Sono molto orgoglioso di aver preso questa grande decisione nella mia vita. In Europa il mio lavoro è finito. Ho vinto tutto e ho giocato per i club più importanti d’Europa. Questa è una nuova
sfida.
In un tripudio di foto, social impazziti e decine di microfoni queste sono state le prime parole di Cristiano Ronaldo durante la presentazione organizzata al Mrsool Park di Ryadh dal suo nuovo club l’Al Nassr. Due anni e mezzo di contratto, stipendio annuale da circa 200 milioni di dollari. Un’enormità mai vista prima nel calcio e che supera di slancio anche il più remunerativo dei contratti della ricca NFL – la lega statunitense di football americano – basti pensare che Tom Brady nel 2021 ha guadagnato il suo contratto più pesante: 40 milioni di dollari. CR7 ha abbattuto un altro record dopo aver vinto 5 Champions League, 5 palloni d’oro e aver segnato più di chiunque altro nella storia del calcio europeo. A 37 anni poteva ancora competere nel calcio del vecchio continente?
Dopo il ritorno fallimentare allo United, la sensazione è che ormai il suo tempo nel calcio di alto livello fosse giunto al capolinea. Lo stesso Mondiale con la maglia della nazionale non è andato come desiderava ed è finito con un’uscita sommessa verso gli spogliatoi, un canto del cigno molto stonato. Il suo lento declino è cominciato qualche anno prima. La stella dell’asso portoghese aveva già cominciato ad affievolirsi quando aveva lasciato il Real Madrid, se proprio vogliamo andare nel dettaglio, per indossare la maglia della Juventus. Perché, se è pur vero che gli anni bianconeri gli hanno permesso di incamerare anche i titoli della Serie A, andando così a rimpinguare una bacheca straordinaria, in Champions League il suo cammino si è fermato sempre troppo presto. Forse va bene così. Forse va accettato il fatto che anche gli eroi sono stanchi e vogliono solo riposare e riempirsi la pancia o il conto in banca fino a non poterne più. Quello che stupisce in negativo perciò non è tanto la scelta di Cristiano Ronaldo di sbarcare in Arabia Saudita ma come il mondo calcistico occidentale ha reagito a questa decisione, dimostrando quanto il moralismo e la saccenza abbiano ormai avviluppato molto i media nostrani. Il sentore di superiorità che emerge dalla lettura di quotidiani e la visione di trasmissioni televisive e online lascia alquanto perplessi, come se in pochi abbiano imparato la lezione di Qatar2022. Il mondo si sta muovendo a grande velocità e la penisola araba ne è uno dei fulcri centrali. Converrà rendersene conto prima possibile e agire di conseguenza, non credete? L’Arabia Saudita è stato e probabilmente è ancora il principale player politico della zona del Golfo Persico.
Nel 2016 Mohamed Bin Salman, figlio del re d’Arabia, Salman bin Abdulaziz Al Saud, e suo erede, lancia in pompa magna Saudi Vision 2030, progetto che vuole sganciare la monarchia saudita dalla
dipendenza dal petrolio, diversificandone l’economia e sviluppando settori pubblici strategici come
l’esercito, l’educazione, le infrastrutture, la salute, il turismo e la cultura. Da un punto di vista meramente politico l’obiettivo principale è quello di confermare l’Arabia Saudita come il cuore
del mondo arabo e islamico, già più di quanto non lo sia già. Al suo interno c’è l’ipotesi della costruzione di Neom, la città nel futuro creata ex novo in mezzo al deserto. Siamo di fronte a qualcosa che sta a metà tra la megalomania e il genio. Immaginate di trasportare Venezia, con i suoi canali e le sue vie d’acqua, in mezzo al deserto moltiplicata per 50 in termini di grandezza e abitanti. 500 milioni di dollari di spesa preventiva per un monumento alla più ardita green ecology contemporanea. L’impatto ambientale è ovviamente devastante, perché se costruisci canali e ponti in mezzo al deserto l’acqua in qualche modo dovrai farla arrivare, no? L’importante è la forma, sul resto si può sorvolare.
Da un punto di vista dei diritti se il Qatar piange, l’Arabia Saudita non ride, ma questo è il mood a cui dovremo abituarci, se siamo disposti a farlo senza colpo ferire. In Vision 2030 è anche previsto un largo sostegno alle imprese private che hanno voglia di investire nello sport. Il Ministro dello Sport saudita, Prince Abdulaziz bin Turki Al Faisal, ha dichiarato nel novembre 2022 che il suo governo supporterà qualsiasi intervento privato che provi a comprare il Manchester United o il Liverpool. In un’intervista rilasciata a BBC Sport ha dichiarato:
La Premier League è il campionato più seguito in Arabia Saudita e nella regione della penisola araba. Se i privati sauditi vogliono entrare in gioco, lo sosterremo sicuramente, perché sappiamo che questo si rifletterà positivamente sullo sport nel regno. Se c’è un investitore disposto a farlo e i conti tornano, perché non farlo?
PIF, il fondo legato direttamente alla famiglia regnante in carica, è già “padrone” del Newcastle e lo sbarco di altri capitali sauditi in Premier League è dietro l’angolo. Se da una parte la monarchia spinge per mostrare la propria potenza all’estera, uno sguardo a ciò che succede nel cortile di casa non manca mai, e anzi può diventare il fiore all’occhiello della politica espansiva che racconta Saudi 2030. Dopo la scomparsa della Cina, che si è dimostrato un vero e proprio gigante d’argilla, la Saudi Pro League, il campionato saudita di prima divisione, si propone come la nuova alternative extra-europea al mondo calcistico.
L’obiettivo è quello di superare la MLS – il campionato statunitense – agli occhi del pubblico e di tutto il settore. Le vittorie dell’Al-Ahli in AFC Champions League hanno ovviamente aiutato in questa direzione, e nel corso degli anni le riforme, gli investimenti e gli arrivi di calciatori e allenatori di richiamo come Rudi Garcia, Moussa Marega, Talisca, Ever Banega, Ighalo, Ospina mostrano che la forza del campionato locale è in chiaro aumento. In questo contesto l’arrivo di Cristiano Ronaldo è la prima vera prova di forza con cui il calcio saudita si mostra agli occhi del mondo. L’averlo portato nel Golfo Persico è una mossa che nessuno si aspettava. Lo stesso calciatore portoghese ha confermato l’interesse di mezzo mondo, ma poi è rimasto convinto dai petroldollari e si è trasferito di buon cuore a Ryadh. Rimane da capire come potrà vivere con la sua amata Giorgina, visto che in Arabia Saudita è vietato per legge la convivenza tra due persone non sposate. Chissà che il suo arrivo non spinga verso un cambiamento anche legislativo oppure banalmente verrà chiuso un occhio, perché CR7 non è soltanto il calciatore che farà conoscere al mondo il calcio di quelle latitudini. Il vero motivo, infatti, per cui lo Stato saudita ha dato il via libera a questa mega operazione è che userà la sua immagine come testimonial per la candidatura a ospitare il Mondiale maschile di calcio 2030. Una possibilità che dovrebbe essere impedita per norme FIFA – devono infatti trascorrere due mondiali prima che si possa tornare a disputarne uno nel medesimo continente – ma che sarà raggirata proponendo un asse a tre Stati con Egitto e Grecia. Fatta la legge scoperto l’inganno. La questione sport e penisola araba non si è certo chiusa con Qatar2022 ed è bene tenere i fari accesi fin da ora.