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Mancini, calcio e scuola hanno priorità diverse

Una volta Arrigo Sacchi disse che il calcio è la cosa più importante tra le meno importanti. Una verità che forse Roberto Mancini, allenatore dell’Italia, dovrebbe fare sua. Qualche settimana fa, durante la conferenza stampa prima dell’amichevole contro la Moldavia ha dichiarato: 

Io non so se può fare male o meno. Bisogna pensare quando si parla, ogni tanto. Per tutti gli italiani lo sport è un diritto, come la scuola. Non è una cosa data così, abbiamo diritto a tutto questo. È una priorità importante, lo sport in Italia è praticato da milioni di italiani, a tutti i livelli.

È evidente come il ragionamento dell’ex stella del calcio italiano sia facilmente opinabile. Paragonare la scuola al calcio non ha nessun senso. La prima è un’istituzione ed l’unico strumento attraverso il quale un Paese può crescere e svilupparsi, è un’àncora di civiltà; il secondo è uno sport, economicamente importante per il bilancio dello Stato certo, ma rimane pur sempre uno sport. Quello che, però, ci lascia perplessi di fronte all’atteggiamento di Mancini è l’arroganza con la quale non solo paragona il calcio alla scuola, ma come, nel suo fallace ragionamento, il calcio è solo quello della Serie A e delle Nazionali. E il calcio delle serie minori? Dei dilettanti? Dei semplici appassionati?

Roberto-Mancini-mascherina

Bisogna pensare quando si parla, ogni tanto“, ha affermato in quella conferenza stampa, rispondendo a Roberto Speranza, che aveva osato, in qualità di ministro della Salute, dettare le priorità del Paese, e ora noi tutti ci chiediamo a cosa lui stesse pensando. Il suo pensiero, purtroppo, non sorprende e si sposa con l’ideologia di quanti considerano il fatturato l’unico metro di giudizio per decidere cosa sia giusto o non giusto proteggere. Il calcio è la quarta industria dell’Italia e, secondo l’algoritmo Social Return On Investment Model, l’impatto socio-economico del calcio italiano risulta pari a circa 3 miliardi di euro. I settori coinvolti sono quello economico (742,1 milioni di contributo diretto all’economia nazionale), sociale (1.051,4 milioni di risparmio economico generato dai benefici prodotti dall’attività calcistica) e sanitario (1.215,5 milioni in termini di risparmio della spesa sanitaria), insieme a quello delle performance sportive. Ma può essere solo questo il metro di giudizio di chi sta decidendo come portarci fuori da una pandemia mondiale? 

Roberto Speranza
Roberto Speranza, ministro della Salute

Non contento, oggi l’allenatore di Jesi, intervenuto al convegno Sportlab, ha rincarato la dose, dichiarando:

La polemica col ministro Speranza? Quelli che dicono che il loro lavoro non è essenziale vivono in un altro mondo. Il calcio ha pagato questo, intorno al calcio ci sono moltissime persone con stipendi normalissimi, in tutte le squadre e in tutti i club. I tanti contagi dopo le partite delle nazionali? Noi siamo stati in ritiro 11 giorni e abbiamo fatto 11 tamponi. Mi sembra che possa prendere chiunque in qualsiasi ambito.

Intorno al calcio ci sono moltissime persone con stipendi normalissimi“, vero, come in molti altri settori. Il calcio per la sua popolarità non può, non deve essere prioritario su altri settori strategici di un Paese. È questo che Roberto Mancini trova difficile da accettare. Del resto, la sua posizione sul Covid-19 è sembrata fin da subito molto ambigua, a partire dalla discutibile immagine postata sul suo profilo Instagram e poi, subito rimossa.

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Ma a rafforzare il Mancio-pensiero è anche un altro post pubblicato sul social.

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Di certo, Mancini non sembra così preoccupato della situazione attuale ed è legittimo, anche invidiabile, ma con o senza paura questa pandemia sta mettendo in ginocchio l’Italia e chiedere di avere lo stesso occhio di riguardo per il calcio come per la scuola è pericoloso, anche perché come scrisse Victor Hugo:

Chi apre la porta di una scuola, chiude una prigione.

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