Quando Luchino Visconti vide per la prima volta Alain Delon, si dice che esclamò: “È lui!“. Visconti aveva trovato il suo Rocco, l’anima tragica e tenera del film del 1960 Rocco e i suoi fratelli.
Delon, con il suo charme irresistibile, è stato descritto nel corso degli anni come una stella dal fascino sensuale ma anche insolente, crudele, egocentrico e androgino. Un fascino che, come ha notato Manohla Dargis sul New York Times, spiega in parte perché la sua bellezza, simile a quella di altri uomini il cui aspetto sfida le norme di genere, mette a disagio alcuni spettatori mentre affascina e incanta altri.
Nato l’8 novembre 1935 a Sceaux, un sobborgo di Parigi, Delon ha vissuto una vita fatta di successi cinematografici, scandali personali e un’enigmatica personalità che ha affascinato e disturbato in egual misura. La sua è la storia di un uomo che ha combattuto contro i propri demoni interiori e contro le aspettative di un mondo che lo ha sempre visto come un’icona, spesso dimenticando la complessità dell’essere umano dietro l’immagine.
Dopo il divorzio dei suoi genitori, fu affidato a una famiglia adottiva e successivamente mandato in collegio. Crescendo, ebbe problemi disciplinari e venne espulso da diverse scuole. Questo schema sembrò ripetersi quando, a 17 anni, si arruolò nella Marina francese. Durante il servizio militare, che includeva la Prima guerra d’Indocina, trascorse quasi un anno in carcere per varie infrazioni prima di ricevere un congedo disonorevole nel 1956. Uno dei suoi reati, come raccontò al conduttore televisivo Dick Cavett nel 1970, fu il furto di una Jeep.
Poi, nel 1957, la sua vita cambiò in modo fiabesco. Dopo aver svolto lavori saltuari, accompagnò un’amica, l’attrice Brigitte Auber, al Festival di Cannes, dove fu notato da un rappresentante del produttore americano David O. Selznick. Gli venne subito offerto un contratto, a condizione che studiasse l’inglese. Ma, prima di partire per Hollywood, ricevette un’altra offerta dal regista Yves Allégret e scelse di rimanere in Francia, avviando una carriera prolifica che presto guadagnò slancio. Alla fine degli anni Cinquanta, era già noto come il “James Dean francese”.
Il film Delitto in pieno sole (1960), un thriller diretto da René Clément e tratto dal romanzo di Patricia Highsmith Il talento di Mr. Ripley, segnò l’inizio della sua carriera internazionale. In questo film, Delon interpreta Tom Ripley, un personaggio ambiguo e inquietante che rivela il lato oscuro dell’attore. La scena in cui Ripley si toglie la maglietta, mostrando il suo petto nudo, divenne emblematica del fascino sensuale e minaccioso dell’attore francese.
Delon poteva essere straordinariamente espressivo, come dimostrato in Rocco e i suoi fratelli, dove interpreta un fratello sensibile in una famiglia sfollata dell’Italia del dopoguerra. Ma era altrettanto a suo agio nel recitare all’ombra di attori del calibro di Jean Gabin (Chiunque può vincere di Henri Verneuil) e Burt Lancaster (Il Gattopardo di Visconti).
Delon è semplicemente formidabile in Mr. Klein di Joseph Losey, un giallo del 1976 ambientato durante la Seconda guerra mondiale, in cui interpreta un ricco mercante d’arte la cui vita si sgretola quando viene scambiato per un omonimo ebreo. È altrettanto convincente in La Piscine (1969) di Jacques Deray, un dramma serrato su borghesi annoiati il cui torpore è spezzato da un omicidio.
Delon e Dean sono molto diversi, ovviamente, anche nei loro stili di recitazione e nella presenza sullo schermo, ma ci sono momenti, quando la luce e l’angolazione sono perfette e la telecamera indugia sui loro volti, in cui gli sguardi di entrambi creano uno strano turbamento nell’aria. Non si limitano ad attirare la tua attenzione, comandano e turbano il tuo sguardo, a volte distogliendo anche l’attenzione dagli altri artisti e dal film stesso.
Manohla Dargis
Alain Delon era un idolo del cinema, e come tutti gli idoli, le sue cadute e i suoi successi erano accompagnati dallo stesso clamore. Ha generato un’attenzione oltremodo eccitata per la sua vita fuori dallo schermo, che è stata costellata da voci, scandali e talvolta grande indignazione.
Nel 1968, il suo ex bodyguard Stevan Markovic fu trovato morto vicino alla casa dell’attore. L’inchiesta rivelò uno scandalo su presunte feste a base di sesso che coinvolgevano Delon e alti funzionari politici. Delon fu interrogato dalla polizia, ma il caso non fu mai risolto.
Era a suo agio nelle controversie, come dimostrano le sue dichiarazioni pubbliche, omofobe e razziste. Quando, nel 2019, gli fu assegnata una Palma d’oro onoraria al Festival di Cannes, ci furono proteste, ma Delon accettò il premio con il suo consueto atteggiamento sprezzante.
Si è sposato una sola volta, con Nathalie Barthélémy, dal 1964 al 1969, ma ebbe diverse relazioni, tra cui quella più importante con Romy Schneider. L’ultimo atto della sua vita è stato segnato dalla malattia e dalla solitudine. Dopo un ictus nel 2019, la sua salute ha iniziato a deteriorarsi, e l’attore si è ritirato dalla scena pubblica. Nel 2023, la morte di Ari Boulogne, il figlio mai riconosciuto, ha riaperto vecchie ferite, aggiungendo ulteriore complessità alla sua eredità.
Alain Delon rimane una figura controversa, un monumento del cinema francese che ha incarnato bellezza e crudeltà, amore e odio. La sua carriera è stata un viaggio attraverso le luci e le ombre dell’animo umano, segnato da straordinari successi e altrettanto spettacolari cadute. Fu spesso criticato per il suo smisurato egocentrismo, ma sembrava in grado di vedere la fama nella reale e complicata illusione che essa rappresenta. In un’intervista del 1991, rifletté sulla sua carriera e sull’immagine pubblica costruita nel corso degli anni: “Questa follia arriva al punto in cui ‘Delon’ diventa un’etichetta, e devi continuare a esserlo, a interpretarlo, a rimanerci e a viverci, perché il pubblico lo vuole, perché lo vuoi un po’ tu e perché questa è la regola“.