Estate 1916, lungo mare di Eastbourne. Un ragazzino di 7 anni mentre bighelloneggia vicino alla spiaggia si ritrova di fronte al Devonshire Park, uno dei più esclusivi circoli di tennis d’Inghilterra. Rimane folgorato. Mentre osserva di nascosto in quella cornice ottimate un doppio misto, giocato da giovani patrizi, perfetti nei loro movimenti così curati e armoniosi, il giovane decide cosa farà da grande. Corre in spiaggia dal papà e gli domanda: “Tutte quelle belle macchine fuori dal circolo sono dei tennisti? Allora io voglio diventare un tennista“. Quel ragazzo si chiamava Fred Perry.
Ero abbastanza bravo da poter entrare in una squadra di calcio o cricket, ma non lo ero abbastanza per diventare una star
Sam Perry, padre di Fred, è un sindacalista e socialista, dopo essere stato per un lungo periodo della sua vita anche un raccoglitore di cotone. Quando la sua carriera politica inizia a decollare trasferisce tutta la famiglia a Brentham, un sobborgo-giardino progettato nel 1901 dal Co-operative Party di cui è membro. In quell’area circondata da parchi, il giovane Fred inizia ad avvicinarsi allo sport, in particolare al tennistavolo, dopo aver abbandonato definitivamente l’idea di diventare un calciatore dell’Aston Villa.
Nel 1927 a mo’ di sfida si presenta ad un torneo di ping pong al Memorial Hall. Sebbene abbia un talento nei giochi che richiedono elevata coordinazione occhio-braccio, Fred Perry non conosce affatto né le regole del torneo né tantomeno quelle del tennistavolo. Nonostante ciò, arriva in finale e attira la curiosità di Ivor Montagu, capitano della selezione inglese di ping pong ai campionati mondiali di Svezia, nonché sceneggiatore, produttore cinematografico (fu collaboratore di Alfred Hitchcock) e attivista del Partito Comunista tanto da ricevere nel 1959 il Premio Lenin per la Pace. In Svezia, Perry diventa il nuovo campione del mondo. Al ritorno annuncia al padre il suo ritiro dal tennistavolo.
‘A vent’anni sono campione del mondo, per cos’altro dovrei competere?’ dice al padre. ‘E cosa ti metterai a fare ora?’, ‘Vincerò la Coppa Davis entro 4 anni’.
La sua entrata nel tennis non è semplice perché nel Regno Unito di quegli anni il tennis è uno sport esclusivo dell’aristocrazia inglese, anzi non è nemmeno considerato uno sport, ma piuttosto un hobby attraverso cui quella piccola fetta di popolazione nel suo stile blasé consuma il tempo tra un tè e una caccia alla volpe. Il padre, però, incoraggia il figlio a provarci. Probabilmente vede in lui l’incarnazione dei suoi ideali socialisti per i quali ogni uomo deve avere le stesse possibilità degli altri. Così tramite amicizie influenti, Sam riesce a far partecipare il figlio ai primi tornei. Il fatto che il tennis sia ancora uno sport amatoriale, non gli garantisce nessuna rendita perciò all’inizio della sua carriera Fred fa svariati lavori per potersi mantenere: è fattorino alle poste e poi, commesso al negozio della Spalding. Nel 1930, però, deve scegliere: o il lavoro o il tennis. Infatti, alla vigilia del torneo di Bournemouth al quale è iscritto, il suo capo ha bisogno di qualcuno che si occupi del negozio perché, ironia della sorte, anche lui vuole assistere al torneo. Così ecco che ritorna ancora in gioco il padre, il buon vecchio Sam esorta il figlio a lasciare il lavoro e a dedicarsi completamente al tennis, assicurandogli sostegno economico. Un piccolo borghese alla conquista della vetta più alta della scala sociale.
Colpiva la palla così in anticipo che sembrava quasi scorretto. Sembrava violare quella coreografia ortodossa e rigorosa che i tradizionalisti consideravano il tennis.
Peter Ustinov
L’inizio di questa nuova carriera non è dei più esaltanti. Bill Tilden definisce Perry: “Il migliore dei peggiori, o il peggiore dei migliori“. Il fatto è che non ha tecnica. Il suo stile è sgraziato. Tiene la racchetta come se fosse quella del ping-pong, una presa, che in futuro verrà conosciuta come la presa Continental, in contrasto con quella che viene insegnata nei circoli tennis. Fortunatamente per Perry, sulla sua strada incontra Dan Maskell. Con The Voice of Wimbledon, come sarà ricordato in futuro Maskell per la sua carriera da telecronista della BBC, Fred Perry inizia a maturare a livello tecnico. Insieme potenziano e raffinano il dritto, di sicuro il suo colpo più iconico.
L’obiettivo è quello di governare il gioco, costruirlo in modo che alla fine gli avversari arrivino a mostrargli il lato debole sul quale lui avrebbe poi infierito con il dritto. Una concezione totalmente rivoluzionaria per l’epoca. Il tennis è visto ancora come qualcosa di amatoriale, dove il concetto di agonismo, come lo intendiamo oggi, non è contemplato. Più che altro all’epoca lo si vede come un gioco in cui la differenza la fa solo il talento. Fred Perry cambia radicalmente tutto questo. Con lui il tennis diventa professionismo. È talmente attento ad ogni dettaglio che per un periodo Perry si allena ad Highbury con i giocatori dell’Arsenal. In breve tempo Fred Perry impone un dominio mai visto prima. Tra il 1933 e il 1936 vince 8 finali Slam su 10, diventando il più forte giocatore inglese del momento. Ma la svolta nella sua carriera avviene durante la finale di Wimbledon, il 26 giugno del 1934.
Il 26 giugno del ’34 Perry affronta in finale Jack Crawford, non può trovare avversario più diverso da lui. Crawford è tutto quello che Jack non è: è l’idolo dell’aristocrazia inglese, il figlio prediletto dell’ All England Club, amato persino dalla regina Mary. In ballo in questa finale non c’è solo il titolo, ma la concezione che anche un piccolo borghese possa competere con la crème de la crème della società inglese e che, anzi, possa essere batterlo. Perry gioca la partita perfetta. Dopo il secondo set Crawford non torna a sedersi per bere, asciugarsi e riprendere le forze; rimane fermo impalato sulla linea di fondo, con le mani sui fianchi e la testa bassa, cercando di capire cosa stia accadendo. Perry vince 6-3 6-0 7-5, il pubblico lo acclama, ma molti dell’All England Club rimangono profondamente delusi. Nello spogliatoio, come da tradizione, George Hillyard avrebbe dovuto consegnargli la cravatta ufficiale dell’All England Club, ma Fred trova la cravatta appoggiata sciattamente su una sedia. Pare anche che Hillyard abbia sussurrato a Crawford: “Oggi non ha vinto il migliore“.
Così, sapendo di non essere amato, decide di andare negli Stati Uniti e diventare un professionista. Lì vivere giocando a tennis non è considerato scandaloso, anzi, l’idea del self-made man è alla base della civiltà americana. Questo, però, irrita la Lawn Tennis Association (LTA) che gli revoca la tessera dell’All England Club e gli vieta di partecipare a Wimbledon. In America, Fred inizia a conoscere gente di Hollywood, da Charlie Chaplin a Groucho Marx, ed entra sempre più nello star-system d’oltreoceano. Prende la cittadinanza americana e durante la Seconda Guerra Mondiale sarà coscritto come preparatore atletico delle truppe. In futuro si riavvicinerà alla LTA, ma ci vorranno decadi. Bisognerà aspettare il 1984, quando all’All England Club verrà eretta una statua a grandezza naturale in suo onore. Durante la cerimonia in lacrime dichiarerà: “Quella con Wimbledon è stata la storia d’amore più importante della mia vita“.
Ma la grandezza di Fred Perry va oltre il mero sport. Intorno agli anni Quaranta, Tibby Wegner, ex calciatore e sarto viennese d’origine ebraica, decide di creare una nuova linea d’abbigliamento sportivo, dedicata ai tennisti, e sceglie come testimonial Fred. I due iniziano a studiare il logo e il nome. Perry vorrebbe inserire una pipa, usata da molti tennisti dell’epoca, ma Wegner con buon spirito commerciale sottolinea il fatto che non sarebbe piaciuto al pubblico femminile, così scelgono The laurel wreath, la corona d’allora, simbolo di vittoria. Il successo della linea è merito di Perry che fa partire una vera e propria campagna di marketing. Regala le sue maglie a tutti i tennisti e agli addetti ai lavori, ai suoi amici dello show business che a loro volta le regalano ad altri amici potenti; perfino la principessa Grace di Monaco e JFK ne hanno una. La polo Fred Perry diventa negli anni anche un elemento distintivo della subcultura Mod ed oggi noi tutti pensiamo a Fred Perry come un brand di abbigliamento, ignorando che sia stato il primo uomo a distruggere l’armonia di quel gioco ancora così amatoriale, quasi naïf che all’epoca si giocava con le racchette di legno. Aprì la strada al professionismo come lo intendiamo oggi, da semplice hobby elitario a sport di lotta e antagonismo per tutti, una vera rivoluzione di classe.