Raccontare Ennio Morricone è quasi impossibile, almeno lo è se si cerca di raccontarlo a tutto tondo, cercando di essere esaustivi di una vita ricca di passioni e mondi, fisici e spirituali. Ma c’è un particolare che non può sfuggire in nessun ritratto del Maestro: il suo amore per Roma e la Roma.
Chiunque abbia avuto l’occasione di andare negli Stati Uniti avrà notato come prima di arrivare tutte le cose che conoscevamo di quell’enorme Paese oltre oceano avessero la colonna sonora dei temi cuciti da Ennio Morricone, la sua essenza. Dopo essere arrivati in America avrete anche notato come tutto avesse il sapore del suo immaginario e di quanto gli americani gliene fossero riconoscenti. Ennio Morricone aveva creato un suono che era sogno, era immaginazione e l’oggetto immaginato si era piacevolmente fatto ritrarre da quel pittore schivo e modesto. Con Sergio Leone Morricone aveva creato l’America, l’aveva sognata, è il sogno era diventato realtà, con gli americani che immaginavo il loro Far West con gli strumenti inventati dai quei due italiani così tanto italiani. Siamo agli inizi della carriera per un giovane attore, si chiama Clint Eastwood, ha gli occhi di ghiaccio, ma pare una scarsa mimica facciale. Sergio Leone immaginerà per lui una delle più belle battute di sempre: “Eastwood ha due espressioni: con e senza il cappello”. Eastwood non ha ancora sfondato e vuole piacere ai suoi mentori, per farlo decide di imparare a giocare a calcio. Aveva capito qualcosa del carattere italiano, qualcosa di quel cinema italiano, qualcosa di quella coppia di geni assoluti. Il calcio era un’ancora gettata tra le pietre di Roma ed il Maestro era ancorato nella sua città eterna e della sua gente conviveva le passioni più popolari.
Come detto, Ennio Morricone era una persona schiva, ma non per questo era assente al grande carosello di emozioni, vissuti e sentimenti che il calcio regala ogni domenica a migliaia di persone. E ovviamente il centro di questa passione per il compositore dalla fama internazionale era la sua squadra del cuore A.S. Roma. Un rapporto con la città e con la squadra forte e a doppia mandata, in cui Ennio Morricone era il respiro internazionale di una squadra e di una città che vuole sempre mostrarsi all’altezza della propria fama mondiale. Tra i ricordi di Morricone legati al calcio c’era la sua prima volta allo stadio Olimpico ad ammirare Guido Masetti, quel portiere fenomenale che da Verona aveva scelto Roma per sempre, per giocare e per morire. Proprio come il Maestro: Roma epicentro del tutto. E il carattere popolare della sua città, più volte raccontato con grande calore, era la base sicura su cui il Maestro si ergeva per spedire i suoi sogni attraverso il vento nel mondo. Come oggi riporta il sito ufficiale della A.S. Roma, il Maestro parlava della sua Roma in termini poetici e geografici:
La Roma è una squadra da sempre con un carattere internazionale ma che sentimentalmente è racchiusa nei propri rioni. E’ una squadra aperta alla gente, al popolo, e comunque ha la capacità di essere internazionale, globale. E per questo lascia molto spazio alla fantasia
Il calcio che esprime passione e mette in scena il teatrino della vita senza una parola, proprio come la sua musica, che senza bisogno di parole disegnava una poetica originale, primordiale, arcaica. Non a caso nel 1978 per uno dei mondiali più controversi della storia del calcio, cioè quello Argentino, Ennio Morricone era stato chiamato a comporne l’inno che aveva trasformato il suono nel calcio in un gioco di flauti e ritmi dolci.
Poesia appunto. La stessa poesia ed energia con cui Ennio Morricone aveva seguito la Roma ed i suoi campioni, Totti su tutti, ultima figura epica di un calcio mercenario che senza abbandonare mai la propria città era diventato simbolo internazionale per il calcio tutto. Ed era certo stato Totti l’ultimo amore del compositore, l’ultimo a fargli palpitare il cuore perché romano e romanista come lui e come lui coi piedi nella città eterna e la testa in ogni luogo del mondo.