Donald Sutherland

La grandezza silenziosa di Donald Sutherland

Donald Sutherland non aveva l’aspetto di una star del cinema: alto un metro e ottanta, con una zazzera di capelli ricci, una mascella pronunciata e occhi iridescenti leggermente sporgenti che non lo facevano sembrare certo il ragazzo della porta accanto. Non interpretava eroi d’azione o amanti appassionati. Non fu mai nemmeno nominato all’Oscar (per pura vergogna, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences gli conferì una statuetta onoraria nel 2017). Non è un caso che iniziò ad avere una certa fama all’alba degli anni Settanta, quando il “non convenzionale” era di moda. Era un attore dotato, aveva il carisma dei grandi, ma forse non aveva l’ego necessario per essere una star del cinema. Forse è per questo che non ebbe lo stesso successo al botteghino come alcuni suoi colleghi (Redford, Nicholson, Hoffman, Hackman). Eppure eri consapevole durante i titoli di coda che aveva dominato ogni scena in cui si trovava.

All’inizio Hollywood e il pubblico non sapevano cosa pensare di lui – non riuscivano a decidere in quale nicchia si collocasse – e dopo una serie di apparizioni televisive britanniche negli anni Sessanta, l’attore trovò il suo momento, interpretando un idiota, pseudo-criminale nell’epico film sulla seconda guerra mondiale The Dirty Dozen (1967). E per un po’ cavalcò il personaggio dello stupido comico con i successivi fim Kelly’s Heroes e Start the Revolution Without Me (entrambi del 1970).

Donald Sutherland
Sutherland e Fonda andarono in tournée con altri artisti attraverso il Pacifico, mettendo in scena spettacoli contro la guerra del Vietnam fuori dalle basi militari. Eccoli a Manila il 3 dicembre 1971 | Foto: Archivio Bettmann
Donald Sutherland
Steelyard Blues, 1973
Fonda e Sutherland hanno lavorato di nuovo insieme in questa strana commedia poliziesca. A causa della posizione anti-establishment e pacifista della coppia, il film non ebbe molta pubblicità. | Foto: www.ronaldgrantarchive.com

Ma nel 1970 Sutherland fu anche co-protagonista nel capolavoro simbolo della controcultura, M.A.S.H., e all’improvviso divenne uno dei pochi attori cinematografici che sembrava dire la verità sulla guerra e sul mondo, con un idealismo cinico che incantava. I film che seguirono sono un saggio sul tipo di film che dovrebbe interpretare un attore che non vuole essere una star: Klute (1971); Don’t Look Now (1973), uno dei film più inquietanti della sua epoca, diviso equamente tra l’eros della controversa scena di sesso e la catarsi del suo scioccante finale. Sutherland fu anche il Casanova di Fellini, ma la sua interpretazione fu molto controversa: la critica voleva un idolo del matinée invece del cane imperfetto e sballottato dalla tempesta che il regista romagnolo gli aveva disegnato.

Era un personaggio controcorrente. Nota è la storia di quando accettò di girare per un giorno il ruolo del professore in National Lampoon’s Animal House per un compenso fisso di 35.000 dollari invece di un accordo di partecipazione agli utili che gli avrebbe fruttato circa 2 milioni di dollari. Sutherland poteva rappresentare la malvagità, la sensualità o le preoccupazioni di un uomo perbene che portava il peso della leadership e del dolore. Gravitava verso ruoli di leader complessi; aveva la serietà intellettuale e la maturità emotiva necessarie per interpretare una figura di un pater familias problematico come in Ordinary People di Redford, probabilmente il punto più alto del suo talento cinematografico. Eppure, ironia della sorte, proprio dopo questo capolavoro, le linee telefoniche misteriosamente si raffreddarono e Sutherland non fece più audizioni per diverso tempo. Quindi fece ciò che fanno gli attori di talento durante i momenti di magra: prese quello che veniva e lavorò. La filmografia di Sutherland degli ultimi 40 anni è costellata di tesori poco conosciuti. Un’affascinante spia tedesca in La cruna dell’ago (1981), un sudafricano deciso a combattere l’apartheid in A Dry White Season (1989), un colonnello sovietico alla ricerca di un serial killer in Citizen X (1995), interpretazione che gli valse un Emmy – tutte performance memorabili e solide. E nel nuovo millennio, Sutherland era maturo al punto da essere scoperto da una nuova generazione di spettatori, prima nei panni dell’adorabile Mr. Bennett in Orgoglio e pregiudizio del 2005, e poi nel ruolo del malvagio presidente Snow nella saga di Hunger Games (2012-2015). E anche allora, Sutherland si rifiutò di abbassarsi alla malvagia caricatura del cattivo. Come disse in un’intervista al New York Observer: “Pensi che Lyndon Johnson si sentisse il cattivo mentre uccideva un milione di vietnamiti? George W. Bush o Dick Cheney: non si considerano dei cattivi… Snow pensa che sia un espediente. Sta cercando di controllare un impero“.

Donald Sutherland
Donald Sutherland nei panni del Casanova di Federico Fellini | Foto: Collezione John Springer/Corbis tramite Getty Images

Come lo ha definito Pietro Bradshaw sul The Guardian, Sutherland aveva raggiunto quell’aurea da aristocratico del cinema. E infatti, nei suoi ultimi anni i suoi ruoli erano intrisi di una grazia dura ed evanescente. I suoi occhi spiritati che incutevano paura, quel sorrisino ingenuo che somigliava ad un ghigno gli davano quel tocco di eccentricità, come se da un momento all’altro potesse fare o dirti qualcosa da abbatterti o esaltarti. Donald Sutherland era una star del cinema? Non c’è altro modo per definirlo.

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