Giannis Antetokounmpo
Giannis Antetokounmpo Foto: Keith Allison

Giannis Antetokounmpo, The Greek Freak

Desidero ringraziarti e dirti che siamo commossi, l’intero popolo greco sa quanto hai lottato fin da bambino e quanto hai aiutato i tuoi fratelli: oggi sei un esempio per molti. Spero, e lo dico con grande emozione, così come mi viene, che in America tu li faccia impazzire con le tue schiacciate. Ti auguro il meglio e di essere forte. Voglio che tu sappia che per noi questo è un giorno di gioia, l’intero Paese è commosso e ti è vicino. Ringraziamo te e tuo fratello per aver reso omaggio alla nostra bandiera. Avete portato all’estero anche un po’ di Grecia.

Con questo discorso il presidente Antonis Samaràs omaggiava Giannis Antetokounmpo. Un discorso così falso da rasentare il ridicolo. Il governo Samaràs è stato il più conservatore che la Grecia abbia avuto dai tempi della dittatura. In quel triennio, 2012 – 2015, i profughi e gli immigrati erano trattati come una calamità sociale non da risolvere, ma da condannare. Nei suoi discorsi pubblici l’ex primo ministro identificava il problema dell’immigrazione come la causa del terrorismo e non di rado si lasciava andare in commenti di stampo populista, se non razzista, come quando dichiarò: 

Gli immigrati hanno riempito le scuole e i greci non possono più accedervi. Basta.

Giannis Antetokounmpo
Giannis Antetokounmpo – Foto: Keith Allison

Per questo è alquanto divertente notare la schizofrenia, o meglio, l’opportunismo di questo discorso. Un opportunismo dettato dalla convinzione che l’identità non sia la caratteristica fondante della propria esistenza, un diritto all’autodeterminazione, ma un riconoscimento della funzionalità, dell’utilità. Giannis Antetokounmpo è un immigrato di colore che, a differenza delle migliaia di persone nelle sue stesse condizioni, non poteva essere ignorato perché nato con un talento raro. Un talento talmente enorme da costringere persino l’ultra destra al governo a concedergli la cittadinanza per non perdere ulteriore credibilità internazionale. Antetokounmpo, prima di essere una delle più prorompenti stelle dell’NBA, prima di aver vinto nel 2021 il titolo con i Milwaukee Bucks, prima di essere diventato l’unico giocatore della storia a finire nella top 20 della stagione nelle cinque categorie statistiche maggiori (punti, rimbalzi, assist, palle rubate e stoppate) e prima di aver battuto il record di Wilt Chamberlain, facendo registrare nella stagione 2019-20 il PER (Player Efficiency Rating) più alto di sempre (31,9), Ghiannis era un immigrato clandestino nato ad Atene, ma senza nessun diritto; neppure quello di ottenere la cittadinanza greca (fino al 2017 i bambini di immigrati nati in terra ellenica erano neonati fantasma). 

Sepolia
Vista dall’alto di Sepolia, Atene

Tre anni prima della sua nascita, i suoi genitori avevano abbandonato Lagos in cerca di un futuro migliore, lasciando il loro primogenito, Francis, con i nonni. Si stabilirono a Sepolia, quartiere periferico di Atene; lì la vita non era affatto facile. Per aiutare i genitori, Giannis e i suoi fratelli si barcamenavano come potevano: lavoravano come manovali, giravano per le strade vendendo borse e altri oggetti taroccati di griffe famose e, quando andava bene, si improvvisavano babysitter. Vivere alla giornata, senza avere nessuna garanzia dal Paese in cui sei nato e cresciuto. Ma Giannis aveva un talento: il suo corpo. E una passione: il basket. Tra gli anni Sessanta e Settanta la Grecia e, in particolar modo, Atene videro uno sviluppo urbano eccezionale: sempre più persone dalle zone rurali si trasferirono nelle città in cerca di lavoro, e questo portò alla creazione di nuove aree urbane. Le zone verdi della capitale, dove i bambini giocavano a calcio, lasciarono spazio ai casermoni di cemento. E al posto delle porte per quella nuova generazione di ragazzi della periferia era più facile trovare un canestro. Non c’era un quartiere che non avesse almeno un campetto da basket. In uno di questi campetti fece i suoi primi passi da cestista, Giannis. Trascorreva più tempo lì che altrove; a volte la notte preferiva dormire in quel malmesso posto, raggomitolato nella sua felpa, piuttosto che tornare a casa. A quattordici anni firmò un contratto con il Filathlitikos Zografou, squadra della seconda divisione ellenica, che gli garantì per la prima volta un pasto dignitoso da condividere con tutta la famiglia. Fu il primo di step della gloriosa scalata all’NBA. Un greco di origini nigeriane alla conquista del palcoscenico più importante del mondo. Giannis Antetokounmpo, la sintesi dell’integrazione: nome greco e cognome nigeriano. Antetokounmpo è la trascrizione in caratteri greci di Adetokunbo, il cognome di famiglia in lingua yoruba. Ade, in yoruba, significa re; Tokunbo rappresenta un bambino nato in un Paese lontano che è ritornato nel luogo di origine familiare. Re nato all’estero che ritorna alle origini, questo è il significato del suo cognome. Nomen omen, dicevano i latini.

Giannis Antetokounmpo
Giannis alla Casa Bianca

L’avvento di Antetokounmpo nella città di Milwaukee non ha portato solo un titolo e gloria, ma uno sviluppo incredibile della città. I biglietti delle partite vanno a ruba, ed è stato costruito un nuovo palazzetto più capiente intorno al quale sono sorti negozi e ristoranti; sono nuovi posti di lavoro. Tutto questo porta la firma di Giannis. Ma come il suo cognome racconta, Giannis non ha dimenticato chi era né le sue origini. Larry Sanders, suo compagno di squadra, un giorno gli regalò un paio di scarpe Gucci. Ricordandosi i momenti in cui vendeva per strada scarpe taroccate simili a quelle, Giannis non poté fare a meno di rimproverare il suo amico per “aver speso troppo” e gli promise che le avrebbe conservate gelosamente e indossate solo nelle occasioni speciali. Brandon Knight, suo ex compagno nel biennio 2013-2015, ha raccontato che Giannis si presentava con delle buste enormi che riempiva del cibo che la squadra metteva a disposizione, perché nella vita non gli era mai capitato di ricevere qualcosa di gratuito. Durante il lockdown del 2020 ha donato 100mila dollari allo staff del Fiserv Forum che non era stato in grado di lavorare a causa della sospensione della stagione NBA 2019-20. In quelle stesse settimane, Antetokounmpo e la sua famiglia hanno anche donato 20.000 mascherine a persone e ad associazioni di Atene e Zografou. 

The Greek Freak incarna tutte le contraddizioni della nostra società. È passato dal non avere nulla ad essere una star mondiale. Ma non possiamo incasellare la sua storia come quella dell’uomo che si è fatto da solo, del “sogno americano”. Antetokounmpo ha lottato contro il razzismo e la discriminazione nel Paese in cui è nato (in un intervento pubblico il leader di Alba Dorata, partito neofascista greco, lo ha chiamato “scimmia“); metà della sua vita l’ha passata morendo di fame e di freddo. Eppure tutto questo non l’ha cambiato. Eppure tutto questo non ci ha cambiati. Certo, la normativa dello Ius Soli in Grecia è stata modificata e forse è in parte merito suo, ma quanti ancora sono abbandonati a loro stessi in un Paese che non li riconosce? Per citare Sandro Pertini:

Mi dica, in coscienza, lei può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare, di imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io.

La storia di Giannis Antetokounmpo ci aiuta a non dimenticare la fatica degli immigrati che vivono in un Paese, a capire senza rimanere sorpresi che ogni persona è una storia iniziata male, ma che può avere un finale radioso. Paul Nizan scrive: “per essere un uomo bisogna averne l’agio“. Potremmo aggiungere che a volte per essere un uomo bisogna lottare. L’aggressività delle giocate di Antetokounmpo, il suo gioco sempre e solo d’attaco ci danno l’idea del suo spirito lottatore, pronto sempre ad andare avanti senza mai mollare di un centimetro. Come se tutto andasse conquistato.

Qualunque cosa io cerchi di fare, cerco sempre di dare il massimo e cerco di essere un killer perché, alla fine della giornata, se non lavori sodo, non avrai cibo sulla tua tavola.

Giannis Antetokounmpo

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