Antidivo, antieroe, sfrontato e genuino, questo era Renzo Pasolini. Diceva sempre di correre per il puro gusto di farlo e se vinceva, tanto meglio; pensando ad alcune logiche che muovono le dinamiche sportive contemporanee, sembra di essere catapultati in un altro mondo. Un mondo in cui personalità esuberanti come quella del Paso emergevano con prepotenza ed esaltavano il pubblico tanto quanto le performance in pista.
Dalla fine all’inizio: quando il genio diventa mito
Paso aveva solo 34 anni quando morì sulla pista del circuito di Monza; era giovane, ma aveva vissuto molto più intensamente di molti che di anni ne avevano il doppio. Amava le scorribande in balera, il Sangiovese e mai avrebbe rinunciato alle sigarette. Genio e sregolatezza, si direbbe, perché quando correva in moto nessuno riusciva mai a definire la sua tecnica di corsa o a prevedere cosa sarebbe accaduto il momento successivo. La ragione è che Pasolini di strategie non ne aveva, sfrecciava in pista per il piacere di farlo, per sentire adrenalina allo stato puro. Era figlio di un centauro e aveva respirato il mondo delle moto da sempre, ma non si considerò mai votato unicamente a quella disciplina sportiva. Tra le sue passioni, infatti, c’era anche la boxe che gli consentiva di esprimere il suo carattere irruento e irriverente in modo sano. Il suo stile di corsa è stato definito un misto di “anarchia tattica” e istinto; chi l’ha visto gareggiare afferma che a ogni curva sembrava sul punto di cadere per poi, superarla e continuare alla grande. Era un turbinio di emozioni per chi lo seguiva e lo amava e, a giudicare dal suo disinteresse nei confronti del suo stesso talento, un sussulto di vitalità anche per lui. Finché, il 20 maggio di 47 anni fa tutto è finito. Olio sulla pista o il motore che grippa? Nessuno lo ha mai appurato fino in fondo, cambiando l’ordine dei fattori, tuttavia, il risultato non cambia. La tragica fine di Paso a Monza ha mollato un grandissimo schiaffo ai suoi sostenitori, ma anche ai suoi detrattori. Ago, il suo eterno rivale Giacomo Agostini, era improvvisamente rimasto senza il suo storico antagonista. La loro era una sfida che appassionava l’Italia di allora, quella che iniziava a stare bene economicamente e parteggiava per l’uno o per l’altro, in maniera così accesa che, se non fosse intervenuta la Federazione, sarebbe probabilmente sfociata in un duello, proprio come nei film.
Tutto e subito, i tratti distintivi del Paso
Tanto Agostini era preciso e meticoloso su tecnica e messa a punto della moto, quanto Paso era istinto, sfrontatezza e dinamismo allo stato puro. Tutto e subito e dai di gas era il suo motto. Punto. D’altra parte, Renzo Pasolini era un romagnolo doc che della sua Rimini aveva ereditato il fare sicuro e aperto, la sicurezza e l’amore per il buon cibo e il buon bere. Ciò che era normalmente vietato agli sportivi coscienziosi e razionali, Paso lo faceva perché gli andava. La sfrontatezza con cui affrontava la vita, lo sport e le relazioni interpersonali era la stessa, l’audacia con cui correva in pista o sfidava l’avversario sul ring avevano lo stesso sapore. Anche la sua rivalità con Ago aveva un tono diretto, senza fronzoli, strategie e comunicati stampa. I due erano avversari in sella alla moto, ma nelle numerose foto che li ritraggono insieme emerge un profondo rispetto reciproco, un’umanità di fondo che andava al di là dell’antagonismo sportivo. Un parlare tra uomini, insomma. In pista, però, tutto cambiava perché Ago era il campione inarrivabile e Paso lo sfacciato che correva e basta, a tutto gas. La scena cambiò al Gran Premio delle Nazioni, a Monza. Si trattava di un’occasione molto importante per Pasolini che, a quasi 35 anni, era consapevole che sarebbe potuta essere una delle sue ultime opportunità per portare a casa una vittoria decisiva. Nessuno può dire cosa sia accaduto veramente, ma a più di 200 chilometri orari la moto sbandò, per rimbalzare contro il fuoriclasse Saarinen, quello che gli aveva soffiato il primo posto nel 1972 e che morirà tragicamente sul colpo, a soli 28 anni e in un modo scioccante. É la fine anche per Paso, che muore poco dopo l’angelo finlandese.
Equilibrio tra istinto e calcolo e quel Mondiale che non arrivò mai
Paso iniziò a correre in un contesto in cui sfidare i grandi era difficile, ma con la sua grinta, mista a un po’ di sincera arroganza, gli assicurò buoni piazzamenti, sia nei 250 che nei 350. Per una serie di circostanze, tuttavia, non arrivò mai a vincere il titolo mondiale. Nonostante le vittorie e i riconoscimenti, quel traguardo lo sfiorò solamente. Forse anche perché era il tipico campione generoso, non così curante della vittoria? Quel Paso che, proprio in occasione del Gran Premio di Monza, si distinse per un gesto schietto, umano e disarmante. Durante le prove, Gianfranco Bonera riscontrò un guasto alla moto, rischiando di non qualificarsi. Pasolini prestò il suo bolide all’avversario dopo avere apposto la sua etichetta di gara sulla sua moto. Una scena di questo spessore l’abbiamo rivissuta solo al cinema, quando Il Re, lo storico campione della pellicola Cars, sbalzato fuori pista dal cattivo Chick Hicks, viene spinto verso il traguardo da Saetta McQueen che nel frattempo si è reso conto di quanto valga la lealtà e, aiutando il suo idolo di sempre, perderà la vittoria ma guadagnerà in termini di gradimento. Quel giorno, nell’esistenza reale, Paso è passato dalla vita alla morte quasi senza saperlo, portando con sé la consueta figura di gentleman sportivo che sempre lo contraddistinse.