Negli archivi dei tribunali militari israeliani è conservato un documento di sei pagine, scritto a mano in ebraico, che riporta l’interrogatorio di Yahya Ibrahim Hassan Sinwar, leader di Hamas nella Striscia di Gaza. Il documento, datato 8 febbraio 1999, è identificato con il numero 955266978. All’epoca Sinwar aveva trentasei anni ed era già stato incarcerato da undici anni. Prima della sua prigionia, aveva guidato un’unità di Hamas chiamata Munazamat al-Jihad wa al-Da’wa, o più semplicemente Majd, una sorta di polizia interna incaricata di punire coloro che collaboravano con Israele o commettevano reati contro la moralità islamica ortodossa, come l’omosessualità, l’infedeltà coniugale e il possesso di materiale pornografico. Sinwar stava scontando quattro ergastoli in una prigione nel deserto del Negev per aver giustiziato palestinesi accusati di collaborare con il nemico.
Sin dall’inizio, Yahya Sinwar considerava la prigione israeliana come una vera e propria “accademia”, un luogo dove apprendere la lingua, la psicologia e la storia del nemico. Come molti altri palestinesi, imparò a parlare fluentemente l’ebraico e si dedicò alla lettura di giornali, trasmissioni radiofoniche israeliane e libri su teorici sionisti, politici e capi dell’intelligence. Anche durante la prigionia, non smise di combattere. Nel 1998, lui e il suo compagno di cella, Mohammed Sharatha, convinti che fosse inutile sperare nella liberazione dei prigionieri palestinesi tramite la diplomazia, idearono un piano: avrebbero assoldato dei rapitori all’esterno per catturare un soldato israeliano. In cambio del rilascio del soldato, avrebbero chiesto la liberazione di non meno di quattrocento prigionieri.
Sinwar fece pervenire un messaggio scritto di nascosto a Sheikh Ahmed Yassin, il fondatore e leader spirituale di Hamas a Gaza, chiedendogli la benedizione e centocinquantamila dollari per finanziare il rapimento. Yassin acconsentì. Tuttavia, il complotto fu sventato quando la polizia israeliana arrestò uno dei fratelli di Sharatha, Abd al-Aziz, mentre cercava di entrare in Egitto per organizzare il rapimento. Negli anni successivi, la cospirazione fu quasi dimenticata, ma leggere i verbali dell’interrogatorio suscita ancora oggi un brivido per ciò che sarebbe potuto accadere. Il piano sventato può essere facilmente interpretato come un’anticipazione degli eventi che hanno portato all’attuale conflitto, il capitolo più sanguinoso nella storia dello scontro israelo-palestinese.
Nel 2006, i soldati di Hamas guidarono un raid transfrontaliero attraverso un tunnel da Gaza. In un avamposto militare israeliano vicino al villaggio di Kerem Shalom, uccisero due soldati e ne rapirono un terzo, il caporale diciannovenne, Gilad Shalit. Hamas tenne Shalit prigioniero a Gaza per anni, chiedendo in cambio la liberazione di centinaia di prigionieri. In Israele, il caso di Shalit generò veglie a lume di candela e accesi dibattiti sull’opportunità di scambiare la vita di un solo soldato con quella di tanti prigionieri palestinesi. Alla fine Shalit fu rilasciato nel 2011 in cambio di più di mille prigionieri palestinesi, tra cui Yahya Sinwar e Mohammed Sharatha. Il primo salì presto alla guida di Hamas a Gaza e, il 7 ottobre 2023, insieme al leader militare del gruppo terroristico, Mohammed Deif, ha scatenato l’operazione Al-Aqsa Flood, l’attacco più devastante contro Israele degli ultimi cinquant’anni.
Si ritiene che Yahya Sinwar abbia trascorso i giorni successivi al 7 ottobre nascosto nella vasta rete di tunnel che si estende in profondità sotto le città, i paesi e i campi profughi della Striscia di Gaza. Funzionari della sicurezza israeliani e statunitensi, insieme a fonti palestinesi indipendenti, sono convinti che Sinwar sia vivo e che continui a essere un attore chiave nei negoziati per un possibile cessate il fuoco e per il rilascio degli ostaggi rimasti.
Inizialmente, si credeva che il quartier generale sotterraneo di Sinwar fosse nella città meridionale di Khan Younis, dove era nato; ma, con l’avvicinarsi delle Forze di Difesa Israeliane, si pensa sia fuggito verso sud, in un complesso sotterraneo a Rafah. Sinwar non si fida più delle comunicazioni elettroniche, temendo che le IDF possano rilevare la sua posizione e ucciderlo; invia appunti e messaggi orali tramite corrieri fidati. Quando le IDF hanno sequestrato il complesso di Hamas a Khan Younis, hanno pubblicato filmati degli alloggi di Sinwar: bagni con docce e una cassaforte piena di dollari e shekel avvolti nel cellophane. Hanno anche diffuso un video che, secondo loro, mostra Sinwar, sua moglie e i loro figli mentre si affrettano attraverso un tunnel.
L’immagine di Sinwar è nota a molti israeliani e palestinesi, in particolare celebre è la foto del 2021 che lo ritrae seduto su una poltrona, con le gambe incrociate e un raro sorriso di sfida, circondato dalle macerie della sua casa distrutta. Una posa che è stata presto imitata sui social media da molti abitanti di Gaza, che si sono fotografati seduti su sedie davanti alle loro case bombardate.
Sinwar, nato nel 1962 e cresciuto nel campo profughi di Khan Younis, ha raccontato la sua giovinezza e l’impegno nella resistenza armata in un romanzo autobiografico scritto nel 2004, intitolato Al-Shawk wa’l Qurunful (“La spina e il garofano”). I compagni di prigionia hanno lavorato come formiche per far uscire il manoscritto dalla prigione. Il romanzo narra la storia di Ahmad, un giovane palestinese, il cui viaggio si intreccia con eventi storici drammatici, rappresentando un alter ego dell’autore stesso. La narrazione inizia nel giugno del 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, quando Ahmad e la sua famiglia si rifugiano dai combattimenti, sperando in una liberazione della Palestina che presto si rivela un’illusione. L’euforia israeliana per la vittoria contrasta con il dolore e l’umiliazione dei palestinesi, compreso Ahmad, che vede svanire i sogni di ritorno alle terre natie.
Il romanzo dipinge un quadro cupo delle interazioni con gli israeliani, che Ahmad vede come intrinsecamente violente o moralmente corrotte. Il legame di Ahmad con i gruppi giovanili islamici diventa sempre più forte. Durante una visita a Gerusalemme, la vista della moschea di Al-Aqsa e il ricordo del pulpito di Salah al-Din, distrutto nel 1969, lo ispirano a riflettere sulla necessità di un nuovo eroe musulmano per liberare Gerusalemme. È un romanzo che non solo traccia la formazione politica e religiosa di Ahmad, ma suggerisce anche l’inizio del radicalismo che caratterizzerà la sua vita e la sua lotta.
Nel romanzo, l’incontro di Ahmad con uno sceicco, che funge da mentore spirituale e politico, rappresenta un momento cruciale nella sua trasformazione. Questo personaggio è ispirato dalla figura reale di Ahmed Yassin, un leader islamico estremamente influente a Gaza, nonché fondatore di Hamas.
Yassin, malgrado la sua disabilità fisica, riuscì a costruirsi un seguito fervente grazie al suo carisma e alla sua mente strategica. Negli anni Settanta e Ottanta, fondò Mujama al-Islamiya, un’organizzazione che creò una vasta rete di moschee, gruppi giovanili, scuole e cliniche a Gaza. L’influenza di Yassin su Sinwar è evidente durante la prima Intifada, scoppiata nel dicembre 1987. Questo evento segnò la fondazione di Hamas, un’organizzazione che si pose come alternativa islamista all’OLP, con un programma esplicitamente dedicato alla jihad sia spirituale che militare. Yassin scelse Sinwar per guidare il Majd, l’unità interna di Hamas responsabile della disciplina e della sicurezza; ruolo che Sinwar svolse con efficienza spietata.
La descrizione di Sinwar come un esecutore senza rimorsi sottolinea la sua adesione rigorosa ai principi di Hamas, che includevano non solo la lotta armata contro Israele, ma anche l’imposizione di un rigido codice morale, con conseguenze spesso letali per coloro che venivano percepiti come trasgressori.
Zaki Chehab, giornalista cresciuto in un campo profughi palestinese in Libano, scrive nel suo libro Inside Hamas che le istruzioni di Yassin erano chiare: “Uccidete subito qualsiasi informatore palestinese che confessi di collaborare con le autorità israeliane“. Hacham, un esperto delle questioni arabe per l’IDF, ha affermato che la missione di Sinwar era quella di torturare i collaboratori e intimidire chiunque pensasse di lavorare con gli israeliani. “Lo faceva nel modo più crudele” – ha detto – “Versava olio bollente sulla testa delle persone per farle confessare. La gente era terrorizzata da lui.”
Mi ha spiegato nei dettagli come uccideva le persone. Usava un machete per decapitarle. Ha seppellito vivo un presunto collaboratore in una tomba.
Michael Koubi, un ex ufficiale dei servizi di sicurezza israeliani che ha interrogato Sinwar in prigione
Storie così raccapriccianti, come decapitazioni e uso di olio bollente, sono difficili da confermare, e Hamas rifiuta di dar loro credito. Tuttavia, un rapporto di Amnesty International del 2009, pubblicato dopo un’operazione dell’IDF a Gaza, ha documentato che uomini e donne sospettati di collaborare con gli israeliani venivano regolarmente rapiti, torturati, giustiziati e i loro corpi abbandonati in aree isolate o negli obitori di Gaza.
Quando Sinwar fu arrestato e imprigionato nel 1988, non mostrò alcun timore verso i suoi carcerieri. Un interrogatore dello Shin Bet ricordò che Sinwar gli disse: “Sai, un giorno sarai tu quello sotto interrogatorio, e io sarò qui ad interrogarti.” Dopo gli eventi del 7 ottobre, quel funzionario disse: “Se avessi vissuto vicino alla Striscia di Gaza, avrei potuto ritrovarmi in un tunnel di fronte a quell’uomo. Ricordo perfettamente come me lo disse, con occhi rossi, come una promessa: ‘I nostri ruoli saranno invertiti. Il mondo si capovolgerà per te‘.”
I leader e i sostenitori di Hamas affermano che gli israeliani hanno bisogno di un personaggio oltremodo cattivo e così hanno romanzato la figura di Sinwar, al punto da soprannominarlo il “Macellaio di Khan Younis”.
Gershon Baskin, editorialista e attivista per la pace, che ha svolto il ruolo di collegamento civile con i leader di Hamas, in particolare nei negoziati per lo scambio di prigionieri, ha avvertito: “Tutti questi esperti israeliani, persone dello Shin Bet e altri ti diranno che sanno esattamente cosa sa e crede Sinwar. Ma non possono saperlo. La dinamica di un incontro con qualcuno che è tuo prigioniero è ovviamente piena di rischi.” Eppure, ha ammesso, sappiamo abbastanza su Sinwar: “Durante il COVID, ha parlato di come sarebbe stato terribile se fosse morto di COVID e non avesse avuto la possibilità di essere un martire e uccidere molti nemici allo stesso tempo“.
La prigione ti forma. Soprattutto se sei palestinese, perché vivi in mezzo a posti di blocco, muri, restrizioni di ogni genere. Solo in prigione incontri finalmente altri palestinesi e hai tempo per parlare.
Yahya Sinwar
Il 18 ottobre 2011, Sinwar era uno delle centinaia di prigionieri palestinesi caricati sugli autobus diretti a Gaza e in Cisgiordania. Quasi tutti nella leadership di Hamas sapevano che Israele stava pagando un prezzo altissimo per il rilascio di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito tre anni prima e tenuto in ostaggio a Gaza. Ahmed al-Jabari, un leader dell’ala militare del gruppo, dichiarò al quotidiano Al-Hayat che i prigionieri erano collettivamente responsabili della morte di cinquecentosessantanove israeliani. Prima che gli autobus partissero, gli ufficiali della sicurezza israeliani chiesero ai prigionieri di firmare dichiarazioni in cui promettevano di non impegnarsi mai più in atti terroristici. Firmarono tutti, ad eccezione di Sinwar.
Da giovane, Sinwar dichiarava di non aver bisogno di una moglie; era sposato alla causa palestinese. Ma entro un mese dal suo rilascio, secondo Yedioth Ahronoth, sposò una donna di diciotto anni più giovane di lui, di nome Samar. Cresciuta in una famiglia relativamente benestante e pia di Gaza City, nota per il suo sostegno alla resistenza palestinese, aveva conseguito un master in religione presso l'Università islamica di Gaza. Samar indossa un niqab tradizionale per coprirsi il viso. Lei e Sinwar hanno tre figli.
Nel 2007, Hamas aveva ormai sostituito l’Autorità Nazionale Palestinese come presenza politica dominante a Gaza, prima attraverso elezioni legislative e poi prevalendo in una guerra civile mortale. La reputazione di Sinwar come leader carcerario lo catapultò ai ranghi più alti di Hamas quasi subito dopo il suo ritorno. Divenne un decisore cruciale nella Striscia ed era in contatto frequente con Ismail Haniyeh, che all’epoca era il principale leader politico di Hamas a Gaza, Mohammed Deif, il comandante militare, e importanti alleati stranieri, tra cui i leader di Hezbollah.
Hamas ha quattro centri di autorità (Gaza, Cisgiordania, diaspora e prigioni) al cui vertice c’è un politburo che elabora le politiche e le strategie da attuare. Nel 2017, Haniyeh fu promosso a capo del politburo e Sinwar fu eletto capo generale di Hamas a Gaza. Nel 2018, la giornalista Francesca Borri visitò Gaza e organizzò un’intervista con il suo nuovo leader. Durante l’intervista, Sinwar espresse la sua posizione favorevole a un cessate il fuoco, sostenendo che una nuova guerra non avrebbe giovato a nessuno. “La verità è che una nuova guerra non è nell’interesse di nessuno” – disse – “Di sicuro, non è nel nostro. Chi vorrebbe affrontare una potenza nucleare con le fionde?“
Sinwar elogiò i giovani “brillanti” di Gaza, che riuscivano a essere creativi nonostante il controllo draconiano di Israele. “Con vecchi fax e vecchi computer, un gruppo di ventenni ha assemblato una stampante 3D per produrre l’attrezzatura medica a cui è vietato l’ingresso” – affermò – “Questa è Gaza. Non siamo solo indigenti e bambini scalzi. Possiamo essere come Singapore, come Dubai. E facciamo in modo che il tempo lavori per noi“. Commentò anche che gli ebrei un tempo erano “persone come Freud, Einstein, Kafka. Esperti in matematica e filosofia. Ora sono esperti in droni ed esecuzioni extragiudiziali“.
Quando Borri chiese a Sinwar di paragonare la sua vita in prigione con quella di leader a Gaza, lui rispose: “Ho solo cambiato prigione. E, nonostante tutto, quella vecchia era molto meglio di questa. Avevo acqua, elettricità. Avevo così tanti libri. Gaza è molto più dura“.
Con il tempo, Sinwar e la leadership di Hamas persero la fiducia in una possibile soluzione con Israele. Dopo la seconda Intifada, l’establishment politico israeliano, soprattutto sotto Netanyahu, divenne sempre più esplicito nel suo disprezzo per gli interessi palestinesi. L’amministrazione Trump, guidata da Jared Kushner, contribuì a redigere gli Accordi di Abramo, mirati a normalizzare le relazioni tra Israele e gli Stati sunniti, in particolare l’Arabia Saudita, mettendo ancora una volta da parte i palestinesi.
La retorica di Sinwar divenne più cupa. Nel 2019, parlò delle “trappole” che Hamas aveva piazzato nei suoi tunnel e minacciò: “Se gli israeliani commetteranno degli ‘stupidi errori’, schiacceremo Tel Aviv“.
Nel periodo successivo al suo rilascio, Sinwar divenne una presenza molto visibile nelle strade di Gaza, incontrandosi spesso con i residenti e suscitando una venerazione quasi religiosa. Le persone si allungavano per toccarlo e appendevano le sue fotografie. “Sinwar si sta trasformando in una figura spirituale“, commentò una fonte a Yaniv Kubovich, giornalista di Haaretz. “Sta cercando di creare miti attorno a sé, per parlare di sé come qualcuno scelto da Dio per combattere per Gerusalemme a nome dei musulmani.”
Prima del 7 ottobre 2023, ci furono numerosi discorsi e incontri pubblici di Hamas che avrebbero dovuto allertare il governo Netanyahu. Il 30 settembre 2021, si tenne al Commodore Hotel di Gaza City una conferenza intitolata Promise of the Hereafter: Post-Liberation Palestine. I partecipanti discussero piani per un futuro dopo la “liberazione”, ovvero dopo la “scomparsa” dello Stato di Israele. Hamas aveva compilato un “registro” di obiettivi israeliani da sequestrare, come appartamenti, scuole, centrali elettriche e distributori di benzina. I delegati erano anche particolarmente preoccupati di impedire una “fuga di cervelli” degli “ebrei istruiti” che avrebbero potuto portare con sé le loro conoscenze e competenze.
Sinwar non solo benedisse la conferenza, ma elogiò anche Fist of the Free, una serie televisiva trasmessa su Al-Aqsa, la stazione sponsorizzata da Hamas. La serie ritraeva soldati di Hamas che respingevano un’invasione israeliana, ottenendo vittorie gloriose. Sinwar affermò che la serie aveva un grande impatto sulla preparazione dei martiri e sulla loro jihad per il percorso di liberazione.
La pianificazione e l’esecuzione dell’attacco del 7 ottobre 2023 furono in gran parte attribuite a Yahya Sinwar e Mohammed Deif, con Haniyeh che ebbe un ruolo marginale nei dettagli operativi. Il conflitto ha avuto conseguenze devastanti, con enormi perdite di vite e distruzione su entrambi i lati. La risposta militare israeliana ha comportato gravi devastazioni a Gaza, mentre la crisi internazionale e il dibattito sulle azioni di Israele e Hamas sono intensificati. Amos Harel ha osservato che Sinwar ha saputo provocare una reazione israeliana di vendetta e rabbia, influenzando profondamente la percezione e le azioni della società israeliana. Molti, anche le persone che hanno poca simpatia per Hamas, da Ramallah a Gaza City, credono che il massacro e le conseguenze globali dell’assalto di Israele a Gaza abbiano rimesso sul tavolo la questione palestinese.
Neomi Neumann, che ha guidato l’unità di ricerca dello Shin Bet dal 2017 al 2021, ha affermato in un’intervista al The New Yorker che Sinwar ha ottenuto una grande vittoria politica dimostrando che Israele “potrebbe essere duramente colpita” e minando il suo sostegno internazionale. Fonti palestinesi e israeliane hanno affermato che Sinwar si vede quasi certamente come l’attore trionfante in un grande dramma storico. E come si sente spesso dire a Gaza: Sinwar è in ogni casa in Palestina; è il palestinese più importante del mondo.