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Elmo Bovio, il primo “bidone” della storia del nostro calcio

Il calciomercato ha portato nel nostro Paese non solo fenomeni, ma anche stelle cadenti

Quante volte ci è capitato di sentir parlare di “bidoni” accostati al mondo del calcio? Un milione. Ma per trovare il primo approdato nel nostro campionato dobbiamo ritornare agli anni ’40. L’Italia è ancora un Paese devastato dall’esito della seconda guerra mondiale, l’economia deve ripartire e anche il calcio cerca forze nuove per rialzare la testa. Così si inizia a guardare al Sud America, per la precisione in quei Paesi dove la presenza di immigrati italiani è particolarmente folta come il Brasile, l’Argentina e l’Uruguay. I calciatori di quelle latitudini, oltre ad avere un modo d’intendere il calcio ben diverso rispetto a quello degli europei, hanno anche un altro tratto non trascurabile: la possibilità – grazie ai loro antenati – di essere naturalizzati come italiani. E così le “staffette” transatlantiche di andata e ritorno da Genova verso Montevideo e Buenos Aires si fanno sempre più frequenti e affollate. E su una di queste si imbarca dall’Argentina il protagonista della nostra storia, Elmo Bovio, il primo bidone della storia dell’Inter e dell’Italia pallonara.

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Elmo Bovio

A leggerla adesso questa storia non stupisce più di tanto; ormai siamo abituati a vedere calciatori arrivare dalle terre più remote del pianeta presentati come fenomeni fino a quando non ci si accorge di avere a che fare con un brocco. Ma a quei tempi, in un calcio ben diverso da quello dei giorni nostri per potere economico e tecnico, la presenza di calciatori esotici aveva l’effetto di alimentare i sogni dei tifosi italiani. Così anche l’Inter casca in questa trappola e scommette su una cinquina di oriundi pronti a tornare nella terra natìa con l’intento e l’aspettativa di diventare star del calcio mondiale. È il 1946 e sul piroscafo Giamaica si imbarcano da Montevideo in direzione Genova per poi raggiungere Milano e vestire la maglia nerazzurra: Ceroni, Pedemonte, Volpi e Zapirain ed Elmo Bovio. I cinque già dalle prime uscite non regalano grandi prestazioni anzi, vengono descritti come lenti, impacciati, incapaci di controllare il pallone. Un po’ bisogna anche capirli, scaraventati all’improvviso dall’altra parte del mondo, in un Paese diverso e in un calcio opposto al loro credo, con alle spalle anche un viaggio oceanico durato settimane, superato grazie a sedute intensive di pranzi e cene di dimensioni pantagrueliche. Ma concentriamoci su Bovio, il nostro è sicuramente il bidone più evidente dei cinque. Nasce a Buenos Aires, il 14 luglio del 1925, è un cosiddetto “personaggio”, uno al limite della macchietta. Fisico ampiamente fuori forma, mostra una difficile adattabilità al clima di Milano, soprattutto d’inverno, quando per combattere il freddo scende in campo con il basco sulla testa, non certo il copricapo più comodo e adatto all’attività fisica.

Fisico ampiamente fuori forma, mostra una difficile adattabilità al clima di Milano, soprattutto d’inverno, quando per combattere il freddo scende in campo con il basco sulla testa

In una partita contro il Torino viene lanciato a campo aperto verso la porta avversaria. Potrebbe essere il suo momento di gloria, solo che al momento di entrare in area il basco gli cade a terra, lui si ferma a raccoglierlo e così viene recuperato dal difensore granata, spegnendo ogni sogno di gloria. Dagli spalti di San Siro insulti misti a incredulità. Ma le imprese sul campo del nostro eroe non si fermano qui. Ogni volta che passa accanto alla panchina non perde l’occasione per una tirata di sigaretta prima di  ributtarsi nella mischia; a volte il nostro dal campo era capace anche di sparire, prendeva letteralmente la via degli spogliatoi per non tornare più in campo. A Bologna Bovio sparisce all’improvviso e nessuno sa dove possa essersi cacciato. Lo ritrovano solo qualche ora dopo nello spogliatoio, abbracciato alla stufa per riscaldare le sue povere membra da un freddo a cui non era minimamente abituato.

A Bologna Bovio sparisce all’improvviso e nessuno sa dove possa essersi cacciato. Lo ritrovano solo qualche ora dopo nello spogliatoio, abbracciato alla stufa

La sua avventura in nerazzurro, neanche a dirlo, dura pochissimo. Una decina di presenze prima di far ritorno in Sud America dove continuerà a giocare prima per il Penarol e poi per il Palmeiras, il San Paolo e l’America de Cali. A Milano pochi – ad eccezione di qualche ristoratore, proprietario di sala biliardo o negozi di cappelli – hanno sentito la sua mancanza. Ma di una cosa dobbiamo ringraziare Bovio: senza di lui non ci sarebbero mai state storie sui bidoni, quei giocatori incapaci di qualsiasi giocata e praticamente inutili alle sorti della squadra. Personaggi che però, ci danno la possibilità di continuare a raccontare storie come queste: incredibili, nostalgiche e, a modo loro, anche un po’ emozionanti.

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