C’hai la macchina del campione, c’hai tutto del campione, ma non sei un campione.
Una delle frasi più celebri pronunciate dal grande Carlo Mazzone è forse il miglior modo per sintetizzare la profonda saggezza di un uomo e di un allenatore che si è mosso a cavallo tra semplicità, saggezza e grandezza. Con Carletto Mazzone se n’è andata un’idea di calcio romantico, semplice, artigiana e contemporaneamente splendidamente vincente. Ma attenzione, non si chiude un’epoca, perché un’epoca che potesse contenere Mazzone non c’è mai stata. Mazzone è stato un unicum di carattere e visione calcistica che non ha avuto simili fra gli allenatori suoi contemporanei, ma forse qualche discendente si. Proveremo a scoprirlo.
Per comprendere una figura come quella di Mazzone bisogna partire necessariamente dalla sua biografia, elemento particolarmente interessante per affrontare un’analisi sull’uomo e sull’allenatore. I suoi inizi da calciatore, romano e romanista, hanno dei tratti popolari, quasi rubati ad una sceneggiatura di De Sica. Carletto che scappa dal lavoro in officina del papà per andare a giocare a calcio, il papà che scopre dai giornali che il Mazzone di cui si tesseno le lodi è proprio suo figlio. Un amore per calcio consumato tra l’officina, il lavoro sicuro di un’Italia uscita da dieci anni dalla guerra, piatti di pasta asciutta e tanta concretezza popolare.
Ma il mito di Mazzone prenderà forma quando nel 1969 passerà dal campo alla panchina, proprio con l’Ascoli in cui aveva militato come giocatore, città in cui rimarrà per ben dieci anni. Poi le panchine inizieranno a girare: Firenze, Lecce, Bologna, Pescara, Cagliari. Sarà l’impresa cagliaritana a dare a Carletto probabilmente la più grande soddisfazione personale e professionale: la possibilità di allenare la squadra della sua città, ovviamente la Roma. Qui inizia anche un percorso interessante su cui bisogna assolutamente porre attenzione e riflettere: il Mazzone guru o più semplicemente papà. Bisogna fare una piccola premessa, il documentario, realizzato per Amazon Prime da Alessio Di Cosimo, è una bibbia per chi voglia conoscere la figura monumentale di Mazzone. In questo articolo infatti lo prenderemo come traccia, perché dietro quel titolo Come un Padre si nascondono tanti significati e vesti di Carletto Mazzone. Il padre, il guru, il visionario, il combattente, il motivatore; tutte vesti che risaltano chiaramente analizzando il rapporto con i tre sui allievi di maggiore successo: Francesco Totti, Roberto Baggio, Pep Guardiola.
Ma per ora torniamo a Mazzone allenatore della Roma nelle stagioni 1993-1996. Nella sua città Sor Carletto arriva tra i clamori delle sue imprese con squadre (con qualche esclusione) modeste, le aspettative sono altissime, il carico umano alle stelle. In effetti, gli anni a Roma portano la squadra nella parte alta della classifica, ad un livello ottimo, grazie anche ad un principe del foro: Giuseppe Giannini. Ma il colpo di Mazzone sarà un altro e sarà clamoroso.
Carlo Mazzone punta su un ragazzo giovane, dalle indubbie doti ma con carattere sopra le righe. Ma il vecchio allenatore capisce subito il passaggio generazionale all’interno del senato romanista. Il ragazzo di chiama Francesco Totti, è forte e sbruffone, Carletto ne scolpirà i tratti dell’imperatore. Francesco Totti ricorderà sempre con sincera ammirazione il rapporto con Mazzone, dichiarando apertamente che grande parte del suo successo è stato ispirato proprio dal grande mentore. Si pensi solo che Francesco Totti ha donato molti dei propri trofei al vecchio allenatore. “È nato il giorno della festa del papà, non penso sia una coincidenza“. È Mazzone stesso a raccontare un quadretto illuminante dei tempi romani: “Un giorno mi chiamò il presidente Sensi: Carlo, mi consigliano di prendere Litmanen, che faccio?’Gli risposi: Perché buttare i soldi, abbiamo il ragazzino“. Il “ragazzino” ovviamente era Francesco Totti, nell’aneddoto c’è tutto: semplicità, concretezza, genialità.
Dopo gli anni romani, Mazzone riprende il proprio nomadismo sulle panchine di mezza Italia fra successi e abbandoni, come quello clamoroso a Napoli dopo solo quattro partite. Ma è a Brescia che troviamo Mazzone con una sceneggiatura inedita: il guru, il motivatore, il coltivatore di futuro. Nella città lombarda Mazzone trova una squadra sui generis vista l’impronta apparentemente “provinciale” degli azzurri. C’è un giovane non particolarmente veloce ma con un’intelligenza calcistica fuori dal comune che si chiama Andrea Pirlo, c’è un giocatore che arriva dal Barcellona e osserva in silenzio tutto quello che il grande saggio fa, si chiama Joseph Guardiola, ci sono futuri campioni del mondo e assi del calcio a venire, ma la vera mossa strategica è un’altra, ancora una volta. Mazzone contattata Roberto Baggio, suo vecchio pallino; l’asso piacentino accetta di andare a giocare a Brescia ad una condizione: se Mazzone fosse andato via, Baggio avrebbe cambiato squadra. È su queste premesse che nasce uno dei rapporti più romantici, sinceri e fruttuosi del calcio contemporaneo. Baggio è un giocatore che vuole dimostrare ancora cosa sa fare sul campo e quanto vale come uomo, infatti la scommessa con il Brescia è una scommessa umana prima che professionale.
Come ovvio con queste premesse nasce una stagione travolgente per il Brescia di cui oltre ai risultati sportivi, restano le immagini di un gruppo affiatato e compatto. Per sempre immortalato nell’atto di correre sotto la curva dell’Atalanta dopo il pareggio, Mazzone è un simbolo di come l’umanità, la giusta stima per i campioni e i valori che si hanno di fronte, porti a successi umani e calcistici sorprendenti. Anche qui lancia un giovane, ma forse in questo caso addirittura varrebbe la pena di dire riscopre. Mazzone infatti indietreggia Andrea Pirlo, ne intuisce le capacità balistiche e geometriche e lo trasforma in uno dei registi più geniali degli ultimi trent’anni.
Carletto è stato un gigante di umanità. Per lui avrei fatto anche l’impossibile. Gli ho voluto e gli voglio bene perché è sempre stato un uomo puro. Vero! Con lui c’era un rapporto, senza filtri, di rispetto reciproco. Lui, più di tutti, aveva capito che persona sono. È andato subito oltre quello che gli dicevano di me. Dicevano che rompevo gli spogliatoi e litigavo con gli allenatori. Cazzate! Una verità disintegra mille bugie e chi ha giocato con me, a parte qualche ruffiano, sa qual è la verità. Sa che persona sono, che persona ero. Ecco Mazzone, un uomo di sensibilità superiore, lo aveva capito subito.
Roberto Baggio
Lo stesso vale per Guardiola che non nasconderà mai l’amore e la stima per l’allenatore romano, dimostrate, per esempio, nel famoso aneddoto dell’invito in tribuna in occasione della finale di Champions League con il Barcellona. Ma bisogna chiedersi in che cosa Guardiola sia stato ispirato da Mazzone tanto da dichiararsi discepolo della sua visione calcistica? Modelli tattici? Schemi? Bisogna guardare a Guardiola uomo per capire in che cosa Mazzone è stato un mentore. L’ironia di Guardiola, la grande tranquillità, il sapere esattamente come comportarsi in caso di vittoria e di sconfitta. Un livello più alto che il calcio sia un lavoro in cui bisogna essere professionisti, senza mai però perdere il senso fatale del gioco. Rimarrà agli annali l’intervista post-partita di Manchester City-Inter, in cui Guardiola con grande franchezza ammette che la partita avrebbe potuto finire anche diversamente se solo due episodi fossero stati meno favorevoli. La capacità di prendere il calcio con serietà ma comunque con leggerezza, è forse la caratteristica che più di ogni altra hanno trasformato il giovane Guardiola in uno degli allenatori più vincenti degli ultimi anni. Si sente forte la mano di Carletto Mazzone. Si sentono ancora i frutti del seminato del Sor Magara. È scomparso un grande uomo e un padre nazionale, ma quanto è bello scoprire ancora l’eredità di Mazzone tra noi e a futura memoria.
Buon viaggio Carletto.