iran calcio proteste
Foto: Luis Diaz/Quality Sport Images/Getty Images

Iran, giocare per la libertà

Come ci si comporta quando la tua squadra rappresenta una nazione in cui violenza e coercizione dominano? Qual è il ruolo dello sport nel contesto della difesa delle libertà degli individui? Che ruolo possono avere i tifosi nelle proteste contro un governo illiberale? La storia dell’Iran da svariati mesi è costellata di violenza, proteste, lesioni delle libertà personali e tanto altro. Una situazione drammatica che si è inasprita ulteriormente a partire dallo scorso 16 settembre, quando Masha Amini, giovane donna curda è morta dopo due giorni di come nell’ospedale di Tehran. La ragazza, che si trovava nella capitale iraniana in vacanza con i genitori, era stata arrestata dalla polizia morale per non avere rispettato le leggi in merito alle modalità di indossare la hijab. Secondo le fonti, la ragazza sarebbe stata colpita più volte alla testa da parte degli agenti ma le autorità hanno negato affermando che la ragazza sarebbe morta per un problema cardiaco. Peccato che gli stessi genitori di Masha affermino come la giovane fosse perfettamente sana. Una vicenda che ha generato un grande clamore, prima in Iran e poi in tutto il mondo. Al funerala di Masha Amini, le donne presenti si sono tolte l’hijab inneggiando contro il governo. Ma anche nel mondo dello sport la reazione non ha tardato a farsi notare.

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Foto: Luis Diaz/Quality Sport Images/Getty Images

Ad ottobre, la scalatrice iraniana Elnaz Rekabi ha partecipato al campionato asiatico in Sud Corea a capo scoperto. Prima di tornare a casa, ha pubblicato un messaggio su Instagram in cui diceva di aver gareggiato senza coprirsi i capelli “inavvertitamente“. A molti il ​​linguaggio usato nel suo post ha fatto sembrare che fosse stato scritto sotto costrizione. Tuttavia, è dal mondo del calcio che sono arrivate le proteste più evidenti, anche grazie alla maggiore visibilità di questo sport. I calciatori Ali Karimi e Ali Daei, ad esempio, sono diventati due delle figure di riferimento di questa protesta. Non solo. In preparazione della partita del 27 settembre contro il Senegal molti dei calciatori della nazionale iraniana hanno sostenuto sui loro social la protesta, nonostante questo gli fosse stato espressamente vietato.

È la fine di settembre e l’Iran sta giocando un’amichevole contro i campioni d’Africa del Senegal a Vienna, in Austria. L’1-1 finale è un buon risultato, ma l’atmosfera è tutt’altro che festosa. I giocatori non sembrano contenti, nemmeno lo staff tecnico. I tifosi iraniani fuori terra non lo sono certo. Impossibilitati ad entrare nello stadio dalla sicurezza locale assunta dalle autorità iraniane, sono comunque riusciti a far sentire la loro voce attraverso i megafoni e gli altoparlanti che hanno allestito all’esterno. In effetti, erano così rumorosi che la TV di stato iraniana ha trasmesso la partita senza audio. Ormai da mesi i calciatori si stanno rifiutando di esultare dopo un goal: non appena la palla entra in rete il calciatore in questione abbassa le braccia come a voler indicare la gravità della situazione vigente in Iran.  E, a questo proposito, le TV di Stato non mostrano la squadra che ha segnato, ma si concentrano sull’avversaria. L’Esteghlal FC, una tra le squadre più seguite in Iran, si è rifiutata di festeggiare la propria vittoria nella Supercoppa e ha accettato di partecipare alla cerimonia post-partita solo a costo che non ci fossero musica e fuochi d’artificio. Ma sono soprattutto i tifosi a preoccupare le autorità iraniane, motivo per cui tutte le partite dall’inizio delle proteste sono state giocate a porte chiuse.

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I giocatori iraniani hanno deciso di non cantare l’inno nazionale. Foto: Marko Djurica/Reuters

Un altro evento significativo è quello verificatori alla Beach Soccer Intercontinental Cup di Dubai, dove l’iraniano Saeed Piramoon ha mimato in campo il tagliarsi i capelli, gesto dal forte valore simbolico. Le squadre iraniane di basket, beach soccer, pallavolo e pallanuoto hanno tutte scelto di non cantare l’inno nazionale nelle ultime partite.Tuttavia, la nazionale di calcio sembra essere la più controllata dal governo, soprattutto nel corso dei mondiali in Qatar. Infatti, se nel corso della prima partita l’intera nazionale si è rifiutata di cantare l’inno nazionale inneggiante alla “duratura, continua ed eterna Repubblica Islamica dell’Iran“, prima della partita con il Galles i calciatori ne hanno mormorato le parole con gli spalti divisi tra chi inneggiava alla nazione e chi protestava con fischi e buu. Angoscia, frustrazione, compassione e tanta tanta rabbia. Sono queste le principali sensazioni che accomunano la popolazione iraniana in questo periodo. Una nazione nella quale la forza di una dittatura sembra essere inarrestabile tanto quanto quella delle proteste di un popolo che si rifiuta di abbassare la testa. Il mondo dello sport si trova unito in una protesta che non parla solo di Iran, di hijab e di legge islamica, ma che si batte per i diritti di tutti gli esseri umani. Perché quando ad essere compromessa è la libertà degli individui nessuna partita può essere vinta.

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