Per tutti quelli che sono nati tra gli anni ’80 e ‘90, i videogiochi rappresentano qualcosa di molto presente all’interno della vita di ogni giorno. Ma, in particolare, negli ultimi anni questo fenomeno si sta evolvendo in qualcosa di molto diverso e per molti versi, inaspettato. Di recente, il CIO ha annunciato pubblicamente che gli eSports sono destinati ad entrare a pieno titolo nei programmi olimpici del prossimo futuro. Con il comunicato del 28 ottobre 2017, diramato a seguito del summit tenutosi a Losanna, il CIO ha sostenuto che:
“Gli eSports competitivi possono essere considerati un’attività sportiva, e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un’intensità che può essere paragonata agli atleti degli sport tradizionali”
Nonostante ciò, una parte della tradizione sportiva si dimostra ancora diffidente nei confronti degli eSports e il motivo di tale approccio è rinvenibile unicamente nella costante evoluzione della percezione sociale. Se davvero il CIO porterà avanti la propria idea di far rientrare i videogiochi tra le discipline olimpiche tradizionali, gli interpreti di questa nuova pratica dovrebbero necessariamente ricondursi ad una federazione, la quale avrebbe a sua volta bisogno di organi di giustizia, giudici sportivi e di tutto un apparato che, al momento, non esiste, proprio per il fatto che – ad oggi – non è uno sport. Ma, cosa più importante, avrebbe bisogno di un sistema di controllo sul doping (fenomeno tutt’altro che raro anche nel mondo dei videogiochi), per i motivi che si svilupperanno in un paragrafo a parte, piuttosto che sui fenomeni del gambling e sul matchfixing. Se si considera che in alcuni Paesi, come la Cina o la Korea del Sud, gli sport elettronici sono parificati alle altre discipline tradizionali addirittura dal 2003, si intuisce come in una società ormai interconnessa e globalizzata i valori tenderanno sempre più ad avvicinarsi. Così come capita in tantissimi altri ambiti, come ad esempio, anche nel diritto, lo sport è un concetto dinamico.
Ciò che oggi non viene percepito come sport, potrebbe, invece, diventarlo in un momento successivo o viceversa. Allo stesso modo, si consideri che anche gli sport olimpici non sono affatto statici, bensì dinamici e gli stessi sport praticati nei Giochi variano continuamente a seconda delle singole edizioni. Già dalla prossima edizione dei Giochi olimpici di Tokyo 2020, ad esempio, rientreranno nel programma discipline che non ne hanno mai fatto parte, come l’arrampicata sportiva, il karate, il surfing e lo skateboarding e altri vi ritorneranno, come il baseball e il softball. Gli sport non sono dinamici perché i valori stessi che sottendono al riconoscimento di uno sport non lo sono. Né temporalmente, né territorialmente. Si pensi che all’alba delle Olimpiadi moderne gli sport erano solo 9 mentre ai prossimi Giochi di Tokyo 2020 le discipline ammesse saranno ben 49. Vi sono poi, sport popolari e praticati in tutto il mondo ai quali è stata negata la “dignità olimpica” e ancora discipline nelle quali, a ben vedere, l’aspetto ludico e ricreativo sembra prevalente su quello sportivo, così come viene tradizionalmente inteso. Eppure, attività come gli scacchi, il tiro a volo, il bowling o il bridge sono, ormai da tempo, considerati sport e, in alcuni casi, sono anche entrati nei calendari olimpici. Alcune di queste discipline una volta non erano affatto percepite come sport. Così, l’attualità ci obbliga a porci più di qualche questione con riferimento agli sport elettronici. Ciò posto, lo schema pare essere ancora oggi lo stesso: quando un fenomeno si diffonde e diventa sempre più radicato, subentra la necessità di imporre delle regole e far nascere protocolli ed istituzioni allo scopo di vigilare sul corretto e trasparente svolgimento delle competizioni.