Uno sguardo disilluso, un atteggiamento fluido, non bada alle pressioni, un sorriso amaro. Quando cerchi di essere pienamente te stesso l’umanità di delude, sei costretto a uscire dal mondo, lasciare i social, perdere il contatto con ciò che ami, devi trovare prima te stesso per comprendere la relazione con gli altri. E credendo anche negli altri puoi trovare nuova linfa vitale per il tuo percorso, per la tua vita, per la tua carriera. Ed è esattamente questo che ha portato Ducati e i suoi piloti a vivere un sogno.
In momenti diversi, in categorie differenti, Francesco Bagnaia e Alvaro Bautista hanno vissuto momenti simili. È il 2019 e lo spagnolo è un fuoco che sta bruciando gli avversari in Superbike. Jonathan Rea, il pluricampione del mondo, in sella alla Kawasaki sta vivendo quel complesso tipico dei pugili che quando affrontano un avversario troppo più forte, finiscono per fungere da sacco di allenamento. Per intenderci, nelle prime quattro tappe, lo spagnolo vince tutte le gare che prendono il via. È un animale, un demonio, un affamato. La strada sembra già scritta. E invece no. Qualcosa si rompe, si incrina, si logora. Forse il rapporto tra lui e Ducati, forse no. Nessuno lo saprà davvero. I risultati parlano da soli. Rea sale in cattedra e mette in riga il binomio che fino a quel momento sembrava indomabile. Il pilota nordirlandese vince il titolo, lo spagnolo chiude secondo, ma al termine della stagione cambia. Lo attende Honda. Rimane due anni. Due stagioni deludenti, due stagioni lontane dal suo massimo splendore. E a dir la verità, vale lo stesso per la Ducati. Kawasaki e Yamaha vincono i successivi titoli, ma nel 2022 l’azienda di Borgo Panigale vuole nuovamente in sella Bautista. Fermi. Cambio di scena.
Anno 2021. Francesco Bagnaia sale in sella alla Ducati del team ufficiale dopo due anni di gavetta nel team Pramac del capotecnico Francesco Guidotti. Pecco, come lo chiamano tutti, ha qualcosa di diverso. Lo stesso Andrea Dovizioso, tre volte runner-up in MotoGP dietro a Marc Marquez, dirà: “Dobbiamo imparare da Bagnaia. Solo lui riesce a far curvare così la Desmosedici“. La stagione si apre con un podio, poi un altro, un altro ancora e poi le vittorie. Nella seconda parte di stagione macina vittorie e recupera punti su Fabio Quartararo fino alla seconda gara tenutasi sul circuito romagnolo di Misano Adriatico. Bagnaia è davanti, potrebbe accorciare ancora di più le distanze con il francese, ma scivola. Giù insieme ai sogni. In quella stessa domenica, quella caduta, permette a Quartararo di festeggiare in anticipo il titolo iridato. Fermi. Cambio di scena.
È il 2022. La stagione di MotoGP e di SBK è alle porte. Yamaha ha conquistato il titolo sia nel campionato del mondo delle derivate, sia in quelle dei prototipi. Da una parte Quartararo dall’altra Razgatlioglu, ma in fondo, in casa Ducati, sanno che la componente meccanica può fare la differenza se si possiedono i piloti giusti. La casa di Borgo Panigale è forte, è una potenza, ha lavorato tanto sullo sviluppo, sul motore, sulle innovazioni. Un solo nome governa le idee e le decisioni nel Motorsport per la bella rossa emiliana, Luigi Dall’Igna. Da quando “Gigi” è entrato nella famiglia Ducati sono passati otto anni. Era il 2014 e la Ducati in MotoGP era riuscita a vincere un solo titolo nel 2007 con Casey Stoner. Una vittoria inattesa e insperata poiché la moto dell’epoca era tutto fuorché guidabile. In SBK, invece, l’ultimo titolo era di tre stagioni prima, 2011, in sella Carlos Checa. È evidente a tutti che qualcosa va cambiato anche perché se è vero che nel mondo dei prototipi la rossa non ha mai brillato, è altrettanto ineccepibile il suo valore nel mondiale delle derivate: quattordici titoli conquistati dal 1988 al 2011. Niente male, ma qualcosa sta cambiando. Insieme alle innovazioni, le strategie, l’ordine, Dall’Igna porta un metodo di lavoro. Passano gli anni e in MotoGP esiste solo un nome, Marc Marquez. Lo spagnolo conquista cinque titoli in sei anni. Non c’è alcun bisogno che apra la parentesi del 2015. Il titolo quell’anno va a Jorge Lorenzo. Dal 2017 in avanti, però, dietro a Marquez c’è una grande novità: l’avversario. La Ducati guidata da Andrea Dovizioso chiude per tre stagioni consecutive al secondo posto. Manca ancora qualcosa, manca quel pizzico di coraggio, quel pizzico di cattiveria, quel pizzico di follia.
Ricordate il cambio di scena? Eccolo. Francesco Bagnaia diventa il nuovo “primo” pilota del team ufficiale Ducati. La stagione nasce bene si conclude con la speranza, ma muore a Misano. Non è ancora il momento.
2022. Bagnaia da una parte e dall’altra faccia dello specchio, Alvaro Bautista. Lo spagnolo torna in Ducati dopo due stagioni in Honda. Due pessime stagioni. Pecco parte in sordina, sbaglia, cade. Quartararo non vince molto, ma quel che basta per portarsi fino a 91 punti di vantaggio. È finita. In SBK la lotta è difficile, ma la speranza rimane. Rea con la Kawasaki e Razgatlioglu con la Yamaha sono avversari veri, di qualità, di ragione, di amore. Tutto è in salita perché Rea è il pilota più titolato nella storia della SBK e perché il turco è il campione del mondo in carica, ma Bautista non sbaglia un colpo. Si accontenta quando può, vince quando deve. È una macchina perfetta. Il destino è scritto, anche se manca la matematica. In MotoGP la storia è da scrivere. Da metà stagione in poi Bagnaia cambia mentalità, cambia stile, cambia modo. È un falco che osserva dall’alto e colpisce solo quando sa di prendere la preda. Vince quattro gare di file, arriva a podio, riesce a stare sempre un passo davanti al francese fino al sorpasso definitivo in Australia. La Yamaha di Fabio finisce in ghiaia. La superiorità della Ducati e del pilota torinese in questa seconda parte di stagione sono palesi. Non è nemmeno troppo arrabbiato, Fabio. Più di così è difficile, anzi è una prova impossibile. A Sepang si aggrappa al talento, ma vince ancora Bagnaia e il match point a Valencia è una mera questione matematica.
Pecco Bagnaia diventa campione del mondo. Sono passati quindici anni dalla vittoria di Stoner, tredici dall’ultima di un italiano, Valentino Rossi, e cinquanta dall’ultima volta che un pilota italiano riuscì a vincere in sella a una moto italiana, Agostini in sella alla MV Agusta. La storia si è scritta. Le lacrime gonfiano gli occhi, il cuore pulsa forte e sembra di avere un motore Ducati sotto il petto. Dall’Igna non sta più nella pelle. Otto anni lunghi, faticosi, fatti di lavoro, innovazione e speranza. La speranza che adesso si possa creare un ciclo vincente e lungo che duri negli anni e che tra dieci anni ci si possa voltare indietro, sorridere e urlare al mondo quanta strada ha fatto il Made in Italy nel mondo delle corse.
Per non farsi mancare niente, con un gran premio d’anticipo, Alvaro Bautista conquista il suo titolo. Undici anni dopo il suo connazionale, che per correttezza vinse su una moto satellite. Che storia. Che storia irripetibile. Ducati è sul tetto del mondo. Borgo Panigale è sul tetto del mondo. Un rione di Bologna guarda tutti dall’alto in basso. Giappone cosa? Siamo sul tetto del mondo. Sembra un sogno, ma è solo una bellissima realtà.