Ci sono storie che ormai tutti noi conosciamo ed altre invece ancora da scoprire. É la bellezza della storia che piano piano ci riporta racconti, eventi e personaggi di epoche lontane e lo fa grazie al sapiente, certosino, instancabile lavoro di archeologi e storici che dedicano la loro vita alla scoperta. Generazione Wunderteam è una di quelle storie che valeva la pena andarle a scoprire e il merito va tutto a Jo Araf che con il suo paziente lavoro da ricercatore è riuscito a riportare alla luce una delle squadre più forti di tutti i tempi, la nazionale austriaca degli anni ’30. Conosciuta da tutti come Wunderteam – Squadra delle Meraviglie o Squadra dei Miracoli – questa nazionale, nata ai bordi della periferia di quella città che fino alla Prima Guerra Mondiale era una della capitali del mondo, Vienna, riuscì a stupire il mondo anticipando di quasi vent’anni la Aranycsapat – la Squadra d’oro ungherese di Sebes e Puskàs.
La forza di questo libro, oltre alla precisione e al dettaglio delle informazioni, è la contestualizzazione delle imprese sportive nei fenomeni sociali e culturali del periodo. Così ci possiamo imbattere per la prima volta in Hugo Meisl, il padre del calcio moderno, in uno dei club viennesi più in voga del momento.
“Eccovi la Schmieransky Team, contenti?!” Hugo Meisl, giunto in taxi al Cafè Ring, un locale del centro città che frequentava non di rado, dopo aver posato il cappello sull’appendiabiti sbatté su uno dei tavoli della caffetteria un foglio, destando sorpresa tra i giornalisti presenti. Quel foglio riportava l’undici che sarebbe sceso in campo contro la Scozia. Schmieransky, un termine che solo un cittadino viennese avrebbe potuto inventare o comprendere, era una parola composta da due parti: Schmieran, il cui significato è “scrivere senza sapere niente”, e -ky, un suffisso tipico dei cognomi degli immigrati cechi e polacchi che masticavano appena la lingua tedesca. In altre parole, Hugo Meisl si era autoironicamente definito ignorante ed analfabeta.
Jo Araf racconta la storia del Wunderteam, ma in realtà racconta l’evoluzione di Vienna, da capitale dell’Impero Asburgico a città in cerca di una nuova identità subito dopo il primo conflitto bellico, fino a diventare provincia della Germania nazista dopo l’Anschluss nel 1938.
I giorni precedenti all’Anschluss avevano visto alcune autorevoli figure viennesi adoperarsi al fine di promuovere la causa nazionalsocialista. Theodor Innitzer, arcivescovo della capitale austriaca che qualche anno dopo avrebbe condannato la persecuzione di ebrei e zingari, era un sostenitore di lungo corso dell’Anschluss a tal punto che nell’aprile del 1938, per festeggiare il compleanno del Führer, avrebbe ordinato a tutte le chiese della città di adornarsi di bandiere recanti il simbolo della svastica.
E con l’arrivo dei nazisti si concluse anche il sogno di Meisl e dei suoi giocatori. I tedeschi estromisero tutti gli ebrei da ogni funzione pubblica e privata. Squadre come l’Hakoah Vienna, di forte matrice ebraica, vennero smantellate così come vennero cacciati dirigenti, giocatori e giornalisti dissidenti. E al contrario di quello che disse Hans Tschammer und Osten la fine del Wunderteam era ormai prossima.
Cari sostenitori del calcio viennese ed amici del calcio in generale, cara comunità del calcio! Ho letto che il calcio austriaco sarebbe morto. Ci tengo a dichiarare che questa è una grande menzogna. Dichiaro inoltre, che il calcio austriaco sopravviverà e lo farà a fianco di quello tedesco. L’arte del calcio viennese e la Scuola di Vienna sono unici al mondo, saremmo stolti a volerlo distruggere.
Pronunciò questo discorso durante l’intervallo dell’Anschlussspiel, l’ultima partita della nazionale austriaca prima di essere annessa a quella tedesca. La partita, inutile dirlo, fu vinta dalla squadra delle meraviglie, guidati in campo dal talento più puro che il calcio austriaco abbia mai prodotto, Matthias Sindelar, il Mozart del pallone. Fu lui a segnare una delle rete decisive e soprattutto, fu lui insieme a Karl Sesztac, figlio di un operaio socialista ucciso dai nazisti, che a fine partita in segno di sfida al nuovo regime si rifiutò di compiere l’Hitlergruß (saluto di Hitler). Fu trovato morto insieme alla sua compagna qualche tempo dopo. Aveva 35 anni e la sua morte ancora oggi è avvolta nel mistero.
Con l’Anschlussspiel e la morte di Sindelar il calcio austriaco entrò in una crisi senza precedenti che ancora oggi, a distanza di quasi 90 anni, non trova fine. Per questo è importante poter leggere e studiare queste pagine per ricordarci che, quando il calcio non era ancora un business, l’Europa intera era ricca di talenti e squadre in grado di stupire il mondo.