Il Governo spegne il calcio e i cervelli

Nessun rientro di cervelli (e gambe) dal 2024

La notizia del blocco della proroga dell’articolo 5 del Decreto Crescita è stata appresa dai club di calcio italiani come un vero e proprio terremoto, anche se con posizioni leggermente differenti. Cos’é il Decreto crescita? Una misura di bilancio economico approvata dal Governo italiano nel 2019 che aveva l’obiettivo di tagliare parte degli oneri contributivi in virtù di una maggiore fluidità  dell’economia nazionale. Alla domanda su cosa c’entri una simile misura con il calcio è molto facile rispondere: l’articolo 5 del decreto prevedeva una minore tassazione per quanti spostassero la propria attività sul suolo italiano dopo almeno due anni di assenza. L’articolo siglato “Rientro dei cervelli“, in grande fretta è diventato l’articolo salva calcio per ragioni del tutto evidenti.

Recitando che “I redditi di lavoro dipendente, i redditi assimilati  a  quelli di lavoro dipendente e i  redditi  di  lavoro  autonomo  prodotti  in Italia da lavoratori che trasferiscono la residenza nel  territorio dello Stato […] concorrono alla  formazione  del reddito complessivo limitatamente al 30 per cento del loro  ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni“. Le condizioni specificate nei commi successivi che comprendevano il possesso di una residenza italiana per almeno due anni, di immobili, miglioravano ulteriormente nel caso in cui il cervello di ritorno avesse figli o moglie. Fa sorridere ovviamente che un articolo intitolato “Rientro dei cervelli” abbia fatto discutere in Italia più che altro di gambe e piedi buoni, e poco di fisici e ingegneri. Ma si sa l’Italia è un paese creativo.

fonte Sky Sport

Cos’ha voluto dire il Decreto Crescita per il calcio italiano? Il Decreto ha soprattutto spostato l’attenzione dei club verso l’estero dove un calciatore avrebbe potuto guadagnare il 25-30% in più con un ingaggio lordo uguale a prima. Se un giocatore arrivato dalla Premiere League avesse avuto un ingaggio di 10 milioni di euro lordi ne avrebbe guadagnati 7-7,5 invece di 5, con un guadagno di 2-2,5 milioni netti nelle proprie tasche. Insomma il taglio del gettito fiscale voleva dire per le società poter offrire meno soldi (lordi) e avere condizioni migliori per i calciatori, evento che ovviamente rendeva più appetibile il mercato italiano rispetto all’estero. Aggiungiamo tangenzialmente che questo permetteva al campionato italiano di competere con ottime condizioni (anche se le cifre della Premier o del Lega Araba sono inavvicinabili) con mercati europei vicini, vedi quello francese e soprattutto quello tedesco. Di questo articolo, di questa possibilità, ovviamente hanno usufruito tutte le società , chi più chi meno, portando anche ad indirizzare il mercato in tale senso. Se per esempio un giocatore emergente italiano sarebbe costato 1 milione di euro netti (quindi 2 milioni lordi), una società poteva ingaggiare un giocatore proveniente dall’estero offrendogli 1,3 milioni netti allo stesso costo lordo. Cifre solo in apparenza minimizzabili.

Ovviamente, queste ottime condizioni offerte dal governo hanno prodotto immediatamente un mercato più entusiasta ed euforico, anche se spesso poco attento ai particolari. L’idea di poter spendere meno comprando di più (eh si la signora Maria ha lo stesso problema al supermercato) ha indotto spesso i club a perseguire la via più semplice del mercato straniero anche di fronte a condizioni più onerose. Va detto, del resto, che in Italia negli ultimi anni (si escludano Lukaku e pochi altri casi) i grandi stranieri in arrivo sono state più scoperte o recuperi che affari di mercato. Si veda ad esempio il caso K’varatskhelia (sconosciuto al suo arrivo) o di Onana (recuperato psicologicamente).

stop decreto crescita
fonte Sky Sport

Le squadre italiane hanno reagito in maniera differente. In casa Milan, che guardava con grande speranza al mercato di gennaio, le parole dell’amministratore delegato, Giorgio Furlani, il giorno prima della revoca lasciano poco spazio all’interpretazione:

I risultati sportivi portano ricavi, ma salta tutto se venisse tolto il Decreto Crescita; senza il decreto sarebbe la distruzione del calcio italiano.

Anche in casa Inter Marotta non ha certo festeggiato affermando che l’abolizione del Decreto Crescita potrebbe distruggere il calcio italiano proprio mentre stava risalendo la china grazie a tre squadre nelle principali finali europee. Meno preoccupazione in casa Juventus dove Allegri si è detto più sereno di altri grazie al fatto che la Juventus ha puntato negli anni su giovani talenti, quasi tutti italiani, con un progetto a lungo termine. Verissimo e forse visti i casi di Pogba e Di Maria vien da dire che di necessità virtù si è fatta.

Ad ogni modo sembra che tutto il calcio italiano sia preoccupato, viste anche le parole pesanti della Lega Calcio che in una nota ha fatto sapere che:

La mancata proroga produrrà minore competitività delle squadre, con conseguente riduzione dei ricavi, minori risorse da destinare ai vivai, minore indotto e dunque anche minor gettito per l’erario.

Un’unica eccezione proviene dall’Assocalciatori che si dichiara favorevole non per ragioni economiche, ma bensì per la necessità di tutelare il talento italico. In questo contesto viene da pensare se ci sia posti il problema che l’articolo “Rientro dei cervelli” non sia stato fatto esclusivamente per il mondo calcio. Alla facile risposta populista “Ma sapete quando guadagnano i calciatori?” o peggio ancora “Ma non ci sono più italiani“, bisognerebbe accompagnare la risposta che il calcio genera introiti, tasse, turismo, visibilità. Tutte cose che nel mondo globalizzato della società digitale corrispondono a ricchezza. Quindi questa misura apparentemente contro i calciatori vittime dei loro guadagni, si sta rivelando già in prima battuta una misura contro gli investitori, contro l’economia italiana in virtù di un amor patriae solo nella forma, ma non nella sostanza. L’idea di sfavorire gli investimenti nel nostro Paese comporterebbe non un miglioramento della produzione (sportiva, culturale, industriale) ma semplicemente un peggioramento generalizzato della filiera.

A tutto questo va aggiunto che il decreto era interessato a portare in Italia soprattutto i cervelli (ahimè), ovvero quei produttori di conoscenza (ricercatori, medici, creativi) che rendono una società più ricca, aperta e in comunicazione con i trend internazionali. Ma forse è proprio questa idea di mondo che non piace a qualcuno al governo: un mondo in cui è lo scambio, la competitività, a rendere attrattivo un luogo e non la semplice appartenenza. Non escludiamo che qualche buon pensante possa cercare di venderci la frittata con la considerazione che si potrebbe far valere il decreto attuale solo per tutto ciò che non è calcio, cosa ovviamente del tutto incostituzionale vista la precisa affermazione dell’articolo 3 che recita: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”.

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