“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione“, nota massima sullo stato di emancipazione di uno Stato del buon Voltaire, torna oggi alla mente nel riflettere sulla scomparsa della tennista Peng Shuai. Metaforicamente potremmo chiederci qual è lo stato della libertà in un Paese nel vedere come tratta una stella del tennis che denuncia una violenza sessuale. Vicenda non facile da analizzare quella di Peng Shuai, complessa per i tanti nodi che si sovrappongono non appena si prova a scavare un po’ meglio dietro la notizia.
Perché diciamolo: la sola notizia della scomparsa purtroppo non sarebbe così inaspettata viste le condizioni di vita degli oppositori al regime cinese. Damnatio memoriae pubblica, qualora non fisica, che hanno conosciuto tra gli altri il famoso artista Ai Weiwwi, prima confinato per tre mesi in una zona segreta a causa delle sue posizioni a favore dei diritti umani, poi liberato ma costretto ad una vita all’interno dei confini nazionali e sotto osservazione costante. Le armi del regime sono sempre le stesse: soppressione e silenziamento. Solo che nel caso di Peng Shuai la macchina del regime sembra essersi inceppata ancora prima di essersi messa in moto; la difesa di regime questa volta sembra fare acqua ovunque.
La prima ragione per cui la vicenda Peng Shuai non sembra proprio esaltare le qualità strategiche del regime comunista è la notorietà della tennista, che ovviamente gioca a suo favore. La notizia della scomparsa dell’unica tennista cinese ad essere arrivata al numero uno della classifica mondiale per il doppio femminile, ha travalicato tutti i confini spinta dai media che riprendevano frasi di suoi colleghi celeberrimi tra cui Serena Williams, Nolan Djokovic e da qualche ora anche il pacato Roger Feder. Alla parole dei tennisti ovviamente sono seguite quelle delle associazioni, prima fra tutte la Women’s Tennis Association seguita dall’osservatorio sui diritti umani. Appaiono pesanti in questo contesto le posizioni delle associazioni per i diritti umani, perché a febbraio in Cina si terranno i Giochi invernali e non sembra un ottimo auspicio quello che sta accadendo per l’armonia fra il mondo dei diritti e il governo comunista. Tanto più che lo stesso Biden è stato costretto ad intervenire sulla vicenda suggerendo che potrebbe essere assenti i funzionari americani dai Giochi, mentre Human Rights Watch ha chiesto come intendono le aziende sponsor dei Giochi associare il proprio redwashing al profilo del governo cinese.
Appaiono pesanti in questo contesto le posizioni delle associazioni per i diritti umani, perché a febbraio in Cina si terranno i Giochi invernali e non sembra un ottimo auspicio quello che sta accadendo per l’armonia fra il mondo dei diritti e il governo comunista.
Ma tutto questo del resto è un copione che conosciamo, come conosciamo anche la risposta surrettizia del Comitato Olimpico che invita sempre a scindere politica e sport, facendo male ad uno e all’altro, viste le gravi ingerenze di molti Paesi guidati da regimi totalitari nei Giochi. Conforta poco anche la videochiamata effettuata domenica sera dalla tennista con il Presidente del CIO, Thomas Bach, in cui Peng Shuai ha ringraziato il mondo dello sport per la vicinanza nei suoi confronti, rassicurando sul suo stato di salute (ma non su quello di libertà). Comunque la si voglia interpretare questa videochiamata è tardiva, arriva solo dopo che Francia e Inghilterra si sono mosse diplomaticamente, e comunque non risolve molti dubbi, fra cui, in primis, lo stato della libertà personale di Peng Shuai. La vicenda sembra ben al di là dal chiarirsi, oppure, invece è chiarissima: la gestione del potere da parte del Governo cinese non è mai cambiata. Aggressione frontale nei confronti di chi critica anche indirettamente l’operato del Politburo.
Quello che, però, spiazza davvero è capire cosa di grave avrebbe fatto Peng Shuai, alla luce di cosa vuol dire dichiarare uno violenza sessuale nella cultura cinese. Ricordiamo che l’arma sessuale, o morale, nella cultura cinese è sempre stata utilizzata per far saltare per aria i nemici politici, una sorta di macchina del fango come diremmo noi italiani. Macchina che evidentemente funziona a meraviglia in Cina se pensiamo che, al contrario della corruzione, è un tema a cui l’opinione pubblica è molto attenta. Però, ancora viene da chiedersi: perché tanto clamore per la denuncia attraverso Weibo, il Facebook cinese, della Peng nei confronti di un settantacinquenne ormai fuori dai giochi politici? Perché Zhang Gaoli non è più un uomo di potere, non ha più incarichi e in qualche modo non sembrerebbe più poter macchiare la credibilità del Governo cinese. Un’accusa ad un uomo in pensione, ormai decisamente avanti con gli anni, non è un’accusa allo status quo. Allora perché tanta violenza nella difesa di una posizione?
Probabilmente qui sta tutta la sostanza della questione: la macchina difensiva è elefantiaca e poco ricettiva; quando si aziona la macchina il topo – per citare Deng Xiaoping – è già passato. Tutte le prove o spiegazioni sulla sparizione della tennista da parte del Governo sono stati tentavi mal riusciti di coprire la brutta figura a livello internazionale. Come si dice, la pezza peggio del buco.
I video proposti dal Governo sono tutte porcherie che non fanno altro che alimentare i leciti dubbi che la scomparsa di Peng Shuai sia una punizione di Stato per aver toccato una sua pedina. Sarebbe stato più semplice mostrare il volto allegro della Cina che apre una riflessione in pieno #metoo anche sui propri apparati. Ma è proprio quello il problema del potere ottuso: non si concepisce diverso da come è. Ernst Jünger diceva che il problema degli Stati totalitari è che hanno paura. Paura del cambiamento, questo li porta a soccombere divorati dalla paura di essere diversi da sé stessi. Il caso di Peng Shuai rischia di diventare iconico e paradossale: da una situazione con cui si poteva uscire con una faccia sorridente, ora si rischia grosso a livello economico per tutta l’economia cinese. Se la WTA ha con grande prontezza, seguita immediatamente dall’ATP, chiarito che finché non si fa luce sulla vicenda annulleranno tutti i tornei nel Paese, le associazioni dei diritti umani non saranno da meno e già promettono guerra aperta. Nelle prossime ore arriverà sicuramente una mossa dal Governo cinese che probabilmente sta pianificando proprio adesso una exit strategy; staremo a vedere cosa hanno in mente.
Comunque si concluda questa vicenda nei prossimi giorni, appare evidente che la vecchia solfa di dividere sport e diritti civili non è più valida. Ormai è una lagna. Se viviamo in un mondo globalizzato condividendo tutti i benefici del mercato globale (di questo ovviamente si potrebbe parlare), non si capisce la ragione per cui non ci possa essere un allineamento anche su alcuni principi cardine della libertà individuale. La sfida dei diritti civili nei prossimi anni diventerà ancora più stringente con due appuntamenti che sono ormai alle porte: i Giochi invernali di Beijing e il Mondiale del Qatar.