvoltoi, scorpioni, ragni e serpenti. Sul sito non sono state rinvenute tracce di abitazioni (niente fonti d’acqua né case né focolari né tetti né piante domestiche o resti di animali) e si ritiene quindi che sia stato costruito da cacciatori-raccoglitori, che lo utilizzavano come un santuario religioso. Misteriosamente, i pilastri sembrano essere stati sepolti, deliberatamente e all’improvviso, intorno all’8200 a.C., circa milletrecento anni dopo la loro costruzione.

L’idea di un complesso religioso costruito dai cacciatori-raccoglitori contraddice gran parte di ciò che pensavamo di sapere sui monumenti religiosi. Si ritiene tradizionalmente che ai cacciatori-raccoglitori mancassero sistemi simbolici complessi, gerarchie sociali e divisione del lavoro. E al tempo stesso, si suppone che la religione formale sia apparsa solo dopo che l’agricoltura produsse relazioni sociali gerarchiche tali da richiedere un retroscena cosmico per farle funzionare, una relazione di potere tra dèi e mortali. I ritrovamenti a Göbekli Tepe suggeriscono una storia al contrario: che in realtà fu la necessità di costruire un sito sacro a obbligare innanzitutto i cacciatori-raccoglitori a organizzarsi come forza lavoro, a trascorrere lunghi periodi di tempo in un unico luogo, ad assicurarsi un posto di approvvigionamento alimentare stabile e, infine, ad inventare l’agricoltura.

Göbekli Tepe

Gli archeologi hanno scoperto che i pilastri venivano periodicamente interrati, con dei nuovi costruiti sopra o accanto a quelli vecchi. È un panorama destabilizzante: ovunque si guardi, si vede qualcosa che non avrebbe dovuto esistere. I cacciatori-raccoglitori, ad esempio, non avrebbero dovuto creare rappresentazioni umane esagerate, che sono una violazione di una visione del mondo puramente animistica e non gerarchica. Eppure, i pilastri sono quasi certamente figure umanoidi, con corpi lunghi e stretti, e grandi teste oblunghe. Ci sono pilastri raffigurati con le mani giunte o con indosso perizomi a coda di volpe. Uno contiene una collana con un bucranio. Poiché i bassorilievi di Göbekli Tepe, a differenza delle pitture rupestri del Paleolitico superiore, non offrono alcuna rappresentazione della vita quotidiana, si ritiene che siano simboli, un messaggio che non sappiamo (per il momento) leggere. Gli animali potrebbero essere personaggi mitici, capri espiatori simbolici, dispositivi mnemonici o forse spaventapasseri totemici che proteggevano gli uomini dal male. Finora tutti i mammiferi rappresentati a Göbekli Tepe sono visibilmente maschi, ad eccezione di una volpe che, al posto del pene, ha diversi serpenti che escono dall’addome. La composizione più dibattuta raffigura un avvoltoio che trasporta su un’ala un oggetto rotondo; sotto i suoi piedi, un torso maschile senza testa mostra un pene eretto. Le immagini non sembrano condividere uno stile unificante, e nemmeno un livello standard di disegno. Alcuni sono stilizzati e geometrici, altri straordinariamente realistici.

La prima scoperta di Göbekli Tepe avvenne nel 1963 per opera di Peter Benedict, un archeologo dell’Università di Chicago, che descrisse il sito come “un complesso di collinette di terra rossa dalla sommità arrotondata“, due delle quali erano sormontati da “piccoli cimiteri probabilmente risalente all’Impero bizantino.” È possibile che Benedict, incapace di immaginare che l’uomo neolitico fosse capace di produrre giganteschi tumuli o monumenti di pietra, si sia imbattuto in un frammento di pietra calcarea scolpita e lo abbia scambiato per una lapide medievale. Le rovine rimasero addormentate sotto terra fino all’arrivo di qualcuno che potesse riconoscerle. Nel 1994 Klaus Schmidt, archeologo dell’Università di Heidelberg, visitò il sito e capì subito che il resoconto di Benedict era sbagliato. Vide che quelle “colline” erano tumuli artificiali e che i frammenti di selce che scricchiolavano sotto i piedi erano stati modellati da mani neolitiche. Schmidt aveva trascorso gran parte del decennio precedente lavorando a Nevalı Çori, un vicino insediamento del IX millennio a.C., che comprendeva sia abitazioni domestiche che un simile “santuario” con pilastri a forma di T.

Schmidt ha definito gli abitanti di Göbekli Tepe “vittime del proprio successo“. Il loro modo di vivere aveva avuto una tale affermazione da trovare espressione materiale sotto forma di un gigantesco edificio di pietra, una reificazione di una visione spirituale del mondo. Ma quel processo di costruzione cambiò la visione del mondo, rendendo il monumento obsoleto. Schmidt riteneva che questo fosse il motivo per cui Göbekli Tepe fu abbandonata: “Non ne avevano più bisogno. Erano diventati agricoltori e trovavano nuove espressioni delle loro convinzioni religiose“. La gente di Göbekli Tepe, dunque, non è stata spazzata via, come altre civiltà perdute. Hanno semplicemente fatto le valigie e sono andati da qualche altra parte, sono diventati qualcun altro. Molti di noi probabilmente discendono da loro. 

Il termine Rivoluzione neolitica fu coniato negli anni venti dall’archeologo Gordon Childe per descrivere la transizione dalla caccia – la modalità di sussistenza dominante per i duecentomila anni prima dell’ultima era glaciale – all’agricoltura. Childe ha attribuito questa passaggio al cambiamento climatico e alle condizioni che hanno prosciugato le rigogliose foreste e pianure: esseri umani e animali si sono riuniti nelle ultime oasi rimaste, dove la vicinanza ha portato alla domesticazione, alla sedentarietà e all’agricoltura. Molte delle sue idee sono sopravvissute fino ai giorni nostri. Un’eccezione degna di nota è quella di Jacques Cauvin, il quale, negli anni Settanta, propose che una prima forma di religione – un culto del toro e della dea della fertilità – avesse favorito una visione del mondo orientata alla fertilità che alla fine generò il passaggio all’agricoltura. Schmidt riteneva che Göbekli Tepe dimostrava che Cauvin aveva ragione, non riguardo alla dea della fertilità, che sembra essere smentita da tutti quei peni eretti, ma riguardo a un fattore ideologico. Credeva che il passaggio dall’animismo alla religione formale, e da una società egualitaria a una gerarchica, sia stata la causa e non l’effetto del cambiamento economico. A differenza di Cauvin, egli basava la sua teoria non tanto sul contenuto simbolico specifico di Göbekli Tepe, il cui significato rimane oscuro, ma sul semplice fatto della sua esistenza. Indipendentemente dallo scopo e dal significato dei pilastri, la loro produzione ha richiesto molte ore di lavoro. I lavoratori avevano bisogno di una fornitura alimentare stabile e la zona era ricca di specie selvatiche come l’uro e il farro monococco, uno degli antenati del grano domestico. Costruire Göbekli Tepe avrebbe anche richiesto una certa divisione del lavoro tra sorveglianti, tecnici e operai, un tipo di sviluppo sociale che avrebbe potuto accelerare il passaggio all’agricoltura.

Un fatto sorprendente riguardo alla rivoluzione neolitica è che, secondo la maggior parte delle prove, l’agricoltura portò ad un forte declino del tenore di vita. Gli studi sui Boscimani del Kalahari e su altri gruppi nomadi mostrano che i cacciatori-raccoglitori, anche nei paesaggi più inospitali, in genere trascorrono meno di venti ore a settimana per procurarsi il cibo. Al contrario, gli agricoltori lavorano dall’alba al tramonto. Poiché l’agricoltura si basa sulla coltivazione di massa di una manciata di colture amidacee, l’intero sostentamento di una comunità può essere spazzato via da un giorno all’altro dal maltempo o dai parassiti. Le prove paleontologiche mostrano che, rispetto ai cacciatori-raccoglitori, i primi agricoltori avevano più anemia e carenze vitaminiche, morivano più giovani, avevano denti peggiori, erano più inclini alla deformità della colonna vertebrale e contraevano più malattie infettive.

Göbekli Tepe

Perché qualcuno dovrebbe restare fedele a uno stile di vita così miserabile? Secondo Jared Diamond, i cacciatori-raccoglitori furono “sedotti dall’abbondanza transitoria di cui godevano finché la crescita della popolazione non richiese un aumento della produzione alimentare“. A quel punto erano spacciati: dovevano coltivare sempre più terra solo per mantenere tutti in vita. Diamond considera l’agricoltura non solo una battuta d’arresto ma “il peggior errore nella storia della razza umana“, l’origine della “grossolana disuguaglianza sociale e sessuale, della malattia e del dispotismo che maledicono la nostra esistenza“.

La rivoluzione neolitica è stata davvero una “maledizione” della nostra esistenza? L’elevata posta in gioco emotiva e politica di questa questione è stata manifestata in un articolo sul Der Spiegel nel 2006, che proponeva Göbekli Tepe come il sito storico del Giardino dell’Eden. Le prove dell’identificazione con l’Eden includevano la posizione di Göbekli Tepe tra il Tigri e l’Eufrate, le numerose immagini di serpenti e la caratterizzazione della regione da parte di Schmidt come “un paradiso per cacciatori-raccoglitori“. Ma la teoria trae in realtà la sua forza da una lettura della Caduta come un’allegoria del passaggio dalla caccia all’agricoltura. Nell’Eden l’uomo e la donna vivevano compagni, senza vergognarsi della propria nudità, circondati da animali amichevoli e da “alberi graditi alla vista e buoni da mangiare“. Il frutto dell’Albero della Conoscenza, come i primi frutti della coltivazione, portava con sé una maledizione immediata e irrevocabile. L’uomo ora doveva lavorare la terra, mangiarne i suoi frutti tutti i giorni della sua vita.

Le terribili parole di Dio ad Eva – “Aumenterò grandemente i tuoi dolori durante la gravidanza; con dolore partorirai figli. Il tuo desiderio sarà per tuo marito, ed egli governerà su di te“– possono riferirsi al declino della salute e dello status delle donne prodotto, nelle prime società agricole, dalla necessità economica di avere figli che coltivassero ed ereditassero la terra. Le donne, avendo accesso al latte di capra e ai cereali, potrebbero aver svezzato i propri figli prima, determinando gravidanze più frequenti e più debilitanti. L’istituzione della proprietà privata, nel frattempo, rendeva la certezza paterna una preoccupazione vitale, e la monogamia, in particolare per le donne, veniva applicata rigorosamente. Per continuare l’interpretazione, la storia di Caino e Abele può essere considerata un’illustrazione del gioco a somma zero della primogenitura, nonché un’allegoria del massacro dei pascoli nomadi da parte dell’agricoltura urbana. Dopo aver ucciso suo fratello, Caino fonda la prima città del mondo e le dà il nome di suo figlio Enoch. Letti con questo spirito, ampi brani dell’Antico Testamento – le faide territoriali, la costante minaccia di esilio o di estinzione, la gelosia sessuale e la rivalità tra fratelli – iniziano ad assomigliare al manuale di una nuova cupa economia basata sulla scarsità.

Ciò che è in discussione nell’allegoria del Giardino dell’Eden è se l’agricoltura sia stata una rottura qualitativa nella storia umana – “una catastrofe“, come la definisce Diamond, “dalla quale non ci siamo mai ripresi“.

La condizione umana è mai stata radicalmente diversa da quella attuale? Le visioni del mondo intero dipendono dalle risposte a queste domande. Friedrich Engels, ad esempio, credeva che l’uomo preistorico un tempo avesse vissuto sotto un “comunismo primitivo” senza classi e che la monogamia fosse stata inventata da uomini avidi, in modo che i loro figli potessero ottenere la ricchezza accumulata dopo la loro morte. Darwin, al contrario, sosteneva che, anche se un tempo gli esseri umani erano stati poligami, non avevano mai vissuto nella libertà sessuale. Freud, invece, credeva che la famiglia nucleare fosse universale e che la “famiglia primordiale”, lacerata dal complesso di Edipo, fosse stata ancora più repressiva della Vienna alta-borghese.

Gli esseri umani hanno mai vissuto nella libertà sessuale? Il lavoro è mai stato divertente? Abbiamo sempre privilegiato la nostra diretta progenie genetica rispetto agli altri membri della comunità? Il dibattito continua senza risposte definitive. Christopher Ryan e Cacilda Jethá, nel loro studio Sex at Dawn, si schierano con Engels, citando dati antropologici su numerose società di cacciatori-raccoglitori che non erano monogame, non avevano famiglie nucleari e non valorizzavano la certezza paterna. Sostengono che la promiscuità un tempo aveva favorito la cooperazione e ridotto la violenza tra i nostri antenati, e che una falsa credenza nella “naturalità” della monogamia è responsabile di una miriade di mali sociali: dagli ospedali per trovatelli del XIX secolo alla lapidazione delle donne in Iran. Tali opinioni li portano in conflitto con Steven Pinker, il cui recente libro The Better Angels of Our Nature: Why Violence Has Declined sostiene che la società è attualmente ad un livello di pace mai raggiunto prima, e che i cacciatori-raccoglitori si massacravano e si arrostivano a vicenda per centinaia di anni, millenni prima della coltivazione del grano.

Schmidt, vicino al pensiero di Pinker, credeva che Göbekli Tepe fosse stata costruita da una classe operaia, forse anche da schiavi. Se Schmidt avesse avuto ragione e una forma di sfruttamento sociale era già osservabile prima dell’agricoltura, allora l’agricoltura non sarebbe stata un disastro: la condizione umana è sempre stata, come suggerisce Freud, grave come lo è adesso.

Gli esseri umani non cambiano così tanto. Il background delle nostre conoscenze sta diventando sempre più ampio. Ma il nostro comportamento quotidiano è lo stesso. Siamo tutti Homo sapiens.

Klaus Schmidt

Se pensiamo al potere del sacro, originato, se si deve credere agli archeologi, dalle esigenze più materiali del corpo – come e cosa mangiare; se pensiamo ad Abramo, padre delle moltitudini e costruttore del monoteismo, e all’Alleanza – quando Abramo era infelice perché non aveva figli e doveva lasciare i suoi beni a un servo, e Dio gli promise tanti discendenti quanti sono stelle nel cielo – ci rendiamo conto che alla fin fine si parla delle due grandi esigenze dell’ordine agricolo: la terra e la prole. Se Göbekli Tepe è stato il Giardino dell’Eden, dove queste esigenze sono nate per la prima volta, allora c’è una certa logica nell’identificazione di Urfa con il luogo di nascita di Abramo. Considerata sotto questa luce, come un’unica grande storia, è probabile che l’ultima generazione di Göbekli Tepe, quando seppellì il tempio e intraprese un nuovo stile di vita, riuscì a plasmare il mondo come mai nessuno.

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