Le Cirque du Soleil
Credits: Benson Kua https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Cirque_du_Soleil_-_Le_Royaume_de_T%C3%B4le_(6012664302).jpg

Il fallimento de Le Cirque du Soleil è davvero una brutta notizia per tutti.

Chi non conosce Le Cirque du Soleil? A livello globale la compagnia circense, con tutte le sue succursali, è conosciuta per le pochissime (e pagate a peso d’oro) apparizioni televisive, ma soprattutto per le tournée infinite e mastodontiche che hanno toccato pressoché ogni parte della terra a noi conosciuta. Le Cirque du Soleil non è solo un’impresa di spettacolo dal grande successo, ma è stata un’idea geniale capace di associare introiti, arte e solidarietà.

Già perché Guy Laliberté, patrono fondatore del circo, di sicuro è un uomo eccentrico, ma  ha sicuramente portato una grandissima novità nel modo di interpretare il ruolo dell’artista. Anzi per dirla come la direbbe lui, del clown. Lontanissimo dal clown malinconico e cupo di Heinrich Böll, Laliberté è un uomo di ingegno, astuzia, velocità e precisione, ma ancor di più di solidarietà. Infatti nonostante sia ancora oggi tra gli uomini più ricchi del mondo, non ha certo dimenticato le sue origini di fisarmonicista, pagliaccio, artista di strada, devolvendo costantemente buona parte degli introiti degli spettacoli ad attività filantropiche tra le quali spicca la “Fabriqua” di Montréal da lui voluta per ragazzi e artisti meno fortunati che si occupano di costruire scenografie e costumi poi usati negli spettacoli. Colpisce la favola de Le Cirque du Soleil perché fa riflettere su quanto siano importanti i sogni, la scuola, la strada e poi, finalmente anche la gratificazione economica. Il circo, come lo sport, è un ambito in cui il cuore deve pulsare prima di tutto. Poi ci vuole fatica, impegno e fortuna. A differenza di altre arti, quella del circo racconta perfettamente la vita anche degli sportivi. Tanti sacrifici, energie al massimo in ogni momento, carriera breve, pericolo costante.

Purtroppo la macchina perfetta de Le Cirque du Soleil qualche mese si é interrotta a causa del diffondersi della piaga della pandemia. La notizia, diffusa dalle prime pagine di tutti i giornali, nasconde però almeno un paio di riflessioni importanti, sia per la scelte imprenditoriali di Guy Laliberté, sia per il futuro dell’imprenditoria nel mondo dello spettacolo. Prima di tutto, bisogna dire che Guy Laliberté era già uscito di scena nel 2015 quando all’apice del successo de Le Cirque du Soleil aveva venduto la sua parte di proprietà ad un fondo azionario che ricapitalizzando aveva goduto dell’investimento “chiavi in mano”. Tanto è vero che la stesso fondo dopo aver acquisito Le Cirque du Soleil aveva continuato gli acquisti nel settore dell’intrattenimento con grande solerzia. Tutto aveva funzionato bene, fino a quando lo scorso anno si erano materializzate le prime avvisaglie di forti debiti e grandi scoperti. Pur essendo infatti, nel 2019 le entrate pari a oltre un miliardo di euro queste cifre rappresentavano soltanto una parte di solvenza rispetto ai debiti accumulati. Fatto sta che già ad un anno dal Covid-19, gli azionisti si erano visti assalire dai debiti e Daniel Lamarre, amministratore delegato del gruppo, aveva annunciato possibili tagli alla struttura per rientrare dagli scoperti. Il virus ha fatto il resto: sale chiuse, spettacoli cancellati, impossibilità di girare il mondo e tutto quello che sappiamo. Per il circo più famoso del mondo é stata una sventola non più gestibile.

Va detto per onore di cronaca che lo stesso Guy Laliberté aveva ravvisato problemi finanziari prima di vendere la sua creatura alla cordata di azionisti, ma pare altrettanto evidente che qui si stia giocando una partita in cui in ballo ci sono questioni più grosse. Parlando del circo, abbiamo aperto una pagina di riflessioni su tutto ciò che é spettacolo dal vivo, ovvero in ogni forma di intrattenimento che preveda degli artisti o degli atleti che si esibiscono davanti ad un pubblico “assembrato”. Un grosso problema che si pone è: come reagiranno le associazioni sportive, le piccole realtà artistiche artigianali al prolungato stop delle attività dal vivo? Dietro al professionismo iper-retribuito del calcio di Serie A vivono, vivacchiano un gran numero di persone che allevano, curano, proteggono (soprattutto nei luoghi di confine) giovani atleti per pochi euro o addirittura senza. Niente luoghi di aggregazione vuol dire anche niente luoghi di incontro con il mestiere quotidiano dello sportivo.

Se Le Cirque du Soleil fa scalpore con la sua richiesta di fallimento, quello che passa sotto silenzio in questo periodo sono proprio quelle piccole realtà che si occupano di avviare alla professione dell’artista e dell’atleta le giovani generazioni. Spiego meglio. Se Le Cirque du Soleil era nato come avventura di strada fra persone che avevano già scelto la via del circo, nel suo prosieguo si era potuto permettere di dare da lavorare a moltissimi giovani formati in altri stati da piccole realtà circensi presenti nel territorio. Un esempio a me vicino e caro, fu per esempio quello di tre amici giocolieri milanesi assunti dal circo in occasione dell’Expo 2015 e da allora entrati stabilmente nell’organico. Cosa voglio dire con questo? Fermare lo spettacolo dal vivo vuol dire fermare non soltanto il momento dello spettacolo dal vivo, ma tutta la catena ad esso legata. La cosa più drammatica é che si potrebbero fermare a lungo andare la formazione e la diffusione del mestiere. Senza le scuole calcio non esiste una primavera a cui attingere, senza le piccole scuole di circo non esistono acrobati e giocolieri. Dimentichiamo che dietro allo show in prima serata c’è il lavoro di anni di formatori, allenatori, educatori che preparano quel materiale umano che per quindici, venti anni andrà a ingrossare le file dei protagonisti dello spettacolo.

Il rischio questa volta non é soltanto di privare del lavoro migliaia di persone, ma anche quello di perdere mestieri e carriere che abbisognano di cura nel quotidiano, nel momento in cui i riflettori sono spenti. Come nel circo l’arte dell’equilibrio va “addomesticata” anche nel calcio il mestiere si impara sui campetti delle piccole associazioni di provincia: Ronaldo non nasce a Madrid già miliardario, c’è bisogno di scuole e strutture che si accollino la crescita dei giovani. A fare acrobazie non si parte a vent’anni dopo il liceo, ci vuole costanza. Non ci sono dubbi sul fatto che Le Cirque du Soleil rinascerà dalle sue ceneri con la sua magia e la sua bellezza, ma dobbiamo preoccuparci di salvaguardare anche tutte quelle realtà che permettono al main show di stare in piedi. Rischiamo di perdere qualcosa di importante oggi che riguarda tutti: la bellezza del mestiere, la poesia di insegnarlo.

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