Ci sono uomini che aprono l’anima. Ci sono sportivi che aprono la mente. A volte capita però che esistano atleti che siano capaci di fare entrambe le cose attraverso il proprio lavoro, attraverso il proprio modo di lavorare, di fare. Queste persone hanno un fascino che colpisce la mente, prima ancora del cuore. Personaggi che rimangono, e rimarranno, per sempre incisi sulla pelle di chi li ha vissuti, nei sogni di chi invece non ha potuto goderseli direttamente e nelle lacrime di chi era abbastanza cosciente per piangerli e rimpiangerli.
Tra questi uomini, o semidei, capaci di smuovere l’anima e la mente, c’è stato sicuramente un brasiliano che, però, non giocava a calcio. Anzi, i piedi erano ben saldi e compivano piccoli, ma fondamentali micro movimenti. Questo brasiliano non usava i piedi e, a ben guardare, usava anche poco le mani, perché il suo sensuale movimento avveniva dalle spalle, poi dalle braccia e infine con le dita, ma non era un giocatore di basket e nemmeno un pallavolista. C’è chi dice che questo brasiliano avrebbe potuto fare qualsiasi sport e sarebbe stato un iniziato di quel gioco. Qualcuno, forse il fato, per ammaliare il mondo, affascinare gli appassionati e innamorare i dubbiosi scelse le corse su quattro ruote. Quel brasiliano, nato a San Paolo il 21 marzo 1960, si chiamava Ayrton Senna. Ed è stato un uomo capace di aprire l’anima e la mente di chi lo vedeva correre.
Presuntuoso, determinato, competitivo, spumeggiante, rompi scatole, prima donna, talentuoso. Sono solo alcuni degli aggettivi che Ayrton Senna, nella sua carriera, si è visto accostare, uno dopo l’altro, ma a volte anche tutti insieme. E nessuno di questi aggettivi è fuori posto, no. Ayrton era tutto questo e anche di più. È stato unico, semplicemente, in tutte le sue forme. Un compagno di squadra ingombrante, un pilota pieno di energia, con lo spettacolo nella mani e la sapienza nella testa, ma anche una grande dose di frenesia e incapacità di arrivare secondo. Non avrebbe mai permesso che qualcun altro potesse vincere a parte lui, avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per portarsi a casa il successo. Nella lotta uno contro uno, o vinceva o non perdeva. Non voleva mai essere vinto dall’avversario nello scontro diretto, piuttosto si finiva entrambi nella ghiaia; questo era il Senna-pensiero. Una volta, dopo un incidente con un suo compagno di squadra, dichiarò in conferenza stampa:
Mi rifiuto di abbandonare la lotta, la battaglia; è nella mia natura andare fino in fondo ed è quello che faccio.
Aveva 4 anni quando suo papà costruì per lui un piccolo go kart. Il papà di Ayrton era un ottimo meccanico e la sua passione per le auto ovviamente è sempre stata legata anche alle corse, alla velocità, all’adrenalina. Da quel regalo in avanti Ayrton avrà un solo e unico obiettivo, andare più veloce di tutti, sempre. È così che inizia la sua carriera, prima i go kart, nella quale vince il titolo di categoria all’età di tredici anni, poi a 21 anni vince la Formula Ford e da lì a breve il suo ingresso nell’orbita della Formula 1 è pressoché immediato. A dargli il volante è Toleman che lo volle come secondo pilota. Il brasiliano a 23 anni ha già raggiunto il sogno di ogni pilota, guidare nel massimo campionato per le quattro ruote, ma a lui ovviamente non bastava. La fame che aveva dentro era infinita. Il debutto stagionale fu preparatorio, ma non per questo meno incredibile. Il brasiliano riuscì a conquistare tre podi, un secondo posto a Montecarlo, sotto un acquazzone che pareva il diluvio universale, e due terzi posti in Gran Bretagna e in Portogallo. Il talento era evidente e la Lotus si accapparrò subito il brasiliano. Le stagioni successive furono decisive per il suo approdo alla McLaren nel 1988. Senna aveva vinto sei gran premi e aveva conquistato altri sedici podi. Ormai era a un passo dalla consacrazione, serviva una vettura che potesse permettergli di dominare. E fu così che il binomio tra il brasiliano e il team inglese conquistò il circus. C’era un unico problema e si chiamava Alain Prost, il compagno di squadra di Senna. Il francese era il primo pilota in casa McLaren e aveva vinto i campionati del 1985 e del 1986, ma nel 1987 chiuse soltanto quarto. Questo piccolo, ma grande decadimento di risultati portò McLaren sulla strada del Brasile, serviva competizione anche dentro al team. La McLaren, di fatto, prese due primi piloti, con almeno uno dei due voleva vincere il titolo. La scelta fu azzeccata. I duelli tra Prost e Senna sono stati tra i più controversi, eccitanti e pericolosi della storia della Formula 1, nessuno si è mai risparmiato, proprio perché entrambi amano e bramavano la vittoria.
Nella stagione del debutto, nel 1988, la battaglia tra Senna e Prost sembrava uscita da un film. Il brasiliano vinse otto volte contro le sette del francese. Al conteggio dei punti totali avrebbe vinto Prost, ma la regola dello scarto delle gare con il peggior risultato premiò Ayrton che conquistò il primo titolo iridato. Il talento e la fame avevano vinto, ma Prost non ci stette e nel 1989 con una guida composta e ordinata conquistò gran premio dopo gran premio il terzo titolo iridato. Titolo che come da strategia rimase in McLaren. Quell’anno, per la verità, Ayrton era indemoniato: vinse sei gare, ma fu costretto al ritiro in altrettante occasioni. Forfait che lo costrinsero a non lottare per il titolo che tornò nelle mani del missile francese che con “appena” quattro vittorie si portò a casa lo scettro.
La pressione era troppa per Prost. Era esagerata. Stare nello stesso team di Senna ti esauriva, meglio cambiare e andarsene da vincenti. Il francese cambiò, andò in Ferrari. La speranza di Prost era quella di poter dominare la pressione e la fatica di Senna, cambiando aria. Il francese però non tenne conto di una cosa. Senna era uno squalo ed era determinato e inarrestabile. Voleva annientare sportivamente e mediaticamente il rivale. E così fece: nel 1990 e nel 1991 Senna stravinse. Per la verità, nel Novanta Prost risponse colpo su colpo, ma il brasiliano era un fuoriclasse, la stagione seguente invece fu una debacle, alla francese. Una Waterloo per Napoleone Prost. Senna dominò e irrise l’ex compagno. Prost era stato preso moralmente a calci e per un motivo o per un altro non prese parte alle corse del 1992, lasciando strada libera a Senna. Il pilota della McLaren poteva vincere, non lo fece. Qualcosa nella sua testa non funzionò a dovere, era come se mancasse l’obiettivo e in quel momento non era vincere il titolo, ma battere Prost. Senza Prost Senna non sembrava più essere Senna e nel 1992, vinse Nigel Mansell.
Un peccato per Senna perché Prost nel 1993 accettò la proposta della Williams e la coppia fu vincente. Il francese spazzò via ogni dubbio e dimostrò di essere di uno spessore che nei primi anni Novanta Senna aveva nascosto a tutti per la sua immensa grandezza, ma Prost era comunque Prost e conquistò il quarto titolo mondiale. Uno in più di Senna. Ancora una volta, battutto l’avversario, Prost decise di cambiare, questa volta in modo irreversibile: si ritirò. Senna era spaesato, esattamente come quando arrivò l’anno sabbatico, ma quell’anno decise di abbandonare McLaren e prendere la Williams che aveva portato alla vittoria il suo rivale di una vita. La sinergia non arrivò mai. Senna disse della sua Formula 1:
Sono a disagio in macchina, sembra tutto sbagliato. Questo mi mette a disagio ed è fonte di stress.
Dopo i primi due ritiri, si arrivò a Imola. Non c’era bisogno che vi racconti cosa successe lì, in quel weekend che sembrava uscito da una sceneggiatura di Hollywood. Il brasiliano più talentuoso di sempre, uno dei piloti più carismatici e leggendari della storia delle quattro ruote lasciò un vuoto incolmabile, pieno di dubbi, di domande senza una risposta e di rammarico.
Ayrton Senna era un semidio delle quattro ruote, ma era tremendamente umano come tutti noi. Ayrton però è nell’Olimpo di quei personaggi che ci rapiscono, che ci incuriosiscono, che ci fanno innamorare e rimangono, e rimarranno, per sempre incisi sulla pelle di chi li ha vissuti perché Ayrton… Ayrton volava da seduto.