baseball korea del sud

Il baseball in Korea del Sud tra politica, economia e cultura

L’influenza degli Stati Uniti e le politiche sociali del regime militare degli anni Ottanta hanno assicurato al baseball un ruolo centrale nella cultura coreana.

A Busan, la città più orientale del continente asiatico, giocano i Lotte Giants, squadra di baseball professionistica, la cui ultima vittoria nelle Korean series risale al lontano 1992. Considerando che il numero di squadre che competono nella lega coreana è un terzo di quello della Major league americana, siamo ben oltre la Maledizione del Bambino (dopo che i Boston Red Sox cedettero Babe Ruth, il Bambino, ai New York Yankees non vinsero il campionato per 86 anni), e più vicini a quella della Capra (dopo che l’accesso allo stadio venne negato ad una capra-mascotte i Chicago Cubs non vinsero per 108 anni). Ciononostante la speranza in quel di Busan è l’ultima a morire, e così come nell’alternanza delle stagioni, ogni anno i tifosi passano dal “questa volta è diverso” primaverile al “come al solito” autunnale. In ogni caso, a Busan come a Seul, Daegu e in tutte le città coreane il baseball è lo sport più seguito, con un numero di spettatori che è circa sei volte superiore a quello del calcio. Gli spalti sono uno spaccato della società coreana, giacché si riuniscono tifosi di tutte le età, senza distinzione di sesso, religione e orientamento sessuale. Per usare le parole di Choi Young, scrittore e saggista coerano, “lo stadio di baseball è simile a ciò che dice il Hwaeom (il nome coerano di una delle più importanti scuole coreane del buddhismo cinese) un mondo ornato da una grande varietà di fiori“.

baseball korea del sud

Il baseball chiama a sè molti aspetti dell’esistenza del Paese legati alla politica, all’economia e alla società che trovano in questo sport una perfetta sintesi. Il principale motivo dello sviluppo del baseball in Korea è dovuto all’influenza degli USA a partire dalla Seconda guerra mondiale e rafforzata durante la Guerra fredda. Nel 1982, quando venne lanciato il baseball professionistico, questo sport era la disciplina sportiva più diffusa nelle scuole superiori. Il regime militare, istauratosi con un un colpo di stato nel 1980, per placare il profondo malcontento della popolazione, dovuto alle forti repressioni e libertà, attuò il programma “delle tre S“: schermo, sesso e sport. Con le prime due si intende lo sviluppo del settore cinematografico e, in particolare, di quello per adulti, con il terzo, la creazione delle leghe professionistiche. Uno sviluppo che, nonostante la dittatura, permise alla Korea di ospitare le Olimpiadi, che si svolsero a Seul nel 1988. Un evento che permise al Paese di elevare il proprio prestigio internazionale, anche per la presenza di USA e URSS. Ad accentuare anche il modello politico di questo sport nella quotidianità dei coreani, è anche il legame che le squadre professionistiche hanno con le grandi realtà industriali. Se negli USA le squadre si identificano con la città di appartenenza, in Korea queste fanno riferimento ai grandi conglomerati industriali, in coreano chaebol, che ne sono proprietari e principali sponsor: Samsung Lions, LG Twins, Kia Tigers, Lotte Giants, e così via. L’input è stato politico: per evitare che, all’inizio delle loro vite, queste squadre, dai costi di gestione superiori agli incassi, potessero fallire, il governo militare offrì dei vantaggiosi sgravi fiscali a tutti i chaebol per diventarne proprietari, pareggiando così le perdite, oltre ad ottenere un enorme ritorno d’immagine. I chaebol hanno un significato speciale in Korea e non solo per il loro impatto nel mondo sportivo. Sono una forma di impresa che racchiude attorno a sé diverse aziende, di solito tutte di proprietà di un’unica famiglia, e strategicamente supportata fin dalla nascita dal governo. Samsung, ad esempio, non possiede solo la Samsung electronics, ma anche due compagnie di assicurazioni, una catena di hotel, una società di costruzioni, un’azienda chimica, una società di carte di credito, un’industria biofarmaceutica, e molto altro ancora. In sostanza, le squadre di baseball non sono altro che una delle tante aziende dei chaebol. 

Questo imponente sviluppo economico, che trova nei chaebol il massimo è più esemplificativo esempio, si deve alla Guerra di Korea, che ridusse il Paese ad un mucchio di macerie. Il governo militare degli anni Sessanta, prendendo spunto dallo sviluppo dell’economia giapponese di inizio secolo, decise di concentrare tutte le risorse in specifici settori industriali ritenuti strategici per poi, una volta sviluppata una florida economia, ridistribuirne i frutti. Si trattò di un azzardo che, nonostante gli enormi rischi, funzionò alla grande. Il supporto governativo, l’ingegno degli imprenditori e la diligenza dei lavoratori collaborarono per creare prodotti esportabili in tutto il mondo; il reddito pro capite è passato dai 67 dollari del dopoguerra ai 32mila di oggi. 

Altro elemento di unicità che rende il baseball a queste latitudini così impattante è dettato dal forte senso di unicità della società coreana. I coreani sono fondamentalmente una nazione monoetnica, ovvero presenta un elevato grado di omogeneità etnica. Questo è senz’altro dovuto alla posizione geografica del Paese: una penisola all’estremità del continente, circondata su tre lati dal mare. In più, l’estensione territoriale è piuttosto contenuta e questo fa si che si possono raggiungere gli estremi del Paese in poche ore, rafforzando una sostanziale uniformità di stili di vita in tutto il territorio: le persone vivono in abitazioni perlopiù uguali, indossano vestiti simili e consumano lo stesso cibo. Oltretutto, per più di mille anni la penisola coreana ha mantenuto un sistema politico centralizzato, costruito sul modello cinese. Non è raro infatti sentire sui media slogan come “Il regionalismo è anti patriottico“; ne è una dimostrazione la capitale Seul che supera i dieci milioni di abitanti e che ogni giorno ospita i pendolari della sua area metropolitana, che ospita 26 milioni di persone, circa la metà della popolazione dell’intero Paese. Non è un caso che delle dieci squadre professionistiche esistenti cinque fanno base a Seul e alla sua area metropolitana. Eppure nonostante questa monotonia territoriale, esistono dei conflitti tra la regione sudovest e quella sudest del Paese, nati proprio con il baseball.

Nel maggio del 1980 ebbero luogo numerose proteste a Gwangju, nella provincia sudoccidentale di Jeollanam, a sostegno della democrazia e contro la dittatura militare. Le proteste furono violentemente represse (si parla di almeno duecento morti) scatenando l’indignazione di tutta la regione. Questi eventi, noti come Il movimento di democratizzazione del 18 maggio, con il tempo vennero declassati a piccole rivolte locali. Questo non fece altro che fomentare un sentimento di rivalsa e di autonomia in tutta la regione al punto che i Kia Tigers (all’epoca conosciuti come gli Haita Tigers)  si considerano, come il Barcelona: més que un club. La cerchia più ristretta della dittatura militare era composta da generali originari della regione sudorientale della penisola, e questo portò ad una diretta rivalità tra gli Haita Tigers e i Samsung Lions di Daegu, città del sudest. La situazione cambiò molto negli anni Novanta quando venne promulgata una costituzione democratica e il Movimento di democratizzazione del 18 maggio venne riabilitato. Da allora il baseball ha smesso di essere un veicolo di aspirazioni politiche, e oggi la maggiore rivalità riguarda gli LG Twins di Seul e i Lotte Giants di Busan, perché sono le squadre con più tifosi e rappresentano le città più popolose e ricche del Paese. La sfida tra queste due squadre è conosciuta come El Lotlasico, una crasi tra El (la pronuncia inglese della prima lettera di LG) e Lotte, con un riferimento al El clasico spagnolo, tra Real Madrid e Barcelona.

Il baseball coreano vive, però, il vero spettacolo sugli spalti. Considerando che si tratta di un sport dove l’azione dura pochi minuti e la maggior parte del tempo è dedicata a sviluppare strategie di gioco (il baseball è uno sport molto complesso e incerto, per questo  molto del tempo che i giocatori passano nel diamante è dedicato a pensare e a calcolare le diverse variabili che possono influenzare il gioco), di solito sugli spalti vive una certa calma e i tifosi sono piuttosto silenziosi, proprio per non “distrarre” i giocatori. In Korea, questo non accade. Musica e cori escono dagli altoparlanti senza sosta; ci sono volte in cui intere tifoserie vengono ammonite dagli arbitri per il troppo rumore. Sembra di essere più ad una partita di calcio che di baseball. Come se non bastasse, data la lunga durata delle partite — mediamente tra le tre e le cinque ore — molti sugli spalti non si limitano a mangiare i classici hotdog, ma veri e propri pasti, come pollo fritto, barbecue di pancetta e sashimi. Spesso le partite del venerdì sera e del sabato sono l’ideale per un appuntamento romantico o un normale incontro post lavoro tra i colleghi. Del resto, la Korea è il Paese dello heung, un coacervo di sentimenti che vanno dall’amarezza per quello che è stato all’eccitazione per quello che potrà essere, e che si manifesta come euforia collettiva. È in definitiva, ciò che caratterizza la hallyu, l’onda coreana, quel risveglio culturale ed economico post guerra di  indipendenza che comprende non solo il k-pop, ma anche i prodotti di bellezza, quelli tecnologici e il cibo. E sicuramente anche il baseball.

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