13 maggio 1990. Stadio Maksimir di Zagabria. Stanno per entrare in campo la Dinamo Zagabria, orgoglio della capitale croata, e la Stella Rossa, Crvena zvezda, squadra di punta insieme al Partizan della capitale della Jugoslavia. Come in tutti i derby l’atmosfera è tesa, ma questa volta la partita non verrà giocata.
Gli antefatti
All’indomani della seconda guerra mondiale, in seguito ad un referendum, il Regno di Jugoslavia divenne la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia e venne nominato come primo ministro Josip Broz Tito. Il nuovo soggetto sociale si basava su una federazione di più Stati il cui principio politico era quello della Fratellanza e Unità: le diverse nazioni, comprese le minoranze etniche e religiose, avevano pari dignità, rappresentanza istituzionale e autonomia decisionale su specifiche tematiche. Nonostante momenti di forte tensione, come la rivolta della Primavera Croata del 1971 (soppressa violentemente), quella multietnica federazione, composta da 6 Repubbliche e 2 province autonome, era riuscita a vivere più o meno serenamente per quasi quarant’anni.
Ma nel 1980, con la morte del suo maresciallo, il periodo di relativa pace e prosperità della Jugoslavia iniziò il suo declino; la situazione economica andò peggiorando, aprendo il divario tra le repubbliche più ricche, quelle della Croazia e della Slovenia, ed il resto del Paese. Come spesso accade in questi casi, la crisi economica portò al rafforzamento dei movimenti nazionalisti e fu così che nel 1990 furono eletti tutti presidenti di destra con inclinazioni indipendentiste: Franjo Tuđman in Croazia, Milan Kučan in Slovenia, Alija Izetbegović in Bosnia ed Erzegovina e Kiro Gligorov in Macedonia, mentre in Serbia fu confermato presidente Slobodan Milošević, animato da un nazionalismo di stampo socialista e populista e ispirato ai precetti della Grande Serbia. Era chiaro che nessuno era più disposto a sostenere la Federazione e tutti ambivano ad una totale e incoercibile autonomia. Ed è in questo contesto di forte tensione che la Dinamo Zagabria e la Stella Rossa si preparano a sfidarsi.
I tifosi
La partita non ha nessun valore sportivo rilevante dato che la Stella Rossa ha già vinto il campionato ai danni proprio della Dinamo, ma quella sfida è impregnata di altri significati. Non sono solamente due squadre a scontrarsi, ma due popoli, due religioni, due storie, due lingue, due fazioni di quel grande Paese che si stava sgretolando. I tifosi della Stella Rossa, i Delije (gli Eroi), sono guidati da Željko Ražnatović, noto come Arkan (la Tigre). Già criminale di lungo corso, negli anni Settanta girò mezza Europa come agente della polizia segreta jugoslava, macchiandosi di innumerevoli crimini: dalle rapine alle uccisioni di persone non gradite dal regime di Tito. Passò anche dal carcere di San Vittore a Milano dove si distinse per aver partecipato ad una rivolta.
Tornato in patria divenne la figura di spicco della curva della squadra belgradese. Dagli spalti dello stadio Marakana della Stella Rossa Arkan reclutò migliaia di giovani, pronto a creare una formazione paramilitare cetnica: Le Tigri di Arkan, che negli anni successivi diventerà tristemente nota per gli innumerevoli crimini di guerra ai danni delle popolazioni cristiane e musulmane croate e bosniache. Ad aspettarli a Zagabria ci sono i Bad Blue Boys (BBB), i tifosi della Dinamo, anche loro qualche anno dopo rimpingueranno le file militari dello schieramento ustascia.
Le squadre
La squadra di casa, la Dinamo Zagabria, è una fucina di giovani talenti, tra i quali spiccavano: Davor Šuker, Dražen Ladić e Zvonimir Boban, appena 20enne e già capitano (i tre si distingueranno nel mondiale francese del 1998, arrivando terzi con la nazionale croata). La Stella Rossa, al contrario, è una squadra di campioni già formati come: Dejan Savićević, Dragan Stojković e Robert Prosinečki. Una squadra di stelle che l’anno dopo vincerà la Coppa dei Campioni. Entrambe le formazioni rientrano in quella élite sportiva della Jugoslavia che tutto il mondo ammira e che tutti rimpiangeranno.
La partita
Alcuni tifosi serbi sono arrivati a Zagabria la notte precedente, provvisti di targhe automobilistiche serbe. Lo scopo è quello di sostituirle alle auto croate vicino allo stadio in modo tale che vengano distrutte dai tifosi locali. Il grosso del tifo è arrivato il giorno dopo, munito di armi e, strano a dirsi, senza una scorta di polizia adeguata. Arkan è in prima linea, vestito di tutto punto e, da quanto si racconta, mostrando un sorriso serafico e arrogante. Se la polizia non è preparata ad un arrivo così massiccio dei tifosi serbi lo sono i Bad Blue Boys, pronti ad aspettarli in massa nello stadio.
Già qualche ora prima della partita i tifosi serbi hanno iniziato a creare scompiglio sugli spalti, inveendo contro i croati e Tuđman, al grido di “Zagabria è Serbia” e “Uccideremo Tuđman” (ironia della sorte il neo preside, mai riconosciuto da Belgrado, negli anni Cinquanta era stato presidente del club belgradese rivale della Stella Rossa, il Partizan Belgrado). Il clima si fa sempre più teso al punto che le squadre non riescono a terminare il riscaldamento ed entrano di corsa negli spogliatoi. I serbi hanno nel frattempo iniziato a divellere i seggiolini e a lanciarli contro i tifosi avversari, e a bruciare i cartelloni pubblicitari. La polizia, filo-serba, atteggia un comportamento blando verso i tifosi ospiti e questo non fa che infervorire ancora di più gli animi. I tifosi croati rispondono con il lancio di pietre fino a quando le due fazioni si riversano sul campo. La polizia inizia a ricorrere e manganellare principalmente quelli croati ed in quel momento che Boban diventa un eroe per i suoi compatrioti.
La ginocchiata di Boban
C’è un momento indelebile di quella non partita, degli scontri e del caos. Mentre la polizia cerca di colpire i tifosi croati, alcuni giocatori della Dinamo sono rimasti in campo, increduli e pieni di rabbia per quello sta accadendo. Uno su tutti perde completamente le staffe: il capitano, Boban. Si butta contro due poliziotti che stanno infierendo su un tifoso. L’immagine, che farà il giro del mondo, immortala il giocatore che dà una ginocchiata ad un poliziotto, fratturandogli la mascella, dopo che quest’ultimo lo ha colpito con il manganello. Boban viene subito portato via da alcuni compagni di squadra e membri dello staff. Per diverso tempo dovrà ogni sera cambiare casa per paura di rappresaglie dei serbi. Oltre ad una multa, la UEFA lo squalificherà per 6 mesi, facendogli perdere la possibilità di partecipare ai mondiali di Italia ’90.
L’epilogo
Non c’era più modo di fermare le spinte scioviniste delle diverse repubbliche. Il 26 settembre dello stesso anno, durante la prima giornata del campionato 1990-91, ultimo della storia della Jugoslavia, la Dinamo Zagabria affrontò il Partizan a Belgrado. Quando il parziale era 2-0 per i padroni di casa, i BBB invasero il campo e riuscirono a sostituire la bandiera jugoslava con quella croata. L’angosciante pensiero di una guerra diventava sempre più concreto, insieme a una rassegnata sensazione di non poter fermare il corso degli eventi.
Il 25 giugno 1991 il parlamento sloveno votò per l’indipendenza. Durante la seduta, mentre i membri dell’Assemblea discutevano sul voto, arrivò un telegramma da Zagabria: la Croazia si era appena proclamata indipendente. Il voto croato diede ulteriore slancio agli sloveni, che tutti votarono anch’essi a favore dell’autonomia. Il presidente Kučan proclamò l’indipendenza slovena al popolo nella piazza centrale di Lubiana. Terminò il suo discorso con un presagio: “Nocas su dovoljene sanje, jutro je nov dan” (“Questa notte i sogni sono permessi, domani è un nuovo giorno”). Due giorni dopo, il governo federale di Belgrado inviò l’esercito. Era scoppiata la guerra.