A nord-ovest della periferia di Kiev, non lontano dal centro della città, tra il cimitero Staroobryadnyts’ke e lo Zoopark c’è un campo di calcio. È un campetto ormai abbandonato con l’erbaccia che cresce pian piano tra le zolle di terra e le tribune in legno quasi tutte distrutte dal tempo. È un campo dimenticato, preda soltanto di qualche gruppo di ragazzini che sogna di essere chissà quale campione. Appena fuori, nella piazza antistante lo stadio c’è una statua. Rappresenta un atleta che sta calciando un pallone verso il becco di un’aquila, sotto una scritta: “A uno che se lo merita”. Quello che se lo merita è Nikolai Trusevich che in questo stadio 72 anni fa rese onore al popolo ucraino.
L’invasione nazista
È il 19 settembre 1941 quando i nazisti invadono Kiev. Molti ucraini vedono di buon occhio l’entrata delle truppe tedesche nella città; pensano che il nuovo governo possa essere migliore di quello sovietico. Che ingenuità! L’occupazione nazista di Kiev verrà ricordata come una delle più atroci e violente di tutta la Seconda Guerra Mondiale. Intere famiglie comuniste e non vengono assassinate, compresi bambini e donne incinte. Chi è in grado di lavorare ha diritto ad una razione di cibo, gli altri muoiono di fame. Si dice che in città non si trovino più né cani né gatti randagi; la fame è tanta. Tra il 29 e 30 settembre si consuma uno dei capitoli più neri dell’occupazione nazista, il massacro di Babij Jar. 33.771 ebrei vengono strappati dalle loro famiglie, portati nei pressi del dirupo di Babij Jar e fucilati. È in questo clima di disperazione, con l’inverno ucraino alle porte che tutti coloro che hanno qualcosa la barattano per un pasto caldo e delle coperte. Tutti tranne uno. È un calciatore, capocannoniere nel 1938 della Vyssaja Liga (la Serie A sovietica) con la squadra più importante di Kiev, la Dinamo. Il suo nome è Makar Hončarenko. Makar può rinunciare a tutto tranne ai suoi scarpini da calcio, perché il calcio è l’unico pensiero che riesce a tenerlo ancora in vita. In questi stessi giorni un ceco della Moravia di madrelingua tedesca, Iosif Ivanovič Kordik, viene nominato come nuovo direttore del più importante panificio della città. Kordik è un uomo astuto e riesce ad entrare nelle grazie dei tedeschi. Iosif Ivanovič, però, è anche un appassionato di calcio, un fanatico. Un giorno mentre è al mercato si imbatte in un cadaverico e stanco venditore di accendini per sigari. Il direttore non ci mette molto a capire che quell’uomo non è altri che Nikolai Trusevich, portiere della Dinamo Kiev. Kordik è affascinato da quell’incontro e non solo convince il portiere a lavorare per lui al panificio, ma chiede a Trusevich di recuperare tutti i giocatori presenti in città. Anche a loro offrirà un posto al panificio. Il portiere è un uomo noto a Kiev per il suo carisma e per la sua abilità tra i pali. Per lui non è difficile trovare e convincere gli altri calciatori. Infatti, riesce a contattare alcuni suoi compagni di squadra e alcuni dei giocatori dell’altra squadra della capitale, la Lokomotiv Kiev. Tutti contenti dunque, Kordik ha la sua collezione personale di giocatori e Trusevich e compagni hanno un lavoro e un pasto assicurato al giorno.
Il torneo
All’inizio della primavera chi non è morto per l’inverno o per le angherie tedesche a stento riesce a stare in piedi, figuriamoci a lavorare. Questo diventa un problema per i nazisti che non possono permettersi di perdere quella “forza lavoro” necessaria all’impegno bellico. Così gli invasori decidono di allentare la presa con la realizzazione di linee tranviarie, la riapertura dei fiorai e con l’organizzazione di un torneo di calcio. Perché il calcio anche a Kiev può essere un efficace strumento di propaganda. Al torneo partecipano sei squadre: la Ruch, squadra del movimento nazionalista antisovietico e filonazista; due squadre di ufficiali ungheresi (tra cui la temibile MGS Wal); una di ufficiali rumeni; la PGS, unica squadra tedesca; e la squadra di Kornik, quella dei panettieri, battezzata per l’occasione Start Football Club. Trusevich viene nominato capitano e Mikhail Sviridovskiy per la sua esperienza diventa allenatore-giocatore. Nessuno dei giocatori ha una divisa o degli scarpini, ad eccezione ovviamente di Hončarenko; lui che anche nei momenti più bui ha conservato gelosamente le sue scarpe da calcio. Per puro caso, qualche giorno prima della partita di esordio Trusevich e Putistin trovano in un magazzino delle maglie rosse da poter indossare; sono di lana, ma fa niente.
È il 7 giugno la Start, massacrata dai turni di lavoro e in condizioni fisiche precarie, esordisce contro la Ruch allo stadio della Repubblica. La partita finisce 7 a 2 per i rossi e il capitano della Ruch si infuria; vuole che la Start venga squalificata. È inaccettabile che una squadra di prigionieri di guerra partecipi al torneo. I tedeschi, grazie alla mediazione di Kordik, decidono diversamente: tutte le partite della Start dovranno essere giocate in un altro stadio, uno più piccolo in periferia, lo Zenith. I rossi, però, continuano a vincere: 6 a 2 contro la squadra degli ufficiali ungheresi, 11 a 0 contro quella rumena, 6 a 0 contro il PGS e 5 a 1 contro la MGS Wal. Ogni vittoria rappresenta una luce per i cittadini di Kiev che in numero sempre maggiore assistono alle partite della Start. La rivincita contro la MGS Wal viene organizzata solamente 2 giorni dopo l’ultima partita dei rossi per sfiancare Trusevich e compagni, ma la determinazione e il cuore di questi giocatori è più forte di qualsiasi ostacolo; anche questa partita finisce con una vittoria: 3 a 2. Per i nazisti e i loro alleati la Start rischia di diventare un serio problema politico; questi prigionieri diventano giorno dopo giorno il simbolo della resistenza sovietica. Stabiliscono che il torneo dev’essere deciso da una finalissima. La Start deve affrontare la Flakelf, una squadra di militari della Luftwaffe del fronte orientale; è considerata da tutti un’armata invincibile.
La partita si gioca il 6 agosto. Lo Zenith non è mai stato così pieno. Tutta la popolazione di Kiev è lì con la rabbia e la voglia di rivincita che appartengono ad ogni popolo oppresso. Spiazzando tutti i pronostici, la Start si impone per 5 a 1. L’affronto contro i tedeschi diventa sempre più evidente e la posta in gioco sempre più alta. I nazisti organizzano la rivincita tre giorni dopo. Kordik, Trusevich e tutti i giocatori chiedono di posticiparla: tre giorni sono pochi per riprendere le forze. Fa caldo, sono stanchi e sono affamati. La risposta. però, è un secco “no”. Le strade di Kiev vengono tappezzate dai tedeschi con volantini e manifesti dell’incontro. Si parla della partita in cui la razza ariana mostrerà la sua forza, in cui la mano del Reich schiaccerà le velleità sovietiche. C’è un dettaglio che fa capire a tutti gli ucraini che questa sarà una partita diversa rispetto alle altre: sui volantini per la prima volta non è scritta la formazione avversaria. I nazisti hanno richiamato dal fronte tutti i calciatori tedeschi più forti. La Flakelf non sarà la stessa della prima partita.
La partita
È il 9 agosto 1942. Lo Zenith è gremito di gente, ma questa volta le tribune sono riempite da ufficiali della Wehrmacht in alta uniforme. Ai tifosi della Start viene lasciato solo un piccolo spicchio di curva. Tutto intorno militari armati fino ai denti.
Per assicurarsi che ogni cosa vada come deve andare, i nazisti hanno scelto come arbitro un tenente delle SS. Prima del fischio d’inizio il tenente, accompagnato da un traduttore russo, entra nella baracca che funge da spogliatoio della Start e rammenta ai giocatori che quando arriveranno a metà campo dovranno urlare con il braccio alzato «Heil Hitler». I giocatori entrano in campo e dopo il saluto dei tedeschi, con il capo chino senza urlare pronunciano il motto sovietico «Fitzcult Hurà!», ovvero «Viva la cultura fisica!». Un motto che non era del tutto sconosciuto ai militari tedeschi perché «Hurà!» è anche il grido di battaglia dei sovietici. La partita inizia nel più violento dei modi. Un attaccante tedesco colpisce Trusevich alla testa, il portiere resta a terra svenuto per qualche secondo, ma l’arbitro non fischia il fallo e i tedeschi passano in vantaggio. I rossi guardano il loro capitano alzarsi con fatica, con l’occhio gonfio e la tempia sinistra intrisa di sangue. Si guardano tra loro e guardano il pubblico. La musica ora deve cambiare. I tedeschi, però, non mollano e marcano a uomo, falciano e sgomitano gli attaccanti ucraini. Senza gli attaccanti liberi di essere serviti chi può segnare? Tra i giocatori della Start milita anche Ivan Kuzmenko, un giocatore duro, un mediano tenace. È lui che in un’azione di contropiede con un bolide da 30 metri sigla il pareggio. La musica è cambiata. I rossi sulle ali dell’entusiasmo attaccano e Hončarenko in pochi minuti con una serpentina in area segna il 2 a 1 e poi con una mezza rovesciata il 3 a 1. I tedeschi sono increduli.
Nel quarto d’ora di pausa tra il primo e il secondo tempo, mentre i giocatori rientrano negli spogliatoi per recuperare le forze, fa il suo ingresso in quello sovietico un ufficiale tedesco. Inizia a complimentarsi con i giocatori, il suo accento ucraino è perfetto. Si dice impressionato dalla qualità delle loro giocate, afferma di essere ammirato dal loro modo di giocare, ma che nel secondo tempo devono perdere: “prendetevi un minuto per pensare alle conseguenze“. Inizia il secondo tempo. I tedeschi attaccano e con facilità riescono a pareggiare, 3 a 3. L’entusiasmo tra le file tedesche è alle stelle così come lo sconforto tra i tifosi ucraini. Il cuore, però, è più forte della testa, soprattutto in occasioni come questa. Trusevich e compagni capiscono che la partita dev’essere vinta non per loro né per quei cittadini accorsi a vedere la partita, ma per un pensiero: l’idea che vincendo quella sfida avrebbero vinto la guerra. Così la Start macina gioco, conquista metro dopo metro il campo e segna il quarto e il quinto goal. Quando stanno per terminare i 90° minuti Klimenko, un difensore minuto e di gran corsa, prende la palla e dribbla tutta la difesa. Nessuno lo riesce a fermare, supera anche il portiere. La porta è lì vuota, ma Klimenko si ferma. Guarda con disprezzo gli ufficiali nazisti e, invece di segnare, tira il pallone verso il centrocampo, provocando le risa dei rossi e dei lori tifosi. Un’offesa che verrà pagata cara. La partita finisce 5 a 3 per la Start. Al fischio finale nello stadio cala un tetro silenzio, i tifosi ucraini in festa fino a qualche minuto prima si ammutoliscono. Come racconterà in seguito Hončarenko:
Ci trovammo in un silenzio cupo, tetro dello stadio vuoto, soli in mezzo al campo, capimmo di aver firmato con i nostri goal anche la nostra condanna a morte… Ci attardavamo sul campo, come se stando lì fossimo al sicuro, salvi. La paura cominciò a impadronirsi di noi, avevamo fatto semplicemente quello che ritenevamo giusto, non per essere eroi, ma solo come Ucraini che avevano una dignità e un onore di uomini e di calciatori… Adesso eravamo spaventati per quello che ci aspettava… Avevamo di nuovo la stessa paura dell’inizio partita che avevamo scacciato con quell’urlo di Hurà, talmente tanta paura da avere persino paura di mostrarla…
La vendetta nazista
La Gestapo fa passare pochi giorni. Il 18 agosto nove giocatori vengono arrestati e torturati. Mykola Korotkykh è il primo a morire. Gli altri giocatori vengono portati al campo di lavoro di Syret. Il 20 febbraio 1943 Kuzmenko, Klimenko e Trusevych vengono giustiziati.
Un testimone racconterà:
Kuzmenko fu bastonato e poi giustiziato a terra; anche Klimenko fu bastonato e mentre era a terra fu freddato con un colpo di pistola dietro l’orecchio. Trusevich. il gigante portiere e capitano, fu picchiato ferocemente, si rialzò da terra sanguinante e urlò in faccia ai suoi aguzzini: “il nostro Rosso Sport non morirà mai“; una guardia lo uccise con una raffica di mitra…morì con la maglia dello Start addosso
I loro corpi verranno ritrovati nel dirupo di Babij Jar. Gli unici a sopravvivere sono Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Hončarenko. Dopo la liberazione di Kiev nel novembre del 1943 non parlano con nessuno della partita. Addirittura vengono processati dal governo sovietico. Uno di loro viene condannato a 25 anni di carcere. Per Stalin chi ha giocato a calcio con il nemico è un collaborazionista; non può essere considerato un patriota. Partite del genere, però, non possono essere cancellate e di bocca in bocca si affermano tra la gente. Con il tempo le gesta dei giocatori della Start divenne leggenda e la leggenda facilmente si trasformò in mito. Monumenti e statue vennero erette in nome degli undici eroi dello stadio Zenith (oggi ribattezzato stadio Start). Film e libri vengono pubblicati e tengono in vita il ricordo di quella che tutti noi oggi conosciamo come la “Partita della Morte“.