Li Zhensheng era un fotoreporter per il giornale locale di Harbin, capitale della provincia più settentrionale della Cina, Heilongjiang. È lì che ha svolto il lavoro della sua vita documentando la Rivoluzione Culturale, raccogliendo sia le immagini propagandistiche “positive” delle masse scatenate nel fervore rivoluzionario che quelle “negative”, più sfumate e interrogative. Negli ultimi anni della sua vita Li ha attirato una certa attenzione – almeno, al di fuori della Cina – con la pubblicazione di Red-Color News Soldier, un libro sul suo lavoro, che è al tempo stesso libro di memorie, libro di storia e libro fotografico.
Li Zhensheng, nato da una famiglia povera nella città portuale nord-orientale di Dalian il 22 settembre 1940, grazie al lavoro del padre, cuoco su una nave a vapore, conobbe fin da subito le diverse sfaccettature della Cina e maturò quello sguardo curioso che ha caratterizzato tutto il suo lavoro. Dopo la morte della madre, quando aveva solo 3 anni, tornò nella città natale nella provincia orientale dello Shandong, dove crebbe con la sorella minore e il fratellastro maggiore, che fu ucciso nel 1949 combattendo nell’esercito rivoluzionario di Mao.
L’interesse del signor Li per il cinema e la fotografia nacque in giovane età. Per pagare i biglietti del cinema, raccoglieva e vendeva tubetti di dentifricio vuoti. Mentre era alle medie, barattò una preziosa collezione di francobolli con la sua prima macchina fotografica, e gli amici a volte mettevano insieme i loro soldi per comprargli un rullino in modo che gli potesse scattare delle foto. Iniziò a studiare cinematografia alla Changchun Film School, nella provincia nordorientale di Jilin, ma a causa delle disastrose politiche economiche di Mao durante il programma del Grande Balzo e della carestia di massa che ne seguì, c’erano poche opportunità di lavoro nel settore. Così, dopo la laurea, trovò lavoro come fotoreporter presso l’Heilongjiang Daily ad Harbin. Nel 1968 – a due anni dall’inizio della Rivoluzione Culturale – il signor Li venne accusato di essere un “nuovo borghese”: umiliato davanti a 300 dipendenti del giornale venne retrocesso.
L’anno successivo, lui e sua moglie furono mandati in campagna per “rettifica” e costretti al lavoro manuale. Quando fu loro permesso di tornare ad Harbin il culmine della Rivoluzione Culturale era ormai passato. Tornò al giornale, anche se fu solo dopo la morte di Mao, nel 1976, che si sentì finalmente al sicuro. Come sottolineato dallo stesso fotografo, quando è iniziata la Rivoluzione Culturale, quando Mao l’ha annunciata, tutti erano molto emozionati. Si sentivano tutti parte di un movimento politico.
All’inizio della campagna, guarda i sorrisi delle persone nelle mie foto: erano sinceramente entusiasti di far parte del movimento.
Nell’agosto del 1966 vide le Guardie Rosse attaccare la chiesa di San Nicola e il tempio buddista Jile Temple nell’Heilongjiang. Bruciavano sculture e sacre scritture. C’erano critiche feroci ai leader, critiche ai monaci. In quel momento, mentre il suo entusiasmo verso la rivoluzione stava scemando, iniziò a scattare più foto documentando i diversi lati di ciò che stava accadendo. Come tutti i fotoreporter iniziò a scattare due tipi di foto: quelle “utili” e quelle “non utili”. Le prime potevano essere utilizzate dai giornali; le altre no. Li Zhensheng scattò decine di queste foto e per evitare di essere imprigionato, o peggio, le nascose sotto il parquet di casa sua fino alla fine della rivoluzione. Non ha mostrato queste immagini in Cina fino alla fine degli anni Ottanta. E anche oggi, data la sensibilità che aleggia attorno alla Rivoluzione Culturale in Cina, il suo lavoro viene visto più spesso all’estero che in patria.
Nella primavera del 1968, sentivo che presto sarei stato perquisito, portavo a casa un sacco di negativi ogni giorno dopo il lavoro. Ho fatto un buco nel pavimento di casa sotto la scrivania e li ho nascosti lì.
Alla fine della Rivoluzione Culturale decine di milioni di persone erano state perseguitate e, secondo alcune stime, fino a 1,5 milioni erano morte, molte delle quali furono spinte al suicidio. “Nessun altro movimento politico nella storia recente della Cina è durato così a lungo, ha avuto un impatto così diffuso e un trauma così profondo come la Rivoluzione Culturale“, ha affermato Li in un’intervista del 2018 al Times.
Nel 1988 la Cina era nel mezzo di un breve periodo di apertura quando Li espose per la prima volta a Pechino 20 delle sue immagini precedentemente nascoste, e la sua serie Let the Past Speak to the Future vinse il primo premio in un concorso. Nei decenni successivi, la Rivoluzione Culturale è diventata un argomento sempre più tabù in Cina. I funzionari avevano ripetutamente bloccato i tentativi del signor Li di pubblicare le sue foto, come parte di uno sforzo più ampio da parte del Partito Comunista per insabbiare quel capitolo turbolento.
Alcune persone mi hanno criticato, dicendo che sto lavando i panni sporchi del Paese in pubblico. Ma la Germania ha fatto i conti con il suo passato nazista, l’America parla ancora della sua storia di schiavitù, perché noi cinesi non possiamo parlare della nostra storia?
La maggior parte di queste immagini sono ancora in gran parte invisibili in Cina e il suo libro è stato censurato. Eppure, solo conoscendo la storia si può andare nel futuro. È l’eredità dell’umanità. Solo conoscendo il passato è possibile prevenire le tragedie future.